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Václav Havel: la comunità, l’amicizia, la sfida al potere

Nell’ambito del festival di cultura e incontro “Andiamo al largo“, il 12 giugno 2019 alle 18, il Centro Culturale di Milano (Largo Corsia dei Servi, 4) ospiterà una conferenza, organizzata col Centro Ceco, in collaborazione con Vita: ospite d'onore Michael Žantovský, direttore della Biblioteca di Václav Havel a Praga, a lungo collaboratore del grande intellettuale. Un evento unico per capire e per riflettere sulla società civile, sulla responsabilità, sulla politica

di Marco Dotti

«Finché l’apparenza non viene messa a confronto con la realtà, non ci accorgeremo che si tratta di un’apparenza». È questo uno degli insegnamenti – ben più che attuali, in tempi come i nostri di post-verità e fake news – consegnati a dei fogli di carta velina da uno degli ultimi, grandi umanisti del nostro tempo: Václav Havel.

Passati nottetempo in Occidente, nel 1978, quei fogli sparsi e clandestini divennero un libro chiave per la storia della libertà. Il potere dei senza potere, questo il titolo del volume, apparve in Italia nel novembre del 1979. La sua vicenda editoriale è diventata quasi leggendaria e illustra meglio di tante parole il ruolo e l’importanza che non solo la vicenda di quegli anni, ma la vita tutta di Havel rivestono per l’Europa. Di ieri, di oggi. Una vita che culminerà in uno dei turning point più cruciali nella storia più prossima del nostro continente: il 1989.

Un uomo solo, anche se apparentemente impotente, che ha il coraggio di pronunciare ad alta voce una parola autentica e di sostenerla con tutta la sua persona e con tutta la sua vita, pronto a pagare per essa duramente, ha più potere di migliaia di anonimi

Václav Havel, “La politica e la coscienza”

Nato nel 1936, drammaturgo e scrittore, Havel pagò la provenienza da una famiglia borghese con l’esclusione da tutti gli istituti superiori. La sua formazione avvenne, dunque, sulle cose, tra le cose, per le cose. Una costante e continua adesione al reale che lo portò, nel 1977 a diventare portavoce di “Charta 77”, la principale iniziativa del dissenso cecoslovacco, a favore dei diritti umani, dagli anni della Primavera di Praga. Havel pagò a più riprese con il carcere per le sue iniziative.

CENTRO CULTURALE DI MILANO

Largo Corsia dei Servi, 4

h. 18,00 “Vaclav Havel, una storia di oggi – La persona, l’amicizia, la politica”
in collaborazione con Consolato Repubblica Ceca a Milano, in occasione dei 30 anni della nascita della Repubblica e di Havel primo Presidente
interviene Michael Zantovsky, amico e ambasciatore di Havel, scrittore, Direttore Vaclav Havel Library di Praga
coordina Ubaldo Casotto, giornalista

Tutti – leggiamo nel Potere dei senza potere – abbiamo di fronte agli occhi un unico compito fondamentale: «confidare nella voce della coscienza più che nelle speculazioni astratte, di non inventare una responsabilità diversa da quella che tale voce ci indica; di non vergognarci di essere capaci di amore, di solidarietà, di compassione e di tolleranza, ma al contrario di liberare queste dimensioni fondamentali della nostra umanità dall’esilio nel privato, e di accettarle come unici autentici punti di origine di una comunità umana dotata di senso; di lasciarci guidare dalla nostra stessa ragione, e di servire in ogni circostanza la verità come nostra fondamentale esperienza».

Proprio questa verità, intesa come criterio fondamentale nel discernimento di ogni esperienza, in primis politica, è alla base dell’insegnamento di Havel. Un insegnamento alto, intellettualmente alto, e al contempo pragmatico e concreto che non si è mai limitato alla denuncia e all’indignazione, ma si è sempre fatto carico di indicare strade possibili, vie praticabili. Sempre nel rispetto di realtà e verità.

Havel è stato il primo presidente della Cecoslovacchia libera, dopo averne guidato la transizione pacifica (la cosiddetta “rivoluzione di velluto”) da un’autocrazia a un sistema pienamente democratico e parlamentare. Ma è stato anche il primo presidente della Repubblica Ceca, dopo la divisione della Cecoslovacchia che, grazie al lavoro di Havel, si è potuta compiere in forme non cruente. Il 29 dicembre 1989, la rivoluzione non violenta guidata da Havel e dal suo Forum Civico cambiò per sempre il volto dell’Europa.

Se un cambiamento vi potrà essere …. profondo e stabile, non può partire dall’affermarsi di una o dell’altra concezione politica, ma dovrà partire dall’uomo, dalla sua esistenza, dalla sostanziale ricostituzione delal sua posizione nel mondo, dal suo rapporto con sé stesso, con gli altri, con l’universo

Václav Havel, da “Il potere dei senza potere”

«Verità e amore devono prevalere su menzogna e odio», scriveva nelle lettera dal carcere alla moglie Olga. Proprio per aver tenuto fede a questo suo impegno, passando dalla parola all’atto, ad Havel sono stati intitolati un albero e un cippo, nel Giardino dei Giusti della nostra città. Era il 2013, due anni dopo sua prematura scomparsa avvenuta a Hrádeček, il 18 dicembre 2011, all’età di settantacinque anni.

Quando diciamo “Europa”, oggi, dichiamo anche Havel. All’Europa unica, unita nel solco concreto della libertà Havel ha dedicato infatti gli ultimi vent’anni della sua vita, indicando l’insorgere di un nuovo pericolo, che egli stesso chiamava «peste etnica»: un male corruttore delle vere radici europee, quelle che fondano la polis, lo spazio comune, sulla centralità dell’umano e della sua responsabilità intersoggettiva.

«Ogni parola», insegnava Havel, «racchiude in sé la storia di coloro che la pronunciano». Per questa ragione una stessa parola può farci cadere o «irradiare una luce di speranza».

Ricorrono quest'anno trent’anni dalla caduta dei muri. Trent’anni da quella rivoluzione di velluto che, grazie al lavoro di Havel, ha mostrato il solco di un’Europa ancora possibile. Un’Europa fatta di uomini e donne che ancora confidano e sperano in una libertà che non sia dissociata dalla responsabilità e in un ethos comune dove politica e giustizia non siano dissociate in nome di un impersonale legalismo.

Ogni parola racchiude in sé la storia di coloro che la pronunciano

Dinanzi ai populismo e alle sue retoriche, in una conferenza significativamente titolata La politica e la coscienza, proprio Havel insegnava che ci sono tempi in cui « un uomo solo, anche se apparentemente impotente, che ha il coraggio di pronunciare ad alta voce una parola autentica e di sostenerla con tutta la sua persona e con tutta la sua vita, pronto a pagare per essa duramente, ha più potere di migliaia di anonimi». È in questo primato della coscienza singola e fragile, dinanzi alla statuaria del potere che Havel ci ha insegnato a guardare. Vorremmo, oggi, che quella parola autentica e quel coraggio di verità fossero anche i nostri. Per guardare al presente, non solo al domani, con più fede e speranza.

Scriveva ancora Havel: «Accade oggi che ogni principio civile venga contrapposto al principio nazionale e con ciò dia l'impressione di trascurare o opprimere quello strato della nostra casa creato dalla nostra appartenenza nazionale. Penso che questo sia un suo grave fraintendimento. Al contrarlo, io sono per il principio civile perché offre all'uomo la possibilità di realizzare al meglio se stesso e di autoideidentificarsi nell'ambito di tutti gli strati a cui appartiene nella sua casa».

La società civile, fondata sull'universalilità dei diritti umani, spiegava Havel, «ci consente cioè di valorizzare nel modo migliore, in quanto tutto ciò che siamo – quindi non solo in quanto membri della propria nazione, ma anche in quanto membri della propria famiglia, propria cittadina, propria regione, propria chiesa, proprio albo professionale, proprio partito, proprio Stato, della propria comunità multinazionale – è tutto ciò per cui essa ci tratta: in primo luogo, come membri della specie umana: cioè come uomini, come esseri umani concreti in cui l'essere individuale trova la sua espressione primaria, la più naturale e contemporaneamente la più universale nel suo status di cittadino, nella sua cittadinanza nel senso più ampio e più pieno del termine».

La sovranità, insegna Havel, fosse pure «la sovranità di una cittadina, di una regione, di una nazione o di uno Stato, una qualsiasi sovranità superiore, ha senso solamente se deriva dall'unica sovranità veramente originale, cioè dalla sovranità umana che trova riscontro della sua espressione politica nella società civile».

Forse è davvero questa la lezione che dovremmo portare con noi, nel trentennale dell'89: non si governa senza società civile.

L'evento al Centro Culturale di Milano

h. 18,00 “Vaclav Havel, una storia di oggi – La persona, l’amicizia, la politica”
in collaborazione con Consolato Repubblica Ceca a Milano, in occasione dei 30 anni della nascita della Repubblica e di Havel primo Presidente
interviene Michael Zantovsky, amico e ambasciatore di Havel, scrittore, Direttore Vaclav Havel Library di Praga
coordina Ubaldo Casotto, giornalista

Chi è Michael Žantovský: nato nel 1949, è un traduttore, interprete, psicologo, pubblicista, scrittore, politico e diplomatico ceco. È nato a Praga, dove ha studiato psicologia presso l’Università Carolina. Tra gli anni 1973 – 1980 esercitava psicologia, in seguito ha lavorato come interprete, traduttore e pubblicista freelance, faceva anche il corrispondente per l’agenzia Reuters. Dopo la Rivoluzione di velluto nel 1989 ha fatto parte dei membri fondatori del Forum Civico e nel 1990 è diventato un addetto stampa e consigliere del presidente Václav Havel. Ha fatto anche una carriera politica durante la quale è stato posto come ambasciatore ceco negli Stati Uniti, in Israele e in Gran Bretagna. Tra gli anni 1996 – 2003 era membro del senato della Repubblica Ceca e dal 2012 siede nel consiglio dell’Aspen Institute Prague. Nel 2015 è diventato presidente della Biblioteca di Václav Havel, la quale si occupa della collezione, archiviazione e promozione dei materiali e pensieri del primo presidente ceco tramite organizzazione di conferenze, eventi educativi e attività editoriali. Žantovský stesso ha scritto una biografia di Václav Havel.


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