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Adozioni truffa in Kirghizistan, un processo che parla a tutto il sistema

Il 24 giugno a Savona c'è stata una nuova udienza del processo sullo scandalo adozioni in Kirghizistan. Fabio Selini «Si è radicata in me la convinzione che tutta questa storia poteva essere evitata. Sembra che quello che accade a Savona sia di interesse dei pochi coinvolti, incredibile che non ci si renda conto che quelle “bombe” stanno facendo danni anche all’attuale sistema adottivo e ignorarle non fa altro che aumentare i danni»

di Sara De Carli

Prosegue, nel silenzio, il processo sulla truffa delle adozioni in Kirghizistan. Fatti che risalgono al 2012-2013, quando alcune coppie vanno in Kirghizistan, incontrano bambini che l’ente – Airone – aveva abbinato loro, si presentano davanti a un giudice per l’adozione… passa il tempo, la famiglia resta in attesa della sentenza, che non arriva mai. Tutto finto, dirà poi l'accusa. Fabio Selini, un papà coinvolto in quei fatti, ora parte civile nel processo, era a Savona lo scorso 24 giugno, per ascoltare la testimonianza dell’ambasciatore Alberto Pieri.

A che punto è il processo, perché l’ambasciatore è stato chiamato a testimoniare e quali novità sono emerse nell’ultima udienza?
Sì, il 24 giugno ero a Savona per assistere alla testimonianza dell’Ambasciatore Pieri. Il dottor Pieri era Ambasciatore in Kazakistan ai tempi della vicenda e venne inviato in Kirghizistan (dove vi è solo un Consolato) in missione per comprendere la dimensione della questione. Scoprì il disastro. Ammetto che andare a Savona ad ascoltarlo è stato volersi fare un po’ del male, del resto io conosco a menadito il testo della sua relazione e potevo evitarlo. Eppure mi ero ripromesso, fin dalla prima udienza, di voler sentire in aula quelle parole forti e nette che delineavano la dimensione della follia che ci ha coinvolti. Volevo che quelle parole fossero parte del processo e sancissero, a mio avviso, determinate realtà. Cosa sia emerso dall’udienza è difficile dirlo, in aula ci sono tecnicismi che è complicato comprendere. Per quanto mi riguarda, è stato raccontato quello che già sapevo, la conferma del disastro ai nostri danni. Inoltre, ho avuto modo di ringraziare il dottor Pieri perché, nel 2013, fu l’unico funzionario istituzionale a telefonarmi ben due volte dal Kazakistan e scrivermi diverse email nelle quali mi confermava la sua disponibilità ad andare in missione per sincerarsi delle condizioni dei bambini. Peccato che chi doveva inviarlo, non l’ha mai fatto. Questa è la conferma che un tentativo per sapere “Come sta Vova?” (e gli altri bimbi) era tecnicamente possibile e… semplicemente non è stato fatto. Chiudo, riferendomi alle udienze a Savona, dicendo che ogni udienza è una fatica e un dolore. Che tutto nella vita mi sarei immaginato tranne che frequentare tribunali, deporre per ore, ascoltare storie drammatiche, avere a che fare con avvocati e giudici. È tutto molto triste, specchio di questa triste storia.

Sulla truffa delle adozioni in Kirghizistan nell’ottobre 2017 c’era stata una prima sentenza, che condannava l’ente Airone per non aver adempiuto al contratto previsto e – è stata una "prima volta" – la Commissione Adozioni Internazionali per omessa vigilanza. Su questo fronte, come è evoluta la vicenda?
In questo ambito mi pare che vi sia una volontà generalizzata di non parlarne più. Questa sentenza è storica e devastante eppure sembra non aver scalfito le coscienze di nessuno, non interessare a nessuno. E consentimi di fermarmi qui, trovo tutto talmente folle che ogni commento sarebbe limitativo.

Quali emozioni ha vissuto in questi giorni e soprattutto quali riflessioni ha fatto?
La conferma che tutto quello che è successo era una follia e che tutto poteva essere evitato. Si è ormai radicata in me la convinzione che in quell'aula aleggino colpe e responsabilità non contenibili tra quelle mura: lo scandalo adozioni in Kirghizistan ha più artefici di quanto si creda. Sì, confermo: tutta questa storia poteva essere evitata. Quanto dolore poteva essere evitato, quanta sofferenza gratuita. La cosa che più mi sconvolge e preoccupa è che tra le quattro mura di quell’aula scoppiano ogni volta delle gigantesche “bombe” e nessuno del mondo adottivo pare farci caso, sembra che quello che accade a Savona sia di interesse dei pochi coinvolti. Incredibile che non ci si renda conto che quelle “esplosioni” stanno facendo danni anche all’attuale sistema adottivo e ignorarle non fa altro che aumentare i danni. Noi vittime ne usciamo ogni volta a pezzi, le “radiazioni” continuano a spargersi nell’aria, ma pare che vada bene così. Siamo sempre soli in aula, mai che qualcuno dei protagonisti del mondo adottivo sia venuto quantomeno ad assistere.

Ha scritto di recente un post molto amaro: «Se un giorno, Dio ve ne scampi, sarete coinvolti in uno scandalo/truffa in ambito adottivo, "lasciate ogni speranza". Lasciate ogni speranza di essere protetti, aiutati, risarciti da questo demenziale Paese. Capirete in fretta che non siete cittadini come credevate, che contate zero. L'unica scelta che avrete è … è disperarvi. Sì, farvi prendere dallo sconforto più assoluto. Perché sarete soli, molto più soli di quanto avete mai immaginato». A cosa si riferisce?
Mi riferisco alla mia profonda amarezza di fronte alla mia vicenda, ma anche e soprattutto a qual che potrà accadere di nuovo se non si porranno in essere azioni necessarie a rendere più sicuro il mondo adottivo. Io non sono pieno di rabbia come qualcuno crede o meglio, vuole dipingermi: la strada del risentimento è stata percorsa anni fa. Ora sono lucido e molto amareggiato, ma non arrabbiato. Difficile pensare di poter stare da solo davanti a cento persone e raccontare la storia delle adozioni in Kirghizistan come faccio nel mio monologo "IMMAGINA" se prima non si fanno i conti con se stessi, se prima non si fa pace con se stessi e gli altri. Ci vuole lucidità per narrare. Ammetto di aver vissuto e sto vivendo ancora un senso di profonda solitudine. Una disperazione profonda di fronte a quello che ci è capitato. Se si pensa a cos’è accaduto sette anni fa, ci si rende conto che nulla è cambiato. I frammenti di quel vaso rotto sono ancora a terra e nessuno si è mai preso la briga di rimetterlo in sesto. Le famiglie attendono ancora giustizia, rispetto, risarcimenti. Dei bambini non vi è traccia da allora. Ditemi se questo non significa essere soli. Alzi la mano chi poteva aiutarci e ha fatto qualcosa? Nessuno! Nonostante mille richieste di aiuto, mille impegni, mille promesse… nulla è stato fattivamente messo in atto. Sfido chiunque a dire il contrario. E poi, questa sensazione che ci circonda da tanto tempo, questa percezione di essere “un fastidio”. Come se aver vissuto la storia kirghisa fosse una nostra colpa e raccontarla, peggio, quasi un delitto. Quasi che “non si parla male delle adozioni”. Non è così! Raccontare il Kirghizistan o ascoltare le voci (non sono poche) delle famiglie che raccontano storture e inadeguatezze del sistema deve essere un dovere, addirittura un’opportunità. Ascoltare, prendersi carico e poi agire. Agire non solo per chi è stato vittima, ma per rinsaldare le fondamenta di un sistema che mostra la loro fragilità.

Da tanti anni lei ripete la domanda più semplice e più umana: “Come sta Vova?”. Lei e sua moglie siete sempre senza la possibilità di avere una risposta?
Quella domanda aleggia in casa nostra da sette anni e ha sempre la stessa forza. E non si pensi che perché Fabio Selini la porta in giro con il monologo "IMMAGINA" o continui a scriverne, sia l’unico genitore che se la pone. Vi posso garantire che conosco mamme e papà (anche loro con una “nuova” vita adottiva in corso) che mi confessano il loro dolore, le loro lacrime solitarie con la testa poggiata al cuscino, le serate passate guardando ad est e mandando un bacio. No, non ho perso la speranza. Anzi, grazie proprio a "IMMAGINA" ho scoperto qualcosa in più. Come dico da sempre, non ho intenzione di entrare a gamba tesa nella vita di Vova. Solo, se mi sarà consentito, vorrei aiutarlo a distanza e nell’assoluto anonimato. Io non cerco “figli perduti” (anche qui, si tratterebbe della solita utile strumentalizzazione) e nemmeno anelo a “ringraziamenti”. Faccio solo quello che ritengo giusto e umano. Uno alla mattina deve pur riuscire a guardarsi allo specchio. Quella domanda “Come sta Vova?” è troppo umana e civile per poter essere ignorata, fino a quando non avrà risposta. E l’avrà, ne sono certo.

Dopo quei fatti, lei e sua moglie avete adottato un altro bambino e più volte ha detto – anche poco fa – che la sua “battaglia” non è una fissazione che guarda al passato ma una ricerca di giustizia per Vova, quasi un andare al di là della vicenda processuale specifica… Cosa si aspetta oggi?
Mi aspetto semplicemente di ricevere quel rispetto per quei bambini e per la mia famiglia che fino ad oggi è stato negato. Non credo che una sentenza possa risolvere la questione, sarebbe troppo semplicistico. Mancano dei passi istituzionali, mancano da sette anni. Attendo ancora le scuse per quanto accaduto… nessuno si è mai fatto avanti. Attendo che qualcuno chieda scusa a mia figlia Daria.

Da tanti anni stai raccontando l’esperienza che avete vissuto, anche con forme innovative, che cerchino di arrivare a più persone, anche fuori dal “mondo adottivo”. Per esempio hai chiesto “una canzone” che racconti l’adozione. Cosa manca oggi ancora in Italia per un racconto più efficace e autentico di cosa sia l’adozione?
Manca la conoscenza, la cultura adottiva. La gente che non frequenta questo mondo tende inevitabilmente a semplificare, a seguire la “moda” del momento, a farsi influenzare dal ciarlatano di turno. Manca una narrazione, una presa di coscienza vera. Manca che si racconti l’adozione per quello che realmente è, che si focalizzi sui bambini e sul loro diritto inviolabile ad avere una famiglia. Andrebbe insegnata anche nelle scuole, e non solo in quelle dove ci sono alunni adottati. Sì, provocatoriamente ho scritto che “manca una canzone”: intendevo che serve anche uno strumento di massa come la musica per sensibilizzare all’adozione. Ma manca davvero tanto. Qualcuno faccia un esperimento: vada in una libreria e cerchi i libri dedicati all’adozione. Diogene sarebbe più fortunato. Il rischio è che tutto rimanga all’interno di una nicchia e che lì si fossilizzi. L’adozione non deve essere argomento per pochi, ma per tutti. La gente se adeguatamente informata si prende carico, si interessa, si appassiona. A volte mi domando perché ci sia tutto questo vuoto culturale e informativo intorno all’adozione e le risposte che mi do non sono sempre corroboranti. Quando vado in giro a proporre il mio monologo "IMMAGINA" spero sempre che non ci siano solo le famiglie adottive, punto a raccontare a tutti. "IMMAGINA" racconta una storia triste, ma ha la forza di emozionare, coinvolgere e far capire quanto è straordinario e bellissimo l’incontro tra un bambino e la sua famiglia. Che è talmente importante che non deve essere mai sporcato. Per assurdo, "IMMAGINA" è un inno all’adozione. Io amo l’adozione, sono due volte padre adottivo, credo che adottare sia un modo straordinario di divenire famiglia, solo chi non lo conosce pensa di sapere di cosa si tratta e lo etichetta come “nocivo” al sistema. Chi meno conosce, più parla. Ma non sono io quello che fa il male dell’adozione.

Foto Unsplash


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