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«Come sta Vova?». Quattro anni di silenzio sul caso Kirghizistan

Fabio Selini, papà adottivo della provincia di Bergamo, racconta da tre anni la sua storia, per chiedere che le 20 coppie coinvolte nello scandalo delle adozioni in Kirghizistan non vengano dimenticate. E soprattutto che non vengano dimenticati quei 21 bambini: «Su di loro non accampiamo alcun diritto, però abbiamo tanti doveri»

di Sara De Carli

La foto che accompagna questo articolo, Fabio l’ha mandata anche al ministro Boschi, presidente della Commissione Adozioni Internazionali. È stata scattata il 29 giugno 2012, quattro anni fa, ritrae sua moglie Gessica mentre abbraccia Vova, nell’orfanotrofio di Bishkek. Doveva essere un saluto, invece si è rivelato un addio. Gessica, Fabio e loro figlia Daria non hanno mai più riabbracciato Vova, che ormai ha 7 anni. Erano lì per adottarlo, il tempo di completare le pratiche e tornare a prenderlo per sempre: doveva essere loro figlio, è sparito dalle loro vite. «Uno non ci pensa, vive la sua vita… poi basta un attimo e ti ricordi che 4 anni fa come oggi, salutavi per l'ultima volta il tuo bimbo perduto. E da quel momento nulla è come prima», ha scritto su facebook Fabio lo scorso 29 giugno. «Abbiamo rielaborato il lutto di aver perso un figlio, non è questo il punto. La nostra vita viaggia sui binari del presente, non vogliamo accampare nessun diritto verso Vova. Verso di lui abbiamo dei doveri, non dei diritti: gli abbiamo detto “torniamo presto”, non abbiamo mantenuto la promessa e non ci è stata data neppure la possibilità di chiedergli scusa. Ci sono 21 bambini che sono stati protagonisti di un dramma inaccettabile, nessuno gli ha mai chiesto scusa».

Fabio Selini è educatore in una residenza per anziani, scrittore e padre adottivo. Da anni racconta la sua storia per impedire che questa vicenda cada nel silenzio. Per chiedere che qualcuno si assuma delle responsabilità, «perché ad adottare a Bishkek non ci siamo andati soli, ci siamo andati con un ente autorizzato, sotto l’ombrello della CAI. Peccato che quell’ombrello quando ha iniziato a piovere era chiuso, qualcuno mi deve spiegare perché». La foto di Vova, peltralto, la pubblicammo inconsapevolmente anche noi di Vita, quando esplose lo scandalo: era ritratto insieme ad altri bambini, in una foto d'agenzia. Fra tanti bambini, c'era proprio lui. E Fabio telefonò in redazione per chiedere la cortesia di cambiare quella foto, tanto era il dolore. Sullo scandalo delle adozioni in Kirghizistan la giustizia sta facendo il suo corso. Fabio e sua moglie hanno denunciato subito, come altre quattro coppie: «Fieramente. Anche se abbiamo subito minacce per avere denunciato, alcuni genitori ci hanno accusato di aver bloccato le adozioni in Kirghizistan con la nostra denuncia».

L’ente a cui si erano rivolti – Airone – è stato chiuso e cinque persone sono state rinviate a giudizio con l’accusa è di associazione a delinquere finalizzata a truffa, con un processo che sta per iniziare. L’Italia ha chiuso le adozioni in Kirghizistan nel marzo 2013, revocando tutte le autorizzazioni rilasciate nel Paese. «Ma la questione non è nemmeno il processo, per cui ora dovremo decidere se costituirci o meno parte civile, pagando altri soldi. Questa storia infatti non si risolverà con la sentenza del processo. Il problema è che ci sono dei bambini vittime, usati, con dei diritti calpestati. Fare il “paladino” non rientra nelle mie corde, non voglio che il caso Kirghizistan diventi l’emblema per il sistema delle adozioni, per non cadere più nelle stessi errori. Quello che chiedo è una riflessione profonda sul sopruso che si è verificato. Quando racconto questa storia, la prima domanda che le persone mi fanno è: “ma dei bambini, che ne è?”. È la domanda più umana ed è gravissimo che le istituzioni non se la siano fatta».

La risposta delle istituzioni è che quei 21 bambini non sono cittadini italiani e l’Italia non ha alcun diritto di chiedere alcunché su di loro: «Non credo sia vietato chiedere a uno Stato sovrano come stanno i bambini, certo ci possono rispondere “fatevi gli affari vostri”, ma noi non possiamo permetterci di non fare questa domanda», commenta Fabio, che quell’obiezione la conosce a memoria. «In Kirghizistan le adozioni – bloccate dopo questa vicenda italiana – sono riprese, sappiamo di una bambina che era stata abbinata a una coppia bergamasca adottata in America, è un sollievo».

Fare il “paladino” non rientra nelle mie corde, non voglio che il caso Kirghizistan diventi un emblema per il sistema delle adozioni, per non cadere più nelle stessi errori. Quello che chiedo è una riflessione profonda sul sopruso che si è verificato. Quando racconto questa storia, la prima domanda che le persone mi fanno è: “ma dei bambini, che ne è?”. È la domanda più umana ed è gravissimo che le istituzioni non se la siano fatta

Fabio Selini

Nella lettera inviata al ministro Boschi, Fabio oltre alla foto ha inserito tre richieste. «Sapere come sta Vova, non capisco perché non fare un tentativo. Su di lui abbiamo solo una comunicazione ufficiosa, arrivata nel marzo 2013, che dice Vova non era adottabile in quanto aveva vincoli parentali: non abbiamo alcuna pretesa su di lui, vorrei che questo fosse chiaro, se servisse però siamo disponibili a un sostegno a distanza. Poi chiedo, un po’ provocatoriamente, che il ministro Boschi sia seduta accanto a me al processo: siamo stanchi di rimanere soli, senza il supporto delle istituzioni. Infine che ci vengano riconosciute economicamente le spese vive, attraverso un fondo di emergenza. Abbiamo speso soldi per un’adozione che si è rivelata tutta una farsa, deve essere previsto un fondo per queste situazioni. Nell’affrontare il tema dei rimborsi – ora il ministro Boschi ha annunciato che ripartiranno – deve essere prevista una voce per le emergenze. Non penso solo alle truffe ma anche a un Paese che si blocca per un colpo di stato: le famiglie vanno tutelate, perché dopo aver fatto un mutuo per adottare, se le strade si chiudono bisogna ripartire daccapo e pagare tutto daccapo? Non è colpa della coppia né dell’ente. Ci deve essere uno strumento per garantire una seconda opportunità» (qui invece la lettera inviata da Fabio al Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Filomena Albano).

Fabio e Gessica ci sono riusciti. In casa oggi insieme a Daria – la figlia che avevano già adottato quando sono volati a Bishkek a conoscere Vova, anche lei vittima della vicenda, poiché l’altra sera a bruciapelo ha chiesto a papà «e se anche la mia adozione fosse falsa?» – oggi c’è Otavio, adottato in Brasile un anno e mezzo fa. «Avevamo adottato Daria con Airone, avevamo un credito enorme di fiducia nei loro confronti. Accettare questa storia è stato complicato, la nostra fiducia negli enti era pari a zero. Abbiamo trovato un altro ente, speso soldi daccapo, nessuno ci ha fatto favori né gli abbiamo chiesti». Perché proprio il Brasile? «Non avremmo mai potuto adottare in un Paese che prevede nel suo iter adottivo di conoscere il bambino e tornare a casa senza di lui, non avremmo mai più chiuso la porta di un istituto lasciando lì un figlio».


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