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Economia & Impresa sociale 

Prosperità inclusiva: l’ossimoro che sfida l’economia sul terreno della felicità

Tra aumento economico del reddito e riduzione del benessere sociale c'è stata una correlazione inversa. Un sistema economico alternativo al capitalismo, appunto l’economia civile, potrebbe alleviare davvero le diffuse cause di infelicità umana? L'economista Maria Vella rilegge le recenti Giornate di Bertinoro

di Maria Vella

Un viaggio ideale nel mondo dello studio del comportamento di animali fantastici (unicorno) e reali (castoro e zebra) può servire per invocare l’impellente necessità di accelerare il processo di una rinascita umana dell’individuo, e quindi dei mercati, di fronte alla globalizzazione, al pericolo della digitalizzazione e al contemporaneo senso di isolamento, disagio ed emarginazione dei migranti, dei poveri, dei disabili e perché no, anche dei nostri giovani. Nativi digitali per i quali manca un comune codice di comunicazione con noi, i migranti digitali e che, con Greta, hanno dimostrato di essere recettivi, consapevoli ed arrabbiati dei perduranti attacchi all’equilibrio ambientale da parte della nostra e precedente generazione, a causa di comportamenti spregiudicati ed egoistici, all’avarizia dei mercati ed alla cattiva amministrazione dei politici e delle istituzioni regolatrici. Le Giornate di Bertinoro sono cominciate così.

E poi, la “prosperità inclusiva” (dalle parole del Direttore AICCON, Paolo Venturi), un ossimoro per la teoria economia capitalista che, nell’economia civile, diventa un presupposto imprescindibile e necessario per il perseguimento del benessere economico-sociale delle società nel suo complesso, per la “riumanizzazione” dei mercati e il miglioramento della nostra e della prossima generazione.

Solo agli inizi di questo secolo, infatti, la teoria economica ha iniziato a riflettere sul fatto che la nuova ricchezza prodotta era associata ad un esercito di nuovi poveri, non solo economicamente e non solo nei territori marginali, ma anche all’interno delle città, ricche e progredite, fino a valutare il preoccupante aumento delle disuguaglianze economiche e sociali ed il preoccupante declino del benessere sociale in tutto il mondo. Il premio Nobel per l’economia 2019 è stato assegnato, infatti, per fondare una «nuova strategia per sconfiggere la povertà».

Prima di noi, la generazione precedente si era preoccupata di annullare la correlazione tra livello di reddito (o della ricchezza) e felicità degli individui, perché era meglio occuparsi di concentrare la distribuzione del benessere ed anche la vita familiare, l’amicizia, la cultura, le vacanze, lo sport e gli hobby fra pochi privilegiati, creando l’attuale condizione tra i “vincenti” ed i “perdenti” della globalizzazione. A partire dal nuovo millennio, a questo proposito, è stato emblematico l’eccezionale sviluppo economico nazionale della Cina, ovviamente non accompagnato dal miglioramento della vita di quasi 1 mld e mezzo di giovani cinesi (con età media di 37 anni); nel 1995, infatti, il PIL pro capite cinese riuscirà a triplicare quantitativamente, raggiungendo un reddito pari allo standard dei paesi mediamente sviluppati nel suo complesso, entrando in una fase di moderato benessere economico. Ma, questa esperienza di matrice socialista, l’unica che è riuscita a competere sul piano economico con l’Occidente si è avviata in ritardo rispetto al resto del mondo, cogliendo il ciclo di vita perverso dei paesi “avanzati”, anche perché connaturato con il totalitarismo.

Intanto, Sen A. K. (Nobel per l’economia nel 1998) per la crescita economica dei mercati suggeriva la considerazione dell’Indice di Sviluppo Umano (ISU), sintesi di tre dimensioni del benessere:

  • reddito (sviluppo economico);
  • istruzione (cultura e formazione innovativa, teorico-pratica);
  • salute (sanità).

Ne conseguiva che paesi con redditi bassi, ma alti livelli di scolarizzazione, bassi tassi di mortalità infantile ed innovazione civile e tecnologica, potevano raggiungere livelli dell’ISU più alti rispetto ai paesi con redditi pro-capite più elevati e poca diffusione di istruzione e sanità.

La spiegazione della correlazione inversa tra aumento economico del reddito e riduzione del benessere sociale (ampiamente affrontato dall’ “emerito” Zamagni), conseguenza del capitalismo e della spietata concorrenza dei mercati, ha causato nel tempo anche la diffusa perdita dell’identità e del senso di appartenenza dei lavoratori nel posto di lavoro, perché non sempre (o non tutti) coinvolti ed accolti nell’ambiente aziendale dato che, nelle economie occidentali, man mano che la società si è arricchita, è cresciuta anche la concorrenza, creando sempre più insofferenze e malesseri perché le società, la politica ed i mercati si sono sempre più orientati alla concentrazione del potere.

Queste condizioni potrebbero perdere di importanza o potrebbero tendere a scomparire se si prova ad invertire le regole del mercato orientandole verso l’economia civile? In altri termini, un sistema economico alternativo al capitalismo, appunto l’economia civile potrebbe alleviare le diffuse cause di infelicità umana?

D’altra parte, il materialismo ed anche Marx sostenevano che la felicità umana richiede una buona organizzazione dell’attività produttiva, raggiunta attraverso scelte collettive mentre la successiva visione della personalità, collegava la felicità ai momenti più nobili (lo studio e le attività artistiche) della attività umana. Per Keynes, infatti, l’uomo si realizzava in gran parte nel tempo libero o meglio, durante lo svolgimento delle attività più nobili (es. rapporti di amicizia, ..): questa visione delle cose può apparire in contrasto con la prima ma, in realtà, entrambe le teorie economiche parlavano di benessere del lavoratore, rivolgendo un certo apprezzamento verso il socialismo che, avrebbe potuto consentire di alleviare gli aspetti più sgradevoli del capitalismo, attenuando la concorrenza e riducendo la molla del profitto. Anche l’aristocratico britannico e filosofo Russel B., come Keynes, difendeva il tempo libero ma in lui era ancora più chiara la critica verso il lavoro fatto alle dipendenze altrui, perchè rendeva il lavoratore non molto diverso da uno schiavo, per la mancanza di una gestione democratica, la causa di infelicità della società di oggi.

Come non collegare questi cenni dei pilastri della teoria economica alla “prosperità inclusiva” affrontata nei suoi diversi aspetti (con sessioni, talk, lab) dalla XIX Edizione delle Giornate di Bertinoro, arricchite da un brainstorming con i giovani che, grazie ai dibattiti e confronti con esperti di settore, hanno potuto esprimere le loro idee, offrire proposte o dare spunti di riflessione, assumendo un meritato ruolo attivo e partecipativo alla discussione della direttrici di prosperità del loro futuro?

Come non collegare Bertinoro e l’ampia platea di autorevoli relatori alla felicità umana ed alla necessità di rafforzare il legame fra individuo e comunità, fra giovani ed anziani, fra nativi e migranti digitali, alla ricerca di un dialogo comune, in un clima di pace e di estasi, per la bellezza naturale del paesaggio?

Con un volo pindarico, potremo infine aggiungere anche il tentativo dell’incontro di suggerire, alla politica ed ai mercati, l’orientamento verso una efficace e corretta gestione strategica delle imprese profit e non profit, nel conseguimento dell’Impatto Sociale e dei suoi benefici effetti sui mercati moderni, sulla comunità e sui territori di tutto il mondo.

*Maria Vella è docente in Economia e gestione del Terzo settore all’Università di Siena, ideatrice e direttore scientifico di LET’S GO UNISI.IT

Foto di Gino Crescoli, Pixabay


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