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Moses salvato dalle acque e dalla bontà

Nella grandecasa al Sermig di Torino si curano ferite e si asciugano lacrime, come quelle di Moses e di sua mamma Giselle

di Fabrizio Floris

Moses è nato da una violenza subita in Libia dalla mamma dopo una lunga fuga dalla guerra che sta divorando il suo Paese. A due anni ha attraversato il Mediterraneo versando tutte le sue lacrime per la paura. Dopo un lungo vagare per diversi centri di accoglienza in Italia è arrivato con la mamma nella grandecasa di piazza Borgo Dora a Torino, al Sermig. Qui ha continuato a piangere, buttarsi per terra, ma dopo tanti abbracci e mille carezza si è calmato.

Quando l’ho visto e sentito per la prima volta ho pensato “Signore dammi la pazienza perché se mi dai la forza….”, la violenza che avevano subito Moses e Giselle mi penetrava: violenza richiamava violenza, la rabbia armava la collera. Ho iniziato a passare il sabato nella grandecasa e ad osservare quella scritta: “La bontà è disarmante”. Mi è parso, sul momento, uno slogan, una scritta ad effetto, di cui non capisci il significato (oppure un desiderio, un auspicio).

Ho iniziato a girarle intorno, a vedere, quelli che vivono e transitano nella grandecasa: volti, nomi comuni, Simona, Maria Pia, Ernesto, Beatrice, fuori sembrano come gli altri, ma dentro hanno la sensibilità dei bambini. Ti abbracciano, sorridono, si fanno in quattro, stringono mani, asciugano lacrime, curano ferite. Tuttavia, potrebbe essere anche questa una recita, il gioco di ruolo di chi si è iscritto nella fila dei “buoni”: fai il buono, ma non sei buono. Un fronte teatrale, ma se guardiamo dietro nel retroscena?

E qui girando, osservando le persone fuori dai momenti codificati di bontà che arriva la sorpresa: sono proprio così, disarmanti, te li porteresti a casa solo per la gioia di svegliarti e vedere i loro volti. Per essere anche tu come quelle foglie che si arrampicano sulla schiena delle piante più grandi solo per vedere il sole.


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