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Una notte in strada insieme alla Comunità di San Benedetto al Porto

Un reportage dell’impegno dell’ente nato dalla relazione con Don Andrea Gallo ad Alessandria, dove tra i tanti progetti, c’è l’unità di strada che va a incontrare e ristorare le persone che si prostituiscono in città

di Fabrizio Floris

L’appuntamento è in via Verona 116 presso la Comunità di San Benedetto al Porto di Alessandria dove i giovani di don Andrea Gallo continuano un’esperienza di vita fatta di luoghi di accoglienza, spazi per incontri, libri, laboratori artigiani, palestra, serate teatrali: una catena vitale fatta di mani che lavorano e si stringono e stringendosi cambiano la vita di un piccolo pezzo di città

Non ci sono orari di ufficio, non bastano le ore del giorno e della notte, infatti, la cena inizia alle 21,30, ma deve terminare entro le 22 perché a quell’ora bisogna uscire con l’unità di strada: una macchinina con la scritta rossa che si ferma a dare conforto e informazioni specifiche alle persone che si prostituiscono (o vengono prostituite) lungo i viali di Alessandria.

Alla guida c’è Fabio e dietro Cristina un’assistente sociale con un viso dolcissimo che sembra tirato fuori da un quadro di Raffaello. Pochi metri e l’auto si ferma per incontrare le prime due ragazze, il termometro segna zero gradi e la nebbia riduce la visibilità a pochi metri, Fabio tira fuori dalla macchina tè caldo, caffè e brioche, ma anche un numero di telefono a cui ci si può sempre rivolgere, perché è utile distinguere la prostituzione dallo sfruttamento, il mestiere dall’asservimento, la legalità dall’illegalità (com’è noto la prostituzione è legale, ma è vietato lo sfruttamento della prostituzione).

Salutiamo le ragazze perché occorre procedere, si seguono le strade intorno allo stadio in direzione Spinetta Marengo qui appare nel buio un’enorme skyline di luci come se fossero gli addobbi a festa della downtown di Manhattan, ma non sono vera luce nella vita delle persone: fanno nascere neoplasie.
Seconda sosta si parla portoghese Fabio consegna un test di gravidanza e un caffè con molto zucchero. È mezzanotte, bisogna procedere, lungo il viale della stazione ci fermiamo da una ragazza dai capelli neri e un modo di fare gentile e commovente, tè caldo, due parole sulla bambina e sul freddo di Timisoara, pochi metri altre due ragazze con minigonne e calze a rete (il termometro segna meno 2) poche parole, solo un bicchiere di tè.

Nella multietnicità della notte incontriamo solo due ragazze di origine africana, secondo Faith per il freddo. Quando le lancette sfiorano l’una la macchina si dirige verso una zona di capannoni dove c’è una trans che aspetta i clienti in auto, da qui in poi tutte le persone sono di provenienza sudamericana e a parte una ragazza che prende il tè e si mette in disparte, le altre parlano a lungo in modo scherzoso, fanno battute, mentre intorno la desolazione è totale, la nebbia sospende in aria le luci dei lampioni come lucciole che non riescono a toccare terra.

L’ultima donna si trova vicino ad un nuovissimo centro commerciale che da quando sono terminati i lavori e gli operai se ne sono andati non ha più clienti. Starà qui fino alle 5, ha freddo e a 47 anni inizia ad avere male alla schiena.

Si torna in via Verona, domani bisogna portare vestiti in carcere, sempre con la risolutezza degna delle cause migliori. Nulla di ordinario per chi non considera le persone come problemi, ma ha fiducia nel cambiamento possibile anche se è necessario andare in direzione contraria (e ostinata).


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