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Videogiochi, microtransazioni e scatole a sorpresa: una guida per orientarsi

Le lot box stanno entrando sempre più nel mondo giovanile. Attraverso i videogiochi, queste "scatole" muovono fiumi di denaro e creano dipendenza. Un fenomeno da capire, per comprendere dove si sta dirigendo il mondo dell'azzardo. La terza puntata del nostro reportage

di Fabio Turroni

Un primo passo su cui orientarsi è capire la differenza tra microtransazioni puramente cosmetiche e quelle che hanno un reale impatto nel gioco. Partiamo dalle microtransazioni cosmetiche, che qualcuno definisce “etiche”: si tratta dell’acquisto di abiti, mosse o stili in grado di personalizzare l’avatar del giocatore.

Analizzando i dati del 2018, l’anno successivo al lancio di un colosso come Fortnite, si evince che il 68,8% degli intervistati ha fatto acquisti per una media di 84,67 dollari. Tuttavia, il 20% di questi utenti non ha capito che gli acquisti in Fortnite sono puramente cosmetici, con tanto di avviso nello shop virtuale: questi giocatori fanno acquisti per ottenere vantaggi inesistenti.

Michael Patcher, famoso analista di videogiochi e social media, colpevolizza i giocatori per la loro stupidità, eleggendoli a primi responsabili del proliferare delle microtransazioni: se non fosse che Patcher si era proposto ad Electronic Arts per aiutarli a massimizzare i profitti con le microtransazioni, potremmo quasi prenderlo seriamente.

Veniamo al lato oscuro, ovvero le microtransazioni classiche, di cui fanno parte le loot boxes: vantaggi o ricompense acquistati in gioco o, peggio ancora, vinti in una lotteria a pagamento sulla cui aleatorietà reale si dibatte accanitamente. In principio lo scambio era certo e la gratifica del giocatore era immediata. Ma in un negozio virtuale dove tutti possono fare gli stessi acquisti, quanto può durare realmente la gratificazione? Per prevenire un’emorragia di giocatori sono nate le loot boxes: il premio è solitamente casuale, ma, per aggirare le accuse di gioco d’azzardo, il giocatore viene messo a conoscenza delle varie ricompense che potrebbe ottenere (ma non delle reali probabilità).

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Clash of Clans, noto strategico mobile ha permesso agli sviluppatori di arrivare ad un guadagno giornaliero di oltre 6 milioni di euro, pur essendo scaricabile gratuitamente. Ad Ottobre 2019 veniamo a conoscenza di un utente che avrebbe speso ben 150 mila dollari per il gioco mobile Transformers Earth Wars: a riportarlo è Henry Fong, fondatore e CEO di Backflip Studios, casa di sviluppo del gioco, che non solo non è preoccupato per l'accaduto, ma arriva alla conclusione che i giochi free-to-play devono essere costruiti intorno alla monetizzazione per spingere i giocatori a spendere sempre di più.

Il culmine è NBA 2K20, noto simulatore di pallacanestro, con un sistema di loot boxes che trasforma le critiche in una mossa di mercato voluta. Il gioco d’azzardo diviene un “mini-gioco” sotto forma di slot machine per vincere nuovi giocatori da utilizzare. In questo caso, la stupidità presunta da Patcher incontra il plateale invito a divertirsi con l’azzardo.

C’è poi Nintendo, da sempre vicina alle fasce di età più giovani, che cerca da tempo di trovare una formula poco invasiva per le microtransazioni, ma cade nella trappola con il recente Pokémon Masters: 10 milioni di download a pochissimi giorni da un lancio accompagnato da parecchie lamentele per il sistema di microtransazioni. Nello specifico, con una spesa di 1,09€ è possibile acquistare 100 gemme (moneta virtuale del gioco), che non assicurano di pescare un personaggio di livello superiore a quello che avremmo potuto comunque pescare usando gemme normalmente cumulabili in gioco.

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Con una spesa di 26,99€, invece, avremo un’estrazione di 10 personaggi, ma solo una volta per ogni profilo: un personaggio a 5 stelle è garantito. Il gioco è scaricabile per cellulari, è classificato come PEGI 3: secondo il sistema Pan Europen Game Information può essere giocato a tutte le età e certamente i Pokémon non hanno bisogno di presentazioni tra bambini e adolescenti.

Si può ancora parlare di stupidità di fronte ad un pubblico non ancora maturo e attratto da personaggi iconici? Le agenzie di socializzazione come scuola e famiglia si allargano a nuovi soggetti che gravitano nella vita di bambini e adolescenti attraverso l’esperire comune di svaghi condivisi, tra cui appunto i videogiochi.

Le fasce d’età maggiormente esposte vanno protette attraverso un dialogo costruttivo tra genitori e figli: demonizzare i videogiochi è una mossa da evitare. Al contrario, l’esplorazione guidata di mondi virtuali può agevolare i giovani giocatori, tenendoli al riparo da fenomeni come cyber-bullismo, contenuti vietati e loot boxes. Un genitore non deve estraniarsi a priori dall’universo ludico dei propri figli, bensì cercare di conoscerlo e approfondirlo nei limiti del possibile: mettere le mani al portafogli per assicurare vantaggi è un insegnamento da evitare.

Un altro elemento da valorizzare è il tempo: spingere ad un divertimento costruttivo, investendo tempo per una passione, senza ricorrere a banali mezzi per accelerare l’esperienza di gioco. Infine, anche una microtransazione cosmetica deve essere vista come non necessaria: poco importa se non appariamo diversi agli altri o se il nostro avatar è del tutto identico a quello con cui abbiamo iniziato il gioco. Ciò che conta è l’esperienza e il divertimento che questa può offrire.

(3 – Fine)


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