Attivismo civico & Terzo settore

Le relazioni di potere nel settore filantropico

L'intervento del senior Advisor di Human Foundation sul ruolo delle Fondazioni in questa fase storica così delicata segue quelli di Carazzone, Borgomeo e Mento

di Filippo Montesi

L’appassionato e brillante intervento di Carola Carazzone evidenzia la necessità, ancora più forte nell’attuale situazione di emergenza sociale, di adottare forme di supporto al Terzo Settore più evolute che rafforzino, da una parte, la sostenibilità e la resilienza, dall’altra, l’efficacia delle organizzazioni. La tesi sostenuta da Carazzone è corroborata oramai da tempo da vastissima evidenza teorica ed empirica[1]. Articoli e ricerche scientifiche spiegano il lapalissiano concetto che non ci possono essere interventi sostenibili da parte delle organizzazioni del Terzo Settore se queste non sono solide sia organicamente che finanziariamente.

Saggiamente Federico Mento indica due direttrici di sviluppo, le competenze delle organizzazioni e l’approccio sistemico a problemi sociali complessi. Se la direzione indicata appare condivisibile, le cause per cui tale direzione non è intrapresa, se non in sporadici casi come nelle sperimentazioni segnalate dal presidente Carlo Borgomeo, rimangono ancora inevase. A partire da una corretta analisi delle cause possiamo definire reali percorsi di cambiamento nelle politiche e nelle pratiche filantropiche.

Come prima causa ostativa, è addotta la legittima preoccupazione di assicurare trasparenza all’erogazione di risorse scarse. Tuttavia, la trasparenza può essere garantita anche al di fuori dello schema del finanziamento a progetto, per esempio fornendo evidenza rispetto ai risultati ottenuti, consentendo la verifica di tale evidenza da terzi, comprovando la legittimità sociale dell’organizzazione rispetto ai propri stakeholder diretti. Inoltre, anche il finanziamento degli investimenti e dei costi indiretti delle organizzazioni può essere sottoposto a rendicontazione e pubblicità.

Più raramente è citata come ostacolo a forme più avanzate di filantropia la relazione di dipendenza che il sistema dei progetti crea tra donatori e organizzazioni del Terzo settore. Questo rapporto di dipendenza della domanda rispetto all’offerta di risorse è segnato da una relazione di forte sbilanciamento di potere. Le restrizioni all’autonomia delle organizzazioni nell’impiego delle risorse finanziarie rafforzano questo sbilanciamento, limitando la visione progettuale al breve periodo (i progetti hanno solitamente breve durata), condizionando le capacità di realizzazione (gli investimenti in risorse umane e sviluppo tecnologico sono scarsamente sostenuti) e pertanto rafforzando la dipendenza da frequenti e frammentate richieste di liquidità per mantenere una fragile gestione corrente.

Dato la significativa capacità di finanziamento e influenza, le fondazioni filantropiche hanno il privilegio di poter condividere parte del loro potere alle organizzazioni che vogliono sostenere. Dovremmo uscire dallo schema di un “gioco a somma zero”, dove è possibile solo trasferire potere da un soggetto a un altro, e abbracciare una visione per cui il potere può essere condiviso o ancora mutuamente rigenerato. È da questa condivisione di potere che le organizzazioni del Terzo Settore possono trarre maggiore agency, ovvero la capacità di agire autonomamente sulla base di scelte libere orientate ai bisogni complessi a cui si rivolgono. Se non affrontiamo la scomoda conversazione sui disequilibri nelle relazioni di potere che il settore filantropico vive, temo che le ottime idee e sperimentazioni rimarranno sempre residuali.


[1] The Nonprofit Starvation Cycle: Empirical Evidence From a German Context Peter Schubert, Silke Boenigk

Gregory, A. G., Howard, D. (2009). The nonprofit starvation cycle. Stanford Social Innovation Review, 7(4), 49-53.


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