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Beni confiscati, l’assegnazione diretta al Terzo settore sia solo un primo passo del cambiamento

L'intervento del presidente di Fondazione con il Sud: “Le linee guida dell’Agenzia fanno una scelta netta e lungimirante, prevedendo un’assegnazione decennale. Intervenire sui beni confiscati significa garantirne la piena utilizzazione a fini istituzionali, sociali, di promozione di attività economiche non profit. Ora si può e si deve riaprire il dibattito sul sistema complessivo di gestione dei beni confiscati”

di Carlo Borgomeo

La decisione assunta dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati di varare le linee guida e preparare un bando per assegnare 3 mila immobili confiscati alle mafie direttamente a soggetti non profit, è certamente una gran bella notizia (qui la news). Si dà in tal modo attuazione a quanto previsto nel 2017 dalla riforma del Codice antimafia. Questa iniziativa, che il Direttore dell’Agenzia, il Prefetto Frattasi, ha fortemente voluto, può finalmente rappresentare una discontinuità ed avviare un processo di radicale cambiamento nella gestione dei beni confiscati che negli ultimi anni ha presentato non poche criticità.

Le riflessioni che sviluppo in questa nota sono frutto della decennale esperienza della Fondazione Con il Sud che, attraverso 4 bandi, due dei quali cofinanziati dalla Fondazione Peppino Vismara, ed il sostegno a progetti presentati su altri bandi ( volontariato, sviluppo locale, socio sanitario, migranti….), e che si proponevano di utilizzare beni confiscati, ha fino ad oggi sostenuto la valorizzazione di 102 beni confiscati, per un totale di erogazioni pari a 20milioni 870 mila euro. Si tratta di 67 fabbricati, 34 terreni agricoli ed un bene mobile registrato (un natante). 39 progetti in Campania, 27 in Sicilia, 18 in Puglia, 16 in Calabria, uno in Basilicata ed uno in Sardegna. L’esperienza di questi anni e la fatica dei soggetti interessati e degli Uffici della Fondazione in materia di concessione da parte degli Enti locali è stata enorme. Molti progetti sono “partiti” anche un anno dopo la nostra approvazione per la difficoltà registrate nei rapporti con gli Enti Locali. Negli ultimi bandi abbiamo dovuto porre condizioni molto stringenti da questo punto di vista, pretendendo la garanzia che i soggetti responsabili dei progetti avessero una concessione almeno decennale per il bene loro assegnato. Molti Comuni, ancora adesso, fanno bandi che prevedono assegnazioni biennali: una logica assurda, figlia di una cultura che sottovaluta la complessità dei problemi di valorizzazione dei beni e, soprattutto l’esigenza di avere prospettive ragionevoli di tempo per assicurare ai progetti un minimo di sostenibilità. Si ha l’impressione che alcune Amministrazioni comunali si muovano nella concezione che il bene, di loro proprietà, possa essere assegnato per fare un favore a soggetti di Terzo settore, che devono invece misurarsi, duramente, con i problemi della ristrutturazione e della gestione. Da questo punto di vista le linee guida dell’Agenzia fanno una scelta netta e lungimirante, prevedendo un’assegnazione decennale.

L’altra grande questione è relativa al fatto che, tradizionalmente, l’intervento pubblico, per motivi riconducibili alla cultura prevalente nella pubblica amministrazione ed in particolare per la gestione dei Fondi strutturali, ha sempre preferito finanziare le spese per la ristrutturazione dei beni e non quelle relative alla gestione. Il precedente PON sicurezza si è mosso in questa direzione e, complessivamente, non ha raggiunto grandi risultati. Paradossalmente, infatti, un intervento che mette a nuovo un bene confiscato, ma lo lascia inutilizzato, determina una reazione doppiamente negativa nei territori. Perchè alle perplessità derivanti dalla mancata utilizzazione di un bene, si aggiunge la verifica di un sostanziale spreco di danaro pubblico. Intervenire sui beni confiscati significa garantirne la piena utilizzazione a fini istituzionali, sociali, di promozione di attività economiche non profit. Da questo punto di vista è apprezzabile lo sforzo dell’Agenzia che con il bando prevederà , oltre all’assegnazione dei beni, anche un piccolo contributo economico alle organizzazioni assegnatarie. Ma questo contributo è troppo basso e bisogna, da subito, orientare in questa direzione altre risorse da destinare, oltre che alla ristrutturazione dei beni, alla gestione delle attività. Lo schema giusto è quello seguito dalla nostra Fondazione che riconosce una quota prevalente dei contributi da destinare alla gestione ed una, minoritaria, per le opere di ristrutturazione. Se la nostra Fondazione avesse risorse sufficienti potrebbe intervenire per rafforzare l’intervento dell’Agenzia destinando contributi aggiuntivi ai diversi assegnatari. Ma le dimensioni sono tali da richiedere un forte intervento pubblico a valere, presumibilmente, sui Fondi strutturali.

Questa iniziativa, come dicevo all’inizio, può e deve riaprire il dibattito sul sistema complessivo di gestione dei beni confiscati: negli scorsi anni avevamo predisposto con la Fondazione Cariplo, la Fondazione Sicilia, la Fondazione di Padova e Rovigo, la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna ed il Forum del Terzo settore un documento che proponeva radicali innovazioni. Non ha avuto molto seguito perché alcune delle proposte sono forse apparse troppo radicali: come quella di trasformare l’Agenzia in un Ente pubblico economico con competenze a 360 gradi in materia di immobili, beni mobili registrati, aziende confiscate. O come quella che chiedeva di destinare parte delle somme e dei titoli confiscati, che attualmente confluiscono nel FUG (Fondo unico giustizia) che li utilizza per una pluralità di scopi, alla gestione e valorizzazione dei beni confiscati.

Adesso, a mio avviso, bisogna lavorare per introdurre una norma che trasferisca, a titolo gratuito la proprietà dei beni confiscati a soggetti di Terzo settore che abbiano dimostrato , per un periodo di tempo abbastanza lungo ( 7 anni) di saper gestire in modo serio ed in modo economicamente sostenibile il bene stesso. Una norma del genere, che va costruita individuando rigorosi e trasparenti criteri di valutazione, avrebbe tre enormi vantaggi: (i) sgraverebbe lo Stato o gli Enti locali da ingenti costi di manutenzione; (ii) costituirebbe uno straordinario strumento di rafforzamento patrimoniale dei soggetti di Terzo settore; (iii) rappresenterebbe la risposta politicamente più netta alle mafie che vedrebbero i loro beni non solo confiscati, ma dati in proprietà a soggetti che si alimentano di valori e praticano comportamenti che sono l’esatto contrario della cultura mafiosa.

I numeri relativi ai beni confiscati e la grande rilevanza del tema impongono la ricerca di soluzioni innovative. La grande battaglia contro le mafie si vince sul terreno della legalità, ma, contemporaneamente e non in alternativa, facendo dei beni confiscati un’occasione di sviluppo ed occupazione.

*Presidente di Fondazione con il Sud


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