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Il Giornale di Brescia rinuncia alla sua pagina Facebook: una scelta radicale contro la disinformazione

Il quotidiano di Brescia, primo caso in Italia, annuncia che non aggiornerà più la sua pagina FB oggetto di attacchi da parte di bot: è il segnale – preoccupante – che il flusso della disinformazione non si è arrestato e ha assunto un andamento carsico, puntando ad attaccare il rapporto vitale tra fiducia, informazione e territorio

di Marco Dotti

Il Giornale di Brescia, 28mila copie, primo caso in Italia decide di sospendere gli aggiornamenti della sua pagina Facebook. Le ragioni: le spiega Nunzia Vallini, che il giornale lo dirige.

Troppo odio, commenti deliranti, insulti. Una «piazza inquinata da troppo rancore». Mai come ora l'informazione territoriale, affidabile e credibile, è cruciale. Anche la sua diffusione sulle piattaforme è cruciale. Lo è stata durante la prima ondata della pandemia che ha colpito duramente Brescia: il quotidiano, oltre al suo ruolo di raccordo tra fatti e racconto di quei fatti, ha organizzato, alimentato e rendicontato una raccolta fondi straordinaria che ha mosso tutta la società civile bresciana.

Una raccolta da 18milioni di euro (qui i dati) che hanno permesso di acquistare respitatori e mascherine in un momento davvero critico per la comunità. Anche la pagina FB del Giornale di Brescia è stata importante. In quei giorni come non mai.

Perché chiuderla? Spiega la direttrice: «ci siamo ritrovati bombardati da commenti ai nostri post con il palese obiettivo di infiammare il dibattito, godere dell’algoritmo di Fb che privilegia la visibilità dei contenuti che innescano più reazioni, e approfittare della nostra piazza per diffondere messaggi diametralmente opposti al nostro sentire».

In azione pare sano entrati i classici bot, «che hanno reso vano ogni tentativo di moderazione manuale». Ecco perché, conclude Vallini, «abbiamo messo in lockdown la nostra pagina Fb: scendiamo da questa giostra, usciamo da questa piazza malsana che ci fa diventare quello che non siamo, che non siamo mai stati e che non vogliamo diventare, ovvero la piattaforma di lancio di chi sfrutta questo tipo di dinamiche alimentando scontri e tensioni, oltre che una vera e propria campagna di disinformazione spacciata per sedicente controinformazione».

La chiamano shitstorm, letteralmente: tempesta di fango. In Francia hanno scelto di chiamarle infox: informazioni tossiche.
Un caso isolato? Tutt'altro: è il segnale – preoccupante – che il flusso della disinformazione non si è arrestato e ha assunto un andamento carsico, puntando ad attaccare il rapporto vitale tra fiducia, informazione e territorio.

Nel suo ultimo romanzo, Tempi duri, Mario Vargas Llosa racconta come una sola fake news possa compromettere il destino di un Paese. Stentiamo a immaginare cosa possa accadere, in un tempo in cui le false notizie sono legione. Sarebbe importante fermarsi e discuterne. Ci giochiamo molto. Forse tutto.


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