Welfare & Lavoro

Risorse o riforme? Come due lettere cambiano il futuro degli anziani non autosufficienti (e del Paese)

Nel PNRR non si vede un progetto organico per la non autosufficienza, come se il futuro del Paese potesse prescindere dalla demografia. Il Network Non Autosufficienza lancia una proposta: «Partiamo dal disegno della riforma. II PNRR al contrario stanzia risorse senza modificare il modello di intervento. Così rischiamo fra cinque anni di trovarci con un welfare che ha solo consolidato i suoi punti deboli di oggi». Domiciliarità come priorità e un piano straordinario per ammodernare le RSA

di Sara De Carli

Due sole lettere di differenza, che però segnano un approccio opposto. Risorse o riforme? Da dove vogliamo partire per affrontare il gigantesco tema dell’assistenza agli anziani non autosufficienti nel nostro Paese? Sempre che si voglia farlo perché invece, paradossalmente, nel disegno che l’Italia sta immaginando per il suo futuro la non autosufficienza non c’è: come se potessimo prescindere dai numeri della demografia da un lato (le persone con almeno 80 anni, tra cui si concentrano in maggioranza i non autosufficienti, se erano 100 nel 2000 oggi sono già 198 e nel 2030 diventeranno 234) e dall’altro dai problemi stranoti dell’attuale modello di presa in carico della non autosufficienza (chiunque abbia una persona coinvolta in famiglia li conosce), tanto che una riforma nazionale è invocata all’unanimità almeno da 25 anni. Invece nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR) un progetto dedicato alla non autosufficienza manca.

Il Network Non Autosufficienza, coordinato da Cristiano Gori, ha elaborato una “proposta aperta” per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, intitolata “Costruire il futuro dell’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia”. «Una proposta aperta a idee di miglioramento, correzioni e ipotesi di sviluppo, che abbiamo cominciato a scrivere a inizio gennaio, dopo aver verificato che il PNRR non “vede” la realtà degli anziani non autosufficienti», dice il professor Gori. «Speriamo che diventi il punto di partenza per una discussione costruttiva e che si apra un ampio confronto pubblico per dare risposta alla domanda “quale progetto potrebbe essere utile agli anziani non autosufficienti e ai loro familiari, nel PNRR?”. La domanda, appunto, che l’attuale versione del Piano non si pone».

Progetto è la parola chiave e il vostro punto di partenza. Perché tanta insistenza? In fondo azioni e soldi sulla non autosufficienza sono già previsti.L’elemento riformatore è l’asse portante della nostra proposta, coerentemente con la richiesta della Commissione Europea di rafforzare il PNRR italiano in questa direzione. Nell’attuale versione gli interventi sulla non autosufficienza sono disseminati tra diverse filiere istituzionali (sociale e sanità), con una pluralità di obiettivi eterogenei, ma senza mai affrontare la domanda chiave su cosa potrebbe essere utile agli anziani non autosufficienti e alle loro famiglie. Manca un progetto. Il dibattito attorno al PNRR oggi è molto schiacciato sulle risorse (cioè gli investimenti una tantum che il Piano può finanziare nel periodo 2022-2026), mentre si parla poco di riforme. Noi non siamo partiti dagli stanziamenti perché non pensiamo che ci sia solo un problema di quantità ma anche di qualità. Il punto è che più fondi sul welfare possono essere usati per riprodurre le criticità di oggi su scala maggiore: è un pericolo forse poco considerato ma, finite le risorse del PNRR, fra cinque anni, rischiamo di trovarci con un welfare che ha solo consolidato i punti deboli di oggi. Questo vale per tanti temi, non solo per la non autosufficienza. Ecco, noi per essere utili abbiamo provato a immaginare un progetto, ovviamente aperto alla discussione e al miglioramento.

Il punto è che più fondi sul welfare possono essere usati per riprodurre le criticità di oggi su scala maggiore: è un pericolo forse poco considerato ma, finite le risorse del PNRR, fra cinque anni, rischiamo di trovarci con un welfare che ha solo consolidato i punti deboli di oggi.

Cristiano Gori

Concretamente avere una logica di riforma e di progetto che significa?Di riforma nazionale della non autosufficienza si discute dalla fine degli anni 90, senza che sia mai partita. Le difficoltà del sistema sono evidenti e questo, insieme ai tassi di invecchiamento, suggerisce che il PNRR è un’occasione imperdibile per avviarla. Il PNRR al momento fa il contrario: stanzia risorse senza modificare il modello di intervento. Ora, è ovvio che una risposta decisiva ai problemi della non autosufficienza dovrebbe essere l’aumento della spesa corrente, banalmente perché oggi gli over 65 che ricevono servizi domiciliari sono pari al 3,7% contro ad esempio il 9,5% della Germania o il 7,1% della Spagna. Il PNRR, però, non può agire sulla spesa corrente. D’altra parte, le leve disponibili – riforme e investimenti una tantum – permettono di predisporre un primo pacchetto di interventi, l’inizio del percorso di riforma. Sarebbe una solida base su cui poi poggiare ulteriori auspicabili sviluppi.

Lo schema che avete scelto per la vostra proposta aperta è quello di indicare i problemi attuali del sistema, individuare alcune proposte di intervento prioritarie e coerenti tra loro (cinque) e fornire delle prime schede tecniche molto operative. E il tema risorse quando arriva?
La nostra proposta richiede 7 miliardi. Si tratta sicuramente di più risorse di quelle previste ad oggi dal PNRR ma non saprei dire quante in più perché essendo le azioni per gli anziani spalmate anche su altre categorie di persone non lo si può comprendere con precisione. Di questi 7 miliardi il grosso, 5 miliardi in cinque anni, li abbiamo messi per la riforma della domiciliarità perché la priorità e perché la sua riforma complessiva, che noi proponiamo, dovrebbe essere sostenuta da un finanziamento adeguato. Si può iniziare anche con meno soldi, per noi non è questo il punto: il punto – lo ripeto ma credo ormai sia chiaro – è avere un progetto. Questo peraltro è anche il modo di tenere insieme le giuste richieste di tutti: se si imposta il dibattito a partire dalle risorse, sarà sempre una gara a sgomitare e a dire che “il mio problema è più importante del tuo”. Se la guardi la guardi dal punto di vista delle riforme invece, se vuoi costruire un progetto per il Paese, devi mettere insieme i pezzi… Nel progetto per il futuro del Paese non può non esserci la non autosufficienza così come non può non esserci la natalità, l’infanzia, i giovani. Ma una visione della società la costruisci solo se accentui la parte delle riforme.

La nostra proposta richiede 7 miliardi. Il grosso, 5 miliardi in cinque anni, li abbiamo messi per la riforma della domiciliarità perché la priorità e perché la sua riforma complessiva, che noi proponiamo dovrebbe essere sostenuta da un finanziamento adeguato

Prima di vederle nel dettaglio, che cosa hanno in comune le vostre proposte?
Sono tutte azioni ampiamente condivise. A ogni livello, quello politico, tecnico, di pratica… Scherzando ma non troppo potremmo dire che la nostra proposta non ha nulla di originale, sono le cose che nel mondo della non autosufficienza sono attese da tanto tempo: ma questo è il punto di forza. Un secondo punto di forza è la valorizzazione di quello che già c’è, che è la regola base di qualsiasi intervento di sviluppo locale. In concreto, ciò significa non chiedere cambiamenti inutili ai territori che già lavorano bene. In molte parti del PNRR relative al welfare, invece non si considerano le specificità dei diversi sistemi di welfare locale.

Concretamente quindi, criticità e possibili soluzioni. Da dove cominciare?
Un problema è che il sistema è oggi frammentato, sia nell’accesso sia nelle risposte. La prima cosa è la semplificazione, intesa come unificazione dei passaggi da svolgere per accedere alle misure pubbliche, oggi fornite separatamente da Asl, Comuni e Inps. Le diverse risposte, inoltre, vanno ricomprese in un progetto unitario, cruciale per l’intervento personalizzato. Inoltre, serve una riforma del sistema di governance istituzionale che promuova il coordinamento tra le diverse linee di responsabilità. Questo passaggio non risolve i problemi ma che è premessa per la loro soluzione, perché è l’assetto istituzionale che dà le condizioni per cambiare le dinamiche di lavoro sul territorio.

Abbiamo detto domiciliarità come priorità…
È una priorità assolutamente condivisa. Noi ne proponiamo una riforma complessiva. Oggi spesso vediamo modelli di intervento che sono solo in parte confacenti alle condizioni specifiche delle persone non autosufficienti, specificità che sta nelle plurime fragilità, su cui occorre avere uno sguardo globale. L’approccio specifico alla non autosufficienza, infatti, è quello del care multidimensionale, che è il fulcro della riforma. Ciò significa prevedere progetti sul caso che partano da uno sguardo globale sulla condizione dell’anziano, sui suoi molteplici fattori di fragilità, sul suo contesto di vita e di relazioni. Vogliamo così superare il paradigma di natura clinico-sanitaria (cure) – che si traduce nell’erogazione di prestazioni per rispondere a singole patologie – oggi predominante nei servizi domiciliari delle Asl (ved l'Adi, i più diffusi). In pratica, ciò significa fornire sia interventi di natura medico-infermieristica sia quelli – oggi marginali – di aiuto nelle attività fondamentali della vita quotidiana, che la non autosufficienza preclude all’anziano di poter compiere da solo. Ampliare lo sguardo vuol dire anche riconoscere la fatica delle reti informali, prevedendo interventi di affiancamento e sostegno dedicati a caregiver familiari e badanti. Lo sguardo globale, inoltre, richiede di collocare gli interventi oggi forniti separatamente da Asl, Comuni e Inps all’interno di un sistema di domiciliarità organico, che sappia offrire a ogni anziano coinvolto una risposta unica e coerente. È il punto già espresso prima rispetto al superamento della frammentazione, che è evidentemente condizione necessaria per avere una visione d’insieme sulle condizioni dell’anziano.

Vogliamo superare il paradigma di natura clinico-sanitaria (cure), che si traduce nell’erogazione di prestazioni per rispondere a singole patologie, oggi predominante. In pratica, ciò significa fornire sia interventi di natura medico-infermieristica sia quelli – oggi marginali – di aiuto nelle attività fondamentali della vita quotidiana

E le strutture residenziali?
L’altro investimento straordinario che vediamo bene è quello per un piano nazionale per la riqualificazione delle strutture residenziali, che ne assicuri il necessario ammodernamento. È un’esigenza nota da tempo, che la pandemia ha confermato con tutta evidenza. Basti pensare, ad esempio, che una maggiore disponibilità di stanze singole – oggi in minoranza all’interno delle strutture – avrebbe aiutato il contenimento dei contagi. In generale, è dimostrato che migliorare la dotazione infrastrutturale influisce positivamente sulla qualità della vita degli anziani residenti.

Foto Unsplash


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