Welfare & Lavoro

Riders e Gig-economy, l’Europa lancia una consultazione e un confronto tra parti sociali

A Bruxelles, la Commissione Europea ha annunciato l'avvio della prima fase di consultazione con le parti sociali al fine di tutelare i lavoratori sulle piattaforme digitali La Commissione europea ritiene che l'azione europea consentirebbe quindi di migliorare le condizioni di lavoro delle persone impiegate tramite le piattaforme digitali, evitando che si complichi ulteriormente il “mosaico normativo” esistente tra gli Stati membri.

di Giuseppe Guerini

Ieri, mentre a Milano interveniva la magistratura sulla questione dei ciclo-fattorini riempiendo ancora una volta il vuoto lasciato dalla politica che sulla regolamentazione dei lavoratori di piattaforma non ha saputo andare oltre le dichiarazioni d’intento, a Bruxelles, la Commissione Europea ha annunciato l'avvio della prima fase di consultazione con le parti sociali al fine di tutelare i lavoratori sulle piattaforme digitali.

Come d’abitudine oggi i media italiani parano della questione lavoratori di piattaforma nelle cronache giudiziarie per la gioia delle opposte tifoserie che possono alimentare vane polemiche, sull’obbligo di assunzione imposto alle piattaforme per circa 60.000 lavoratori. Un numero che ben si presta ai titoli dei giornali, ma che per lavoratori e imprese si tradurrà in un lungo percorso per il contenzioso nelle aule del tribunale, mentre con tutta probabilità i decisori politici rilasceranno qualche dichiarazione, senza assumere un’iniziativa legislativa.

Nessuna traccia invece sui media dell’iniziativa della Commissione, che quantomeno sceglie di assumere la questione e di intraprendere un percorso politico di un approfondimento con una consultazione che si inquadra nel quadro della comunicazione “Un'Europa sociale forte a favore di una transizione giusta”; lanciata nel gennaio 2020. La Commissione europea sceglie cioè di aprire una consultazione formale e trasparente delle parti sociali, che durerà 6 settimane e punta a determinare la necessità o meno di un'iniziativa legislativa europea. Del resto molte delle piattaforme della “gig-economy” sono imprese multinazionali che vivono nell’info-sfera digitale e quindi, per quanto gli Stati membri stiano iniziando in un ordine sparso a controllare meglio le attività di queste piattaforme, concentrandosi soprattutto su approcci settoriali o prendendo di mira le “piattaforme a livello nazionale” (come nel caso dell’intervento di Milano) che necessariamente si muovono a partire dalla legislazione vigente – che non sempre sono al passo con le trasformazioni rapide dell’economia digitale.

La Commissione europea ritiene che l'azione europea consentirebbe quindi di migliorare le condizioni di lavoro delle persone impiegate tramite le piattaforme digitali, evitando che si complichi ulteriormente il “mosaico normativo” esistente tra gli Stati membri. L’auspicio che faccio è che l'iniziativa europea consenta di affrontare con razionalità e propensione innovativa la grande questione della classificazione dello status professionale dei lavoratori delle piattaforme digitali. Certamente una soluzione è quella che passa dalla riclassificazione dei “falsi” lavoratori autonomi come lavoratori dipendenti, ma credo non sia sufficiente, poiché è evidente ormai che in alcuni settori la barriera rigida che distingue il lavoro dipendente dal lavoro autonomo è diventata permeabile e in continua evoluzione, così come sono del in molti casi superate, dalle tecnologie decentralizzate, le esigenze di verticalizzazione gerarchica e di concentrazione dell’organizzazione del lavoro, regolata con la tradizionale contrattazione collettiva.

Quello di cui c’è bisogno è l’individuazione di regole e strumenti per garantire condizioni di lavoro eque e proteggere dai rischi economici e sociali per le persone che lavorano sulle piattaforme. Serve inoltre individuare una via europea che garantisca l’equità dei processi decisionale automatizzati con gli algoritmi, che assegnano il lavoro sulle piattaforme, introducendo criteri di trasparenza, supervisione, responsabilità e rispetto delle norme sulla protezione dei dati.

Come già in altre occasioni ho sostenuto, tra gli strumenti che andrebbero valutati con grande attenzione vi è quello della organizzazione in forma cooperativa. Tengo in grande considerazione e ho grande rispetto dalla contrattazione collettiva, ma l’osservazione dei fenomeni collegati all’evoluzione del lavoro per effetto della digitalizzazione diffusa, sembrano dirci che questa non basta più ad assicurare diritti collettivi e sufficienti tutele in un contesto di grande trasformazione. Serve infatti poter dotare le persone che lavorano sulle piattaforme degli strumenti necessari per cogliere tutte le occasioni della flessibilità e delle innovazioni possibili, nel mercato digitale, dove non basta orientare una carriera sui binari della contrattazione per avere accesso allo sviluppo professionale, ma serve anche attivare le leve della propensione all’intrapresa e all’autonoma gestione del lavoro. Ma soprattutto serve sviluppare forme di proprietà collettiva delle piattaforme affinché i lavoratori possano partecipare alla governance dell’impresa e possano avere accesso alle quote di valore aggiunto generate dai dati e dalla gestione della catena digitale (che dall’ordine al trattamento dei dati, dall’algoritmo di distribuzione, alla consegna) assicuri una più equa distribuzione dei ricavi e quindi del reddito generato dal lavoro, dal capitale investito e soprattutto dai dati, che sono sempre più la componente a più alto contenuto di valore aggiunto e che nel modello di business delle piattaforme digitali viene totalmente assorbito con modalità tutt’altro che trasparenti.

Come movimento cooperativo europeo ci stiamo preparando a rispondere alla consultazione cercando di creare un piccolo spiazzamento nella dinamica conflittuale che già si sta dispiegando tra Sindacati e Datori di lavoro. Già ieri infatti Business Europe postava su Twitter un commento sul fatto che la classificazione dello status dei lavoratori è una competenza nazionale, negando la necessità di un “approccio valido per tutti”. Al contrario, per la Confederazione europea dei sindacati, l'UE deve necessariamente intervenire proprio perché lo stanno facendo i tribunali nazionali, che per lo più si pronunciano a favore di un chiarimento dello status del lavoratore dipendenti (come nel Regno Unito contro Uber, ma anche in Olanda o in Spagna contro Deliveroo) e appunto ieri anche in Italia con il pronunciamento del tribunale di Milano.

Colgo quindi questa occasione per sollecitare anche le cooperative italiane ma anche quanto hanno a cuore il “futuro del lavoro” a partecipare alla consultazione https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_21_686 per contribuire alla realizzazione di una prospettiva nuova per rispondere alle trasformazioni dell’economia e dei modelli d’imprenditoria per il tempo della transizione digitale.

*Presidente di CECOP-CICOPA Europe


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