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Emma Taveri: «Visitor economy, nuovo paradigma per il turismo»

La comunità come fattore di traino di una nuova idea di turismo, dove il viaggio diventa esperienza di cittadinanza e di vita. Ne parliamo con l'assessore al Turismo, Marketing Territoriale e Creatività del Comune di Brindisi

di Marco Dotti

Imprenditrice, esperta in economia del turismo e management ad impatto sociale, Emma Taveri è tra le figure di riferimento, in Italia e non solo, in tema di destination marketing, disciplina che studia le strategie per promuovere destinazioni turistiche attrattive, mettendo al centro le persone. Un tema che abbiamo toccato nel numero di Vita in edicola, con lo speciale dedicato al turismo di comunità.

Dopo una lunga esperienza internazionale per importanti brand del travel, da TripAdvisor a World Travel Market, dal marzo scorso Taveri è anche assessore al Turismo, Marketing Territoriale e Creatività del Comune di Brindisi. In questo ruolo, ha già fatto parlare di sé e del proprio territorio, con iniziative importanti che hanno attirato l’attenzione dei media nazionali e internazionali.

Dal punto di vista delle destinazioni e delle mete che cosa sta accadendo al turismo dopo la pandemia?
Più che di turismo, mi piace parlare di visitor economy: un’economia vera e propria, con impatti a tutto tondo sul nostro sistema. Il turista come lo conoscevamo probabilmente non c’è più, soppiantato da una nuova figura di visitatore, preparato e leggero, molto più consapevole e positivamente critico. Durante la pandemia è cambiato il paradigma alla base della visitor economy, ma molte destinazioni a livello nazionale e internazionale continuano a offrire gli stessi servizi e gli stessi prodotti. È cambiato anche il viaggiatore che, appunto, da turista è diventato visitatore: come tale, chiede altro alle mete a cui si rivolge. Sbagliare approccio, senza capire questi mutamenti, significa amplificare la crisi, non risolverla.

Che cosa chiede questa nuova figura di visitatore?
Chiede sostenibilità, sicurezza, cultura, ma anche la possibilità di entrare in una comunità. Non a caso, una delle tendenze che più si stanno affermando è quella delle residenze a breve o medio termine: persone che arrivano – magari per lavorare, anche grazie al remote working e allo smart working – si fermano qualche settimana e qualche mese e chiedono di vivere con e nella comunità. Chiedono una sorta di quotidianità aumentata

Come si colloca la comunità nella visitor economy?
Prima di tutto dobbiamo guardare il wellbeing, il benessere della comunità locale e solo dopo occuparci della promozione e del marketing. Questo processo era già in atto prima della pandemia, almeno in alcune delle destinazioni più lungimiranti e visionarie: Copenhaghen, Fiandre, Finlandia. Destinazioni che hanno molto a cuore l’impatto che il “turismo” può avere sui territori e, soprattutto, sulle comunità.

Oggi, il cambio di paradigma verso la visitor economy sta spingendo proprio le comunità a ragionare del cosiddetto travel for good. La pandemia ha consentito a tanti di comprendere la necessità di andare oltre i modelli classici di turismo.

La pandemia ha quindi agito come un grande reset, consentendo di ragionare, ma anche di pianificare strategie diverse rispetto al turismo di massa, anche da parte di quegli operatori e di quelle destinazioni che operavano proprio nel contesto del turismo di massa?
Non è cambiato solo il paradigma, sono cambiate le persone e le propensioni. Cambiano e cambieranno di conseguenza anche le loro esigenze nei confronti dei viaggi.

Una tendenza che sta emergendo in questo periodo a proposito di viaggi?
Quella del viaggio trasformativo: sempre più persone cercano esperienze che le cambino, esperienze in cui possono dare un contributo alla comunità locale in termini di partecipazione attiva a progetti. Un’altra tendenza è la ricerca, da parte della classe creativa, di nuovi hb innovativi e culturali. Questo, ad esempio, è un target molti interessante perché, da un lato, fa sorgere nuove offerte ibride tra viaggio e creatività, con offerte che intersecano il mondo della creatività e del social change, dall’altro apre spazio a nuove destinazioni prima penalizzate dalle logiche del turismo di massa.

Destinazioni che, prima di questa pandemia, talvolta non erano nemmeno destinazioni turistiche…
Nascono infatti grazie all’energia e all’investimento da parte di chi, intercettando una tendenza, riesce a convertire un centro storico o un’area trasformandolo in hub artistico. Pensiamo al Farm Cultural Park di Favara, in provincia di Agrigento. Una trasformazione artistica in chiave di sostenibilità ha completamente cambiato l’immaginario di quel luogo, rendendolo una destinazione ambita.

Favara non era una destinazione, ma lo è diventata grazie a un’azione lungimirante. Ogni “non luogo”, può diventare un luogo attrattivo?
Ogni luogo può diventare destinazione, se capiamo le tendenze e le intercettiamo. Si tratta di creare un layer, uno strato aggiuntivo su ciò che già esiste creando così nuove motivazioni di visita. Questo fenomeno non può avere però le caratteristiche dell’effimero, ma innestarsi nel contesto della visitor economy grazie a un approccio pragmatico, sostenibile e al tempo stesso creativo e innovativo, Chi arriva in un luogo, proprio perché spinto da un motivazione forte, cerca oramai di lasciare qualcosa al luogo.

Come?
Contribuendo alla costruzione e alla crescita del luogo stesso: entrando in una comunità si fa, a sua volta, attore in quella comunità.


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