Politica & Istituzioni

Il Terzo settore chiede di riformare l’Agenzia nazionale dei beni confiscati

Il Gruppo di lavoro permanente sul tema dei beni confiscati alle mafie commenta il ruolo e la governance dell’Anbsc, sulla quale pochi giorni fa è intervenuto anche il ministro per la Pubblica amministrazione al question time alla Camera. «Le proposte della Commissione presentano un limite che è di sistema, quindi politico. Occorre un’operazione culturale, civile e politica che rilanci in avanti il tema in una nuova e migliore integrazione tra legalità, coesione sociale e sviluppo»

di Redazione

«Le proposte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie per una più efficace gestione dei beni e delle aziende si rivelano senz’altro utili a superare le criticità esaminate nel corso dei suoi lavori, tuttavia presentano un limite che è di sistema, quindi “politico”. Si muovono, infatti, dentro l’attuale sistema di governance, che vede l’Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati (Anbsc) svolgere un ruolo fondamentale». Così il “Gruppo di lavoro permanente sul tema dei beni confiscati alle mafie” commenta in un comunicato stampa il ruolo e la governance dell’Agenzia nazionale, sulla quale pochi giorni fa è intervenuto anche il ministro per la Pubblica amministrazione al question time alla Camera dei deputati. L’occasione, in particolare, è legata alla relazione della Commissione parlamentare sull’analisi delle procedure di gestione dei beni sequestrati e confiscati.

Il Gruppo di lavoro, coordinato da Luigi Lochi e al quale partecipano anche l’Acri e il Forum Terzo Settore, è stato istituito lo scorso maggio dalla Fondazione Con il Sud per seguire con continuità e con i necessari approfondimenti tutto ciò che riguarda il sistema di valorizzazione e gestione dei beni.

Le criticità formulate dalla Commissione, riassunte nel capitolo 12 della relazione approvata ad agosto, riguardano due macro aree: i procedimenti giudiziari di sequestro e di confisca e la gestione di beni e aziende. «Con riferimento alle criticità della prima – si legge nella nota – le osservazioni della Commissione invitano essenzialmente il legislatore ad armonizzare una serie di norme riguardanti i procedimenti giudiziari di prevenzione e quelli penali con le disposizioni del Codice Antimafia. Rispetto alle criticità della seconda macro area, tra i principali obiettivi che le proposte della Commissione intendono perseguire, si segnalano in particolare le indicazioni per assicurare la continuità aziendale, incentivare la destinazione anticipata dei beni e favorirne l’assegnazione provvisoria, assicurare maggiori tutele ai terzi in buona fede e omogeneità dei flussi informativi delle diverse piattaforme telematiche».

In merito alla governance dell’Anbsc, il Gruppo di lavoro evidenzia come «le azioni attraverso le quali essa opera, pure con le innovazioni indicate nella relazione e le competenze che mette in campo, ne fanno un soggetto non completamente adeguato a svolgere la missione che la legge le assegna. Al punto che la stessa Commissione avverte l’esigenza di predisporre un vademecum, allegato alla relazione, per aiutare i Comuni a orientarsi nei complessi procedimenti di destinazione e di assegnazione dei beni. Se il bene confiscato, attraverso la sua restituzione alla comunità di appartenenza, è infatti una concreta opportunità di sviluppo economico e sociale per quella comunità, il soggetto da cui tutte le azioni di valorizzazione del bene traggono origine non può limitarsi ad operare “replicando” le azioni di un altro soggetto, l’Agenzia del Demanio, che per di più ha un diverso e più articolato radicamento territoriale. Né è sufficiente, come la stessa relazione suggerisce, riformare la governance dell’Anbsc mediante la selezione del direttore generale anche tra i magistrati con esperienze nel campo dei sequestri e delle confische. Anche così si continua a concepire l’Anbsc come un soggetto meramente amministrativo, qualità confermata dal fatto che è un ente vigilato dal ministro dell’Interno».

«Questo sistema, come la stessa Fondazione Con il sud rilevava nel 2016 in occasione della presentazione di una sua organica proposta di riforma – prosegue la nota – non riesce a reggere adeguatamente. Non basta difenderlo, occorre invece un’operazione culturale, civile e politica che rilanci in avanti il tema in una nuova e migliore integrazione tra legalità, coesione sociale e sviluppo».

Il Gruppo di lavoro chiude la nota con una proposta: «Soltanto un vero Ente pubblico economico, per struttura e competenze, sarebbe in grado di orientare l’amministrazione dei beni verso prospettive di sviluppo economico e sociale dei territori. Un soggetto che opererebbe come un vero agente di sviluppo. Sommando alle competenze giuridiche quelle economico-sociali, finalmente un tale soggetto potrebbe assicurare ai territori il supporto tecnico, tante volte richiamato nella relazione, necessario per un efficace utilizzo dei beni».


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