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Lo ius scholae e la nostra coscienza neolitica sulla cittadinanza

La comunità scientifica dei pedagogisti appoggia le proposte di riforma che diano diritto di cittadinanza a bambini e ragazzi effettivamente italiani. Massimiliano Fiorucci, presidente della Siped e ordinario di Pedagogia sociale e interculturale all’Università di Roma Tre, citando Balducci dice che «non possiamo vivere in un mondo globale con una coscienza neolitica»

di Sara De Carli

I pedagogisti non hanno dubbi: i tempi per cambiare la legge sulla cittadinanza sono maturi. Riformare la legge 1//1992 è anzi doveroso, perché – dice Massimiliano Fiorucci, presidente della Siped e ordinario di Pedagogia sociale e interculturale all’Università di Roma Tre, «citando Balducci non possiamo vivere in un mondo globale con una coscienza neolitica». I minori di seconde generazioni in Italia risultano essere un milione e 316mila: per loro la cittadinanza giuridica rappresenta un momento fondamentale dell’integrazione. Bambini, adolescenti e giovani, non più stranieri, sono una risorsa importante per l’Italia e devono poter diventare cittadini a tutti gli effetti. La Società Italiana di Pedagogia, che riunisce tutti gli universitari pedagogisti d’Italia, prende quindi oggi posizione a favore dello ius scholae, la proposta di legge per la riforma della cittadinanza attualmente in discussione alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati. Il testo unificato prevede che possa acquistare, su richiesta, la cittadinanza italiana il minore straniero nato in Italia che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale. I tempi sono molto stretti, ma si tratta di una legge che aspetta da troppo tempo. In Commissione al momento, dopo più di 10 ore di seduta sono stati votati poco più di 10 emendamenti. Il gruppo Intercultura della Siped ha organizzato un dibattito online per «manifestare l’appoggio della comunità scientifica alle proposte di riforma che diano diritto di cittadinanza a bambini e ragazzi effettivamente italiani e che valorizzino la scuola come strumento di cittadinanza», cui parteciperà anche Giuseppe Brescia, relatore della proposta di legge.

Perché questa presa di posizione?
Ci eravamo già espressi nello steso modo a favore dello ius culturae, semplicemente perché è evidente che i tempi sono maturi per un cambiamento della legge sulla cittadinanza. Come diceva già Ernesto Balducci, “non possiamo vivere in un mondo globale con una coscienza neolitica”. La legge attuale è anacronistica e fa riferimento a categorie ottocentesche, legando la cittadinanza al sangue e quindi alle origini. Le cose sono cambiate. Fra gli studenti che il Ministero definiva “con cittadinanza non italiana” più del 67% è nato in Italia, vive in Italia, compie in Italia il suo intero percorso di scolarizzazione ma non può essere cittadino se non dopo i 18 ani. Questo ovviamente non favorisce la piena appartenenza: ogni tanto scoprono di avere qualche diritto in meno rispetto ai loro compagni di classe e questo è un problema per giovani che vivono l’Italia come il loro paese. È un problema anche per noi, perché le cosiddette 2G sono per natura generazioni-ponte, veri mediatori naturali che non possono che favorire una convivenza basata sul dialogo.

Non è certamente un caso che questa profonda consapevolezza che la realtà è già questa venga dada chi è più vicino al mondo della scuola.
La scuola è sempre stata all’avanguardia su questi tempi, la prima circolare ministeriale sul tema è del 1989 e ha aperto la strada, facendo della scuola un luogo aperto a tutti come dice la Costituzione. Ora si tratta di rendere effettivo questo diritto. Negli anni il Ministero ha redatto molti documenti, da “La via italiana alla scuola interculturale” del 2007 all’ultimo documento del marzo 2022, gli “Orientamenti Interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunne e alunni provenienti da contesti migratori” dove per la prima volta c’è un cambiamento linguistico importante: da alunni stranieri o con cittadinanza non italiano a alunni provenienti da contesti migratori.

Cosa cambia dal punto di vista pedagogico avere o no la cittadinanza?
La diversità non va nascosta ma nemmeono deve diventare stigma. L’educazione interculturale significa garantire a ciascuna persona di essere quello che è, con le diversità che ognuno ha ma senza che la diversità generi disuguaglianza. Avere pienezza della cittadinanza e dei diritti fa vivere tutti da uguali, nella diversità.

Foto Unsplash


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