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Looking4 fa tappa a Cernobbio per un ambiente a prova di comunità

Nel contesto rigenerato di Villa Erba il secondo appuntamento del percorso di Fondazione Cariplo in occasione dei 30 anni di attività. A impressionare non è stata l’entità dei problemi, pur grave e considerevole, ma la varietà di buone pratiche mese in campo sul territorio, tra le quali Lariomania, per mitigare e in qualche caso utilizzare i cambiamenti climatici a nostro favore. La vicepresidente Claudia Sorlini: «Un speranza nel futuro animata da una progettualità creativa, intelligente e partecipata». Il 22 giugno si prosegue a Brescia

di Nicola Varcasia

Se la storia del mondo durasse un solo anno, noi, intesi come esseri umani, compariremmo solo alle 23.32 del 31 dicembre. Eppure, tra qualche mese, dopo decenni di accesi confronti, gli studiosi riconosceranno ufficialmente l’esistenza di un periodo geologico chiamato proprio Antropocene. Ma che cosa c’entra tutto questo con le comunità territoriali e il desiderio di costruire un futuro capace di rispondere meglio ai bisogni delle persone? A rispondere ha provveduto Telmo Pievani, ordinario di filosofia della scienza, bioetica e divulgazione naturalistica all’Università degli Studi di Padova, in avvio della seconda tappa di Looking4, il progetto partecipativo voluto da Fondazione Cariplo in occasione dei trent’anni di attività, svoltasi il 15 giugno nel magnifico contesto di Villa Erba, a Cernobbio.

La settimana scorsa, a Novara, si discuteva di demografia e sostegno alle nuove fragilità, ieri invece il tema “Dalla pianura alle Alpi” invitava a riflettere su ecosistemi ed economie alla luce dei cambiamenti climatici. Ed eccoci al punto sollevato da Plevani: «E se la natura vergine fosse un mito? Ancora oggi i luoghi con più biodiversità, come l’Italia, sono quelli in cui c’è una biodiversità culturale». Insomma, non dobbiamo sparire dalla faccia della Terra per “salvare il pianeta” ma, proprio per salvaguardare la biodiversità naturale, dobbiamo imparare (e reimparare) a integrarci con l’ambiente per salvare noi stessi. Anche se la portata dei cambiamenti in atto potrebbe spaventare e portare a reazioni opposte, quali una completa sfiducia o un ostinato negazionismo, come ha osservato Massimo Gramellini in collegamento.
Claudia Sorlini, vicepresidente di Fondazione Cariplo, ha inquadrato il tema di ieri nel percorso complessivo: «Questa giornata è un punto di arrivo di trent’anni di attività anche sul tema ecologico. Ci troviamo in una situazione di cambiamento climatico, di gravi danni ambientali e siamo molto sensibili al fatto che questi danni colpiscono soprattutto gli strati sociali più deboli, perché non hanno le risorse per adattarsi o mitigare questo impatto sulle loro vite».

Adattarsi, mitigare, agire sull’impatto sociale e, anzi, quando possibile, fare leva su quello che accade per generare sviluppo: questo è il leit motive delle esperienze presentate nella mattinata suddivise in tre filoni dedicati a territorio, paesaggio e agricoltura, tutti in relazione al clima, prima di lasciar spazio ai tavoli di lavoro, allo scopo di raccogliere elementi per andare a costruire quell’atlante dei bisogni, strumento prezioso per orientare in modo ancora più efficace l’utilizzo di risorse creative ed economiche per nuovi progetti.
Lariomania, la best practice presentata da Federico Raveglia – in rappresentanza del gruppo di organizzazioni l’hanno progettata e, negli scorsi mesi, concretamente avviata, formato da Fondazione Minoprio e dalle cooperative Azalea, Auxilium, Miledú e Tikvà – è particolarmente emblematica. Nata nel contesto del centro Lago di Como, una zona negli ultimi 40 anni al centro di una trasformazione importante, con un paesaggio e un’attività economica agricola pressoché completamente abbandonate in favore di un’economia del turismo d’eccellenza, cerca di fare la sua parte per assorbire il costo molto salato, benché ci troviamo a ridosso delle acque dolci del Lago, di queste scelte: quello delle trasformazioni ambientali connesse al dissesto idrogeologico, alle frane e alle alluvioni così frequenti nell’ultimo anno. Con una chiara ricaduta, a livello sociale, evidenziata da un tema di spopolamento, frontalierato, abbandono scolastico e di mancanza di opportunità, perché, come osserva Raveglia, l’attività turistica di eccellenza tende a redistribuire poco alla comunità, in particolare alle frange più fragili: «Il progetto quindi nasce per rigenerare gli asset ambientali abbandonati che, oltre a essere delle risorse sprecate, in questo momento costituiscono pure una minaccia e, allo stesso tempo, per creare opportunità di inserimento lavorativo e inclusione sociale per chi è meno attrezzato rispetto all’attuale trend economico».

Le problematiche da affrontare non mancano, dalla poca redditività dei terreni di mezza costa interessati dal progetto e sui quali non si può fare coltura intensiva, alla dovuta attenzione alla biodiversità: «L’idea è dunque quella di sviluppare la cosiddetta agricoltura multifunzionale, che sfrutta i processi perché diventino non solo prodotti, ma anche esperienze che richiamano le tradizioni e gli usi e che, quindi, possano a loro volta intercettare il target turistico». Oltre ad un gruppo di persone già coinvolte da tempo, la fase triennale di start up attivata nel 2022 prevede di coinvolgere una decina di persone con diverse fragilità attraverso vari percorsi di inclusione, formazione e orientamento.


È Sorlini, in conclusione, a darci una chiave di lettura di questa e delle altre esperienze ascoltate a Cernobbio, assieme alle sollecitazioni degli esperti intervenuti dopo Plevani, quali il genetista e agronomo Salvatore Ceccarelli, l’environment scientist Daniele Bocchiola e la rappresentante del FAI Costanza Pratesi: «Questa immersione nei territori e tra la gente che abbiamo sostenuto, trova un punto saliente nella speranza e nella progettualità emerse da questo bellissimo mondo, fatto di istituzioni vicine alla popolazione e, soprattutto, di Terzo Settore e di persone che hanno lavorato. Anche davanti al problema ambientale abbiamo visto iniziative capaci di innovare e dare risultati». Non tutti obbligatoriamente positivi: «Perché la speranza sta anzitutto nell’impegno delle persone a prendersi cura del proprio territorio, dei propri bisogni e dei bisogni dei vicini. Per fare comunità, non isolatamente, con una volontà inclusiva che poi è la base su cui si regge una società buona».
Una società che ha anche bisogno di cultura per custodire e alimentare quel senso per la bellezza che aiuta a vivere. E, forse, consentirà di lasciare un segno di cui andare fieri in questo “nostro” Antropocene. Di questo si parlerà nella terza tappa di Looking4, mercoledì 22 giugno al Teatro Grande di Brescia.


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