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Sostenibilità sociale e ambientale

Il disastro di Bolsonaro in Amazzonia

L'Amazzonia e gli indigeni sono sotto attacco in Brasile. Venerdì scorso è stato ucciso dalla polizia militare Vitor Guarani Kaiowá, 42enne indios che lottava per recuperare le terre ancestrali della sua etnia. È solo l'ultimo crimine in un paese che sembra avere lasciato a se stessa l'Amazzonia, sempre più controllata da criminali e narcos. Un quadro molto allarmante che è tornato all'attenzione del mondo dopo il duplice omicidio di Dom Phillips e Bruno Pereira che per difendere la foresta e le popolazioni che la abitano hanno perso la vita. Quali le vere responsabilità del presidente del Brasile? Tante, come spieghiamo nel dettaglio in questo approfondimento

di Paolo Manzo

Il 42enne indigeno Guarani Kaiowá Vítor Fernandes, assassinato dalla polizia militare dello stato di Mato Grosso do Sul venerdì scorso, è stato sepolto l’altroieri sul terreno della Fazenda Borba da Mata dove è stato barbaramente ucciso. Circa 2.000 persone hanno assistito alla sua sepoltura. Vitor è l’ultima vittima dei conflitti per la terra, sempre più violenti, in Brasile ed è stato ucciso da un'operazione non autorizzata per espellere gli indigeni da quella che loro considerano una loro terra ancestrale. Almeno altre nove persone sono rimaste ferite, tra cui donne e adolescenti. “Qui ad Amambai (il comune dove è avvenuto il crimine dove altre nove persone, tra cui donne e minori sono stati gravemente feriti) la situazione è estremamente tesa. È tradizione del nostro popolo seppellire i nostri morti dove sono caduti, come nel caso del nostro caro Vitor, vittima del crimine della polizia”, ha denunciato oggi in un comunicato Aty Guasu , la principale organizzazione del popolo Guarani Kaiowá.

L’uccisione di Vitor è avvenuta meno di tre settimane dopo quella di Dom Phillips, 57enne storico collaboratore di The Guardian che stava facendo ricerche per un libro sugli sforzi di conservazione in Amazzonia. Con lui è stato freddato anche Bruno Pereira, 41enne funzionario del Funai, il dipartimento brasiliano per gli affari indigeni, che lo accompagnava e stava documentando le attività illegali nel territorio degli indios. Con poche risorse e nessun sostegno statale, i due stavano facendo ciò che lo Stato brasiliano dovrebbe fare ma non ha mai fatto, ovvero promuovere la conservazione, proteggere gli indigeni e le loro terre dalle attività criminali.

Invece la deforestazione nel 2021 è stata la peggiore degli ultimi 15 anni. Nella valutazione degli ambientalisti, il governo del presidente Jair Bolsonaro non solo non riesce a frenare le attività criminali ma cerca di legalizzarle, in modo che possano svolgersi con meno ostacoli. Bolsonaro ha infatti tagliato i fondi per numerose agenzie ambientali e ha messo da parte l'Ibama, l'Istituto brasiliano per l'ambiente e le risorse naturali rinnovabili, incaricando invece i militari brasiliani di combattere i crimini ambientali. La Valle del Javari, l'area in cui Phillips e Pereira sono stati uccisi, ha la più grande concentrazione al mondo di tribù non contattate ed è una delle regioni più sensibili dell'Amazzonia brasiliana. Il problema è che Bolsonaro vede solo il valore economico della foresta e, inoltre, usa come pretesto la guerra in Ucraina per giustificare il suo desiderio di sfruttarne le sue inestimabili risorse.

Oggi il Brasile è uno dei luoghi più pericolosi al mondo per gli attivisti ambientali: almeno 20 ambientalisti sono stati uccisi nel 2021. A detta del Washington Post, "gli Stati Uniti e gli altri governi dovrebbero fare pressione su Bolsonaro affinché finanzi nuovamente e ricostruisca le capacità dell'Ibama e del Funai. Un recente sondaggio rivela che il 40% dei brasiliani ritiene che il governo incoraggi piuttosto che combattere l'illegalità in Amazzonia.

"Il Brasile sta lasciando che l'Amazzonia diventi una terra senza legge". Questa è la conclusione di un rapporto pubblicato l'altroieri dal quotidiano Financial Times. Secondo il rapporto, l'aumento della violenza nella regione è direttamente collegato ai tentativi di combattere la deforestazione nella foresta amazzonica che ha perso un'area pari a duemila campi da calcio al giorno, afferma Imazon, un ente di monitoraggio del governo senza scopo di lucro. Secondo i dati di Global Witness, ong internazionale che lavora per rompere i legami tra sfruttamento delle risorse naturali, conflitti, povertà, corruzione e violazioni dei diritti umani in tutto il mondo, oggi il Brasile guida la classifica mondiale degli omicidi legati ai diritti sulla terra e alle questioni ambientali, la maggior parte dei quali avvenuti in Amazzonia. Tra il 2012 e il 2020 nel Paese sono stati registrati 317 omicidi di questo tipo. Nello stato di Amazonas, dove sono stati uccisi Phillips e Pereira, il numero di omicidi è aumentato di oltre il 50% lo scorso anno rispetto al 2020. Il risultato contrasta con un calo del 7% degli omicidi in tutto il paese, spiega il Financial Times.

Questo mix di crescente criminalità ambientale e violenza è una combinazione tossica. L'Ocse ha affermato che l'appartenenza del Brasile al gruppo – un obiettivo fondamentale del governo Bolsonaro – dipende dal contenimento della deforestazione. Per Bruno Carazza, professore presso la Fundação Dom Cabral, c'è una connessione diretta tra i tagli alle forze dell'ordine ambientali brasiliane come l'Ibama e la crescente deforestazione e violenza in Amazzonia. “L'omicidio di Phillips e Pereira non è un evento isolato. C'è un problema cronico di sicurezza e giustizia nella regione amazzonica”, spiega. “Abbiamo bisogno che gli enti statali infliggano multe alle attività illegali nelle riserve indigene. Ma queste istituzioni vengono indebolite con budget più contenuti, meno personale e la nomina di capi che non hanno a cuore l'ambiente", conclude Carazza. "Il sostegno di Bolsonaro alle attività predatorie è servito da stimolo – una "licenza morbida" – per accaparramento di terre, estrazione illegale di oro, deforestazione e violenza", accusa il Financial Times. Dal canto suo il governo brasiliano sostiene di aver compiuto uno sforzo per proteggere l'ambiente, con dati che mostrano che quasi l'80% della matrice elettrica verdeoro è rinnovabile, oltre a una conservazione di oltre il 65% della vegetazione autoctona.

Intanto la Norvegia è pronta a riprendere i pagamenti al Brasile nell'ambito del Fondo dello stato brasiliano per la tutela dell'Amazzonia se ci sarà un cambio di governo dopo le elezioni di ottobre, come suggeriscono i sondaggi di opinione, che indicano una vittoria per l'ex presidente Lula. Dal 2008 al 2018, la Norvegia aveva trasferito 1,2 miliardi di euro al Fondo Amazon, che paga il Brasile per prevenire, monitorare e combattere la deforestazione. La Norvegia è di gran lunga il maggiore donatore e ha sospeso i trasferimenti nell'agosto 2019, dopo che il governo Bolsonaro ha estinto unilateralmente due comitati responsabili della gestione del Fondo, rompendo l'accordo che definiva le regole del progetto tra i paesi. "Se ciò che indicano i sondaggi sarà confermato e ci sarà un cambiamento in Brasile, abbiamo grande speranza di poter riprendere rapidamente una buona e attiva partnership", ha detto alla Reuters Espen Barth Eide, ministro norvegese del clima e dell'ambiente.


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