Politica & Istituzioni

Mirafiori e l’irrilevanza della politica

La vigilia delle elezioni fotografa da un sociologo e antropologo che vive nello storico quartiere operario della periferia di Torino: "Si è interrotta la cinghia di trasmissione che collegava la base, ai corpi intermedi e ai vertici istituzionali sostituita dai sondaggi dove non c’è spazio per il confronto, per cambiare opinione, per comprendere il punto di vista dell’altro"

di Fabrizio Floris

Sentendo parlare un parlamentare del Partito Democratico ne ho colto l’impressione di una persona preparata e sincera convinta del suo impegno, ma con un intento (quasi)salvifico, come se tutto dipendesse dalla politica: come se l’Italia fosse tutta sulle spalle della politica.

D’altra parte parlando con i miei vicini di Mirafiori, la gente del quartiere, sento che le persone pensano che i politici non fanno niente, che la politica non serva a risolvere i loro problemi. Una distanza che porta poi le persone a non votare perché la ritiene «un’inutile perdita di tempo», non c’è più spazio per le parole nella testa delle persone ormai possono passare solo file zippati (o prêt-à-porter).

C’è in questo un rischio Tunisia, la richiesta implicita di una figura forte che risolva subito i problemi, mentre la democrazia è in sé lenta, richiede dialogo, partecipazione, ma le persone non si sentono interpellate, le liste bloccate, i nominati dai partiti stanno portando a non apprezzare più il vivere in un Paese democratico a non cogliere la differenza tra democrazia e autocrazia. Si è interrotta la cinghia di trasmissione che collegava la base, ai corpi intermedi e ai vertici istituzionali sostituita dai sondaggi dove non c’è spazio per il confronto, per cambiare opinione, per comprendere il punto di vista dell’altro. La perdita di copie dei giornali e gli slogan hanno fatto il resto. E a questo punto che questa distanza incrementa ulteriormente la disaffezione e l’astensionismo eppure forse conviene tornare alle origini, leggere le lettere dei condannati a morte, migliaia di uomini e donne, che si sono sacrificate perché oggi possiamo parlare, scrivere, muoverci, contestare. «Affronterò, scriveva Antonio Fabbri il 24 settembre 1943, fra poche ore la morte col sorriso sulle labbra, e non una ma dieci volte darei la mia vita per la salvezza dell’Italia». Ora.


Foto: capannone dismesso a Mirafiori (Torino)


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