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Emanuele Alecci: “Porto a Roma gli occhiali del volontariato”

Ha guidato il team che ha messo Padova al centro del mondo della solidarietà, nel quale è impegnato da sempre. Le lenti per “vedere cose che altri non vedono” serviranno ai protagonisti della società civile per vincere il “falso pudore” verso la politica. Ai segretari di partito per scegliere meglio i nomi dei listini bloccati. E, promette, a completare il cammino del codice del Terzo settore

di Nicola Varcasia

La serie di interviste ai #candidatisociali alle prossime elezioni del 25 settembre prosegue con Emanuele Alecci, da Padova. Da oltre quarant’anni, è un protagonista nel mondo del volontariato. Tra le sue esperienze di rilievo, la guida del comitato per Padova capitale europea del volontariato. Sarà in corsa all’uninominale per il Partito democratico in un collegio infuocato che comprende anche l’intera provincia della sua città.

Come è nata l’idea della sua candidatura?

Da un’idea di politica. Durante l’esperienza di Padova capitale europea del volontariato, il mio messaggio è stato quello di offrire a tutti gli occhiali del volontariato, perché fanno vedere cose che altri non vedono. Ora è sembrato il momento giusto, per quanto non semplice, di provare a portare questi occhiali anche alla politica. Sperando che altre persone mi aiutino a portarli.

Perché così pochi candidati della società civile?

Il mondo del Terzo settore non dovrebbe aver paura. Il volontariato che conosco è fare politica. Poi, occorrono delle scelte, non bisogna rimanere scoloriti o neutrali. Chi ha vissuto l’esperienza della solidarietà in un certo modo deve poter contribuire al cambiamento che il Paese deve intraprendere.

Non trova che il mondo politico stesso, a volte, faccia poco per incoraggiare certe scelte?

La nostra pessima legge elettorale non permette all’elettore di scegliere. L’uninominale è la modalità che più si avvicina alla scelta e al criterio della territorialità. Perciò con responsabilità ho messo in gioco il mio radicamento. Contro di me correrà la senatrice Bernini, capogruppo di Forza Italia, che viene da Bologna. È una persona di grande rispetto e capacità anche se io sono lontano dalla sua visione. Ma, se verrà eletta, non la vedremo più da queste parti. Senza contare che, come tutti sanno, il nostro territorio esprime la seconda carica dello stato, che poteva essere candidata qui. La questione ha fatto un certo rumore anche nel Centrodestra.

Però questo è un problema che non riguarda solo lo schieramento avversario…

Tutti i partiti parlano sempre molto bene del Terzo Settore, poi, quando bisogna fare le liste se ne dimenticano. Anche a casa mia ci sono situazioni di candidati che provengono da fuori, ma sono sicure di passare. Lo dico chiaramente: cari Segretari, se tenete veramente al Terzo Settore, tra i tanti posti sicuri, dovreste inserire qualche personaggio in più proveniente dal nostro mondo che, forse, vi potrà aiutare a mettere a posto alcune cose che non vanno.

Quali ad esempio?

Bisogna dire fortemente che il problema del caro energia riguarda anche le centinaia di circoli e di luoghi di aggregazione gestiti dai loro soci di tasca propria. Poi bisognerà agire di conseguenza, non fermarsi agli annunci estivi. Dipende da chi sarà al comando, perché ci sono aggregazioni politiche che hanno un’idea di Terzo settore totalmente assistenziale.

In che senso?

In questo Paese, finché fai l’assistenza è tutto a posto. Quando, però, cominci a dire che qualcosa non va bene, ad esempio che l’immigrazione non è solo di un problema esclusivamente di ordine pubblico e occorrono scelte economiche di fondo, non sei sempre gradito. E ti senti dire che il volontariato si è trasformato in politica.

Lei ora è in corsa, che messaggio lancia al suo mondo?

C’è bisogno di un salto di qualità. La classe dirigente del Terzo settore deve cominciare a smetterla di mostrare un falso pudore: non abbiamo bisogno di protezione, ma di persone in Parlamento che conoscono il nostro mondo e possano sostenere le nostre istanze utili al Paese. Invece alcuni preferiscono rimanere alla finestra e discutere con chi vince per portare a casa qualcosa.

Quali saranno le sue linee di lavoro?

Occorre definire una volta per tutte il codice del Terzo settore. Il cammino è andato troppo lungo. Bisogna evitare confusioni tra le esperienze di impresa sociale e quelle di volontariato, per non arrivare alla guerra tra due mondi vicini, ma diversi. C’è un lavoro da fare con le amministrazioni locali anche per gli appalti. E occorre costruire un rapporto con l’Europa proprio per definire le ultime questioni rispetto al tema fiscale.

Quando questo iter sarà finito?

Si dovrà intervenire con opportune modifiche all’eccessiva burocratizzazione che pesa sul mondo del volontariato. Senza mettere in discussione il percorso generale della legge. Questo si può fare non esclusivamente con il mondo dei politici classici, ma con un grande dibattito all’interno del mondo del volontariato.

A livello locale?

Valorizzare l’opportunità del Giubileo 2025. Padova è una delle città giubilari. Ho lanciato l’idea che l’intero territorio provinciale sia coinvolto nella grande operazione di accoglienza di migliaia di pellegrini. Oltre che spirituale e religioso, diventa anche un fatto economico da gestire al meglio. Anche per questo c’è bisogno di persone che da Roma possano supportare un progetto del genere.

La presenza di uomini del Terzo settore in Parlamento può favorire la qualità di un dialogo tra i partiti?

La vera riserva della Repubblica non sono i singoli personaggi, ma è tutto il nostro mondo. Il ragionamento sul green e sulle fonti alternative da chi deve venire se non da qui? Dobbiamo ritrovare la capacità di ritrovarci insieme e di fare lobby democratica. Non per mettere a posto le nostre casse, anche se abbiamo a volte abbiamo bisogno di questo, ma per far passare le nostre idee.


Foto: Stefano Pedrelli


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