Cooperazione & Relazioni internazionali

Sos Venezuela: più profughi in fuga che da Ucraina e Siria

Sono oramai 6,81 milioni, più di quelli che scappano dalle guerre a Kiev e Damasco. La denuncia è dell'Onu che sottolinea come quello venezuelano, oramai ignorato dal mondo che dona sempre meno per loro, sia un vero dramma dimenticato. VITA ha fatto il punto con Fabrizio Pellicelli, presidente di Avsi Brasil, nonché responsabile di tutta l’America latina per conto dell’ong italiana Avsi che con l'Unhcr sta facendo di tutto per garantire a questi migranti disperati un futuro dignitoso in Brasile ed Ecuador

di Paolo Manzo

Il numero dei rifugiati venezuelani nel mondo supera i 6,81 milioni, secondo l’ultimo rapporto dell'ONU. Con questo aggiornamento, la crisi venezuelana supera persino quelle dell’Ucraina di 10mila unità e ampiamente quella della Siria. La maggior parte di loro, 5,75 milioni, sono scappati in altri paesi dell'America Latina. La sola Colombia ne accoglie 2,48 milioni. Seguono il Perù con 1,22 milioni, l'Ecuador (502.000), il Cile (448.000) e il Brasile (358.000). Si tratta di un drastico aumento rispetto ai dati di un altro rapporto ONU di inizio luglio, che dava conto di 6,1 milioni di venezuelani fuggiti dal loro paese. Per fare il punto su questo dramma dimenticato, VITA ha intervistato Fabrizio Pellicelli, fondatore e presidente di AVSI Brasil, nonché responsabile di tutta l’America latina per conto dell’ong italiana Fondazione AVSI.

Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale di fronte a questa situazione dove, pur non essendoci una guerra, le persone fuggono come se ce ne fosse una?

Sicuramente di più perché i grandi finanziatori che fino all'emergenza ucraina avevano sostenuto abbastanza attivamente i migranti venezuelani, si sono distanziati. Oggi l'attenzione principale è su Kiev. I venezuelani in fuga sanno che per molti anni non torneranno più nel loro paese, non avendo in patria nessuna prospettiva. Quella venezuelana sarà dunque una crisi di lungo periodo che ha bisogno di molte risorse da utilizzare per l’accoglienza nei paesi limitrofi ma soprattutto l’integrazione tramite il lavoro.

La situazione in Venezuela è sempre più insostenibile. AVSI aiuta i rifugiati di Caracas dal 2018, cos’è cambiato in questi anni?

Oggi le persone che arrivano alla frontiera manifestano una vulnerabilità maggiore rispetto a chi arrivava in Brasile nel 2018. Quattro anni fa arrivavano migranti con un livello educativo, capacità individuali e anche un aspetto psicologico abbastanza solido. Adesso arrivano le persone appartenenti alla fascia piu povera della popolazione. Sono persone di massimo 50-55 anni, molti sono bambini e quasi tutti lasciano il Venezuela sapendo di dovere iniziare una nuova vita in Brasile o negli altri paesi della regione perché sanno che non torneranno. E questo è drammatico.

Quali sono le risorse di cui hanno più bisogno?

Il grande tema è l'integrazione locale, perché queste persone vogliono rimanere nel paese che hanno scelto. Quella venezuelana è un'emergenza che ha bisogno di risorse per garantire tutte le quattro parole ripetute spesso dal Papa sul tema migrazioni: "Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Questo è il punto cardine.

Le Nazioni Unite e i governi dei principali paesi sembrano impreparati di fronte alla tragedia venezuelana, considerando che si risolverà nel breve termine.

Lo studio scientifico dettagliato che AVSI ha fatto insieme all'Alto Commissariato Onu dei rifugiati (UNHCR) sui circa 6000 venezuelani che ospitiamo nelle strutture di accoglienza alla frontiera riporta che l’80% di loro non ritornerà a Caracas e che inizierà una nuova vita fuori dal Venezuela. Questo cambia tutta la prospettiva con cui guardare a questa crisi. Non è un'emergenza puntuale. Non è solo protezione e accoglienza. Il tema dell'integrazione è centrale e, quindi, il lavoro e i servizi alla persona. La situazione internazionale è difficile, il grosso delle risorse della cooperazione e delle organizzazioni internazionali sono concentrate sull'Ucraina. Non si possono dimenticare i quasi 7 milioni di venezuelani in fuga, è un dato spaventoso.

Quali sono i progetti di AVSI con la diaspora venezuelana?

Siamo presenti sia in Ecuador che in Brasile, dove lavoriamo sul tema dal 2018, quando l'UNHCR ci chiese di iniziare un’alleanza per dare una risposta umanitaria. Abbiamo iniziato così la gestione delle strutture di prima accoglienza alla frontiera, nella città di Boa Vista, che è la capitale dello stato di Roraima. Oggi gestiamo cinque strutture di accoglienza in altrettante città, dove assistiamo circa 6000 persone ogni giorno. In Brasile siamo la più grande organizzazione nella gestione e accoglienza dei migranti ma la cosa bellissima è che qui i campi profughi sono urbani perché il paese del samba ha creato le strutture di accoglienza dentro le loro città. Quindi non sono ghetti e questo è molto importante nella logica dell'integrazione. In Brasile la legge sulla migrazione è la più progressista che esista al mondo e una persona che arriva in 15 giorni è regolarizzata. E regolarizzazione significa integrazione, quindi i venezuelani che arrivano possono essere ospitati nei nostri centri e cominciano subito a rapportarsi con il territorio urbano, i servizi, le scuole, i benefici sociali, preparandosi per l'integrazione. Inoltre AVSI ha anche un accordo con il Dipartimento di Stato americano che da tre anni ci sostiene per un'attività di integrazione locale attraverso il lavoro. Oggi siamo partner di circa 50 aziende che ci interpellano per avere manodopera. Noi aiutiamo i venezuelani nella formazione tecnica prima di proporle alle imprese, loro fanno la selezione e, se va bene, chi vuole viene trasferito in un'altra città del Brasile dove gli viene garantito un contratto di lavoro regolare e i primi tre mesi di accompagnamento sociale.

Ovvero?

Un’abitazione e tutto quello che serve a una persona e alla sua famiglia in modo che possa iniziare una vita in questa nuova città. Il sistema funziona molto bene e in questo momento abbiamo già trasferito dalla frontiera in altre città 2147 venezuelani, 973 dei quali stanno lavorando con un contratto regolare.


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