Sostenibilità sociale e ambientale

Patagonia: chapeau monsieur Chouinard

L’83enne industriale ha ceduto la sua azienda di abbigliamento sportivo che da decenni è un modello in tema di sostenibilità ambientale. Trasferita la proprietà, valutata in circa 3 miliardi di euro, a un trust appositamente creato e a un'organizzazione non profit. "Speriamo che la mia scelta influenzi una nuova forma di capitalismo che non finisca con pochi ricchi e un mucchio di poveri" ha dichiarato al New York Times il miliardario

di Paolo Manzo

L’83enne Yvon Chouinard, uno scalatore diventato un miliardario grazie al suo approccio visionario al capitalismo, ha ceduto Patagonia, l'azienda modello in tema di sostenibilità ambientale nel settore del tessile da lui fondata nel 1973. L'obiettivo è aiutare ad affrontare il cambiamento climatico e per questo Chouinard e la sua famiglia hanno trasferito la proprietà della Patagonia a un trust e a un'organizzazione senza scopo di lucro, invece di quotare in borsa la società o di venderla. L'annuncio lo ha dato lo stesso Chouinard in una lettera aperta, intitolata: "La Terra è ora il nostro unico azionista”. "Sono passati quasi 50 anni da quando abbiamo iniziato il nostro esperimento di attività responsabile e abbiamo appena iniziato", ha scritto Chouinard aggiungendo che "se vogliamo avere qualche speranza di avere un pianeta fiorente tra 50 anni, c'è bisogno che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo. Questo è un altro modo che abbiamo trovato per fare la nostra parte”.

La cosa non sorprende e, per rendersene conto, basta leggere la storia di Chouinard.

Nato nel 1938 nel Maine, figlio di un carpentiere franco-canadese, Yvon è infatti diventato un miliardario agendo totalmente fuori dagli schemi del capitalismo classico. La sua autobiografia, "Let my people go surfing” (Ediciclo 2018) del resto lo testimonia. Pioniere delle arrampicate nello Yosemite, prima di Patagonia Yvon aveva fondato nel 1957 la Chouinard Equipment for Alpinists, una ditta artigianale molto apprezzata dai clienti. Faceva chiodi e ramponi “a basso impatto ambientale”, il primo al mondo. Un’ottima idea ma per nulla redditizia. "Eravamo in fuga dalla cultura consumistica dei nostri genitori. La nostra casa era la natura. Vivevamo ai margini dell’ecosistema – adattabili, resilienti e tenaci”.

Yvon aveva un sogno: reinventare l’abbigliamento per alpinisti. Per questo nel 1973 fondò Patagonia, il cui logo non a caso raffigura un cielo in tempesta, il profilo seghettato del Monte Fitz Roy e un oceano azzurro. Un omaggio alla terra della “fine del mondo”, quella a cui ha fatto riferimento anche Papa Francesco il giorno della sua elezione.

In un’epoca dominata dai tradizionali strati di cotone e lana, gli indumenti progettati da Patagonia offrivano un ottimo isolamento senza assorbire l’umidità. Inoltre il marrone e il verde scuro furono sostituiti da una gamma di colori più vivaci e l’enorme successo riscosso costrinse la concorrenza ad imitare la nuova moda inventata da Yvon, che andava sempre a testare i suoi nuovi prodotti nelle condizioni più estreme, dall’Himalaya al Sud America.

Un rivoluzionario ribelle che nel 1994 aveva lanciato la prima linea di cappotti realizzati con materiale riciclato. Due anni dopo aveva sostituito tutto il cotone tradizionale nelle sue collezioni con quello biologico, lanciando il Worn Wear ReCrafted, per ricucire a mano i vestiti usati. Già perché da due decenni Patagonia invita i propri clienti a non ricomprare una giacca, riparandola gratuitamente. Inoltre, da 35 anni dona l’1 per cento delle proprie vendite alla tutela e al ripristino dell’ambiente, commerciando i suoi articoli certificati Fair Trade.

Patagonia è stata imitata da molti ma rimane un marchio a parte nel mondo del tessile. Non a caso l'azienda è stata all'origine del movimento "1% for the Planet", che oggi riunisce più di 6.000 membri che donano ogni anno l'1% del loro fatturato ad associazioni per la protezione dell'ambiente.

Solo negli Stati Uniti, il marchio che da oltre vent'anni offre la riparabilità a vita, ha rimesso a nuovo oltre 400mila cappotti. In Europa, ha spiegato di recente lo stesso Yvon al quotidiano francese Le Figaro, entro tre anni il marchio prevede di riparare 100mila cappotti, pantaloni e scarpe. E, per ridurre sia l'impronta di carbonio che i costi, che possono raggiungere i 40 euro per articolo, Patagonia si sta riorganizzando. "Siamo in contatto con diverse città – Parigi, Milano e Monaco – per trovare locali e sarte, preferibilmente persone che partecipano a programmi di integrazione sociale", spiega Matthijs Visch che ha aperto lo United Repair Centre ad Amsterdam all'inizio di luglio, insieme all'organizzazione a impatto sociale Makers Unite e al marchio di jeans Scotch & Soda.

Per tutto questo e molto altro, Chouinard, non è stato solo uno scalatore e un miliardario visionario sul tema ambientale, ma anche un filosofo. Dallo Zen ha infatti appreso l’arte della semplicità perché, come dice sovente, "una vita più semplice non significa una vita più povera”. "In tutte le attività alle quali mi sono dedicato il progresso da principiante a maestro corrispondeva sempre a un passaggio dalla complessità alla semplicità”, spiega.

"Speriamo che la mia scelta di cedere Patagonia influenzi una nuova forma di capitalismo che non finisca con pochi ricchi e un mucchio di poveri", ha dichiarato Chouinard oggi in un'intervista esclusiva al New York Times, aggiungendo poi quale è la filosofia dietro la sua decisione: ”daremo la massima quantità di denaro alle persone che lavorano attivamente per salvare il pianeta”. Un visionario, bravo!

In apertura la foto con cui si apre stamane il sito di Patagonia: "La Terra è oggi il nostro solo azionista"


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