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Sport dilettantistico e Riforma del Terzo Settore

di Alessandro Mazzullo

I recenti dati pubblicati dal Rapporto Istat-Coni, sulla pratica sportiva in Italia, fotografano la crescente importanza ormai assunta dal fenomeno[1].

Come recentemente ricordato[2], nel 1959 lo sport era un’attività per pochi (circa 1 milione 230 mila persone), praticata soprattutto da maschi (il 90,8% dei praticanti) e da adulti (solo l’1% aveva meno di 14 anni). La caccia era al primo posto (33%) seguita dal calcio (22,3%).

Da allora, qualcosa è cambiato…

È indiscutibile, pertanto, che lo sport dilettantistico sia oggi una delle realtà più importanti di quello che un tempo, con definizione sociologica, avremmo definito Terzo Settore[3].

La Riforma del Terzo Settore[4] ha traslato quella definizione nel campo giuridico.

A 5 mesi dalla sua approvazione, è dunque normale che, tra le domande più frequenti, vi siano quelle inerenti il rapporto tra enti sportivi dilettantistici ed ETS (Enti del Terzo Settore)?

  1. ASD e SSD saranno obbligati ad iscriversi?
  2. In caso di risposta negativa, lo potranno?
  3. In caso di risposta positiva, gli converrà?

A tali interrogativi si aggiungono, come già anticipato[5], quelli legati all’introduzione di un’ulteriore figura – le Società sportive dilettantistiche a scopo di lucro – ad opera della Legge di Stabilità 2018.

Rinviando ad altri sedi, per approfondimenti scientifici[6], vorrei provare a fornire delle prime, personali e provvisorie risposte[7].

Facile e rapida la risposta alle prime due domande.

  1. No!
  2. Sì![8]

Meno scontata la risposta alla terza domanda.

3. Dipende!!

Da che dipende? Da diversi fattori che dovranno esser valutati caso per caso.

La qualifica ETS, per quanto non obbligatoria, è destinata, in prospettiva, ad intercettare buona parte dei fondi pubblici e privati. Vedi, ad esempio, il recentissimo caso (Stabilità 2018) del credito d’imposta riservato alle erogazioni liberali, delle fondazioni bancarie, erogate nei confronti degli enti qualificabili come ETS[9].

La qualifica ETS avrà poi un indubbio valore competitivo anche sul mercato dei beni e servizi scambiati per il mero supporto finanziario della mission sociale.

Concentrando l’analisi sull’opportunità fiscale, occorrerà tener conto, contestualmente, di almeno tre aspetti:

  • delle agevolazioni già concesse in quanto ASD o SSD;
  • delle agevolazioni concesse in quanto ETS;
  • delle agevolazioni perse, in quanto ASD o SSD che siano anche ETS[10].

Rinviando, anche su questo punto, ad un’analisi più approfondita[11], basterà dire che anche l’esito di questa disamina non è per nulla scontato. Si pensi, in particolare, al caso di una SSD che sia anche impresa sociale, cumulando le agevolazioni proprie dell’ente sportivo con quelle di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 112 del 2017[12].

CONCLUSIONI

Alla luce di queste considerazioni, è possibile trarre alcune conclusioni di massima.

Gli enti sportivi dilettantistici possono (non debbono) acquisire anche la qualifica di ETS. Lo possono fare, in quanto ASD, o in quanto SSD che siano anche imprese sociali.

L’iscrizione nel RUNTS implica, tendenzialmente, l’acquisto delle agevolazioni proprie degli ETS, ma la perdita di gran parte di quelle previste dalla disciplina speciale extra-codicistica, ed in particolare dalla L. n. 398 del 1991. Una particolare eccezione, tuttavia, è rappresentata da quegli enti sportivi che siano anche imprese sociali.

In via aprioristica, non è possibile affermare la convenienza (o meno) dell’acquisto dell’ulteriore qualifica di ETS. Tale considerazione necessiterà di un’attenta due diligence che tenga conto del complesso sistema di vantaggi e svantaggi, di natura fiscale ed extra-fiscale, connessi a questa possibilità.


[1] Sono 11 milioni 198 mila le persone che nel nostro Paese fanno sport all'interno di società sportive del sistema CONI, attraverso le affiliazioni alle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), Discipline Sportive Associate (DSA) ed Enti di Promozione Sportiva (EPS). Nel 2015 si contano 4.535.322 atleti tesserati dalle FSN e dalle DSA e 6.663.165 praticanti tesserati agli EPS. Ogni 100.000 abitanti gli atleti tesserati alle FSN e DSA sono circa 7.462, mentre i praticanti iscritti agli EPS sono oltre 10.962.

[2] G. Alleva, La pratica sportiva in Italia, Rapporto Istat presentato a Roma, Giovedì 23 Febbraio 2017.

[3] Basti pensare che il recentissimo Censimento permanente delle istituzioni non profit dell’Istat parla di circa 336.000 enti non profit in Italia, mentre Coni e Istat, nel Rapporto sui numeri della pratica sportiva in Italia (presentato a Roma il 23 febbraio 2017), parlano di circa 145.000, tra ASD e SSD, rapporti di affiliazione.

[4] Sia consentito il rinvio ad A. Mazzullo, Il nuovo Codice del Terzo Settore. Profili civilistici e tributari, Giappichelli, 2017.

[5] Per un maggior approfondimento scientifico, si rinvia all’articolo in corso di pubblicazione con il Fisco: A Mazzullo, “La rivoluzione delle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro” in il Fisco, Ipsoa, n. 45 del 2017, pp. 4326 e ss.

[6] Sia consentito il rinvio ad A. Mazzullo, Enti sportivi dilettantistici qualificabili come enti del Terzo

settore: valutazioni di convenienza, in il Fisco, n. 2 del 2018.

[7] Fondamentale, in tal senso, saranno i decreti correttivi e le circolari interpretative.

[8] L’art. 5, comma 1, lett. t), del Cts, annovera tra le attività di interesse generale “l’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”. Le SSD, tuttavia, potranno acquisire la qualifica di ETS solo come imprese sociali.

[9] Il comma 201 dell’art. 1 della Legge di Stabilità per il 2018 (L. n. 205 del 2017), prevede che: <<Per le erogazioni relative ai progetti promossi dalle fondazioni di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, nel perseguimento dei propri scopi statutari, finalizzati, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 2, del citato decreto, alla promozione di un welfare di comunità, attraverso interventi e misure di contrasto alle povertà, alle fragilità sociali e al disagio giovanile, di tutela dell’infanzia, di cura e assistenza agli anziani e ai disabili, di inclusione socio-lavorativa e integrazione degli immigrati nonché di dotazione di strumentazioni per le cure sanitarie, su richiesta degli enti di cui all’articolo 114 della Costituzione, degli enti pubblici deputati all’erogazione di servizi sanitari e socioassistenziali e, tramite selezione pubblica, degli enti del terzo settore previsti dal codice di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, è riconosciuto alle fondazioni medesime un contributo, sotto forma di credito d’imposta, pari al 65 per cento delle erogazioni effettuate nei periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2017, a condizione che le predette erogazioni siano utilizzate dai soggetti richiedenti nell’ambito dell’attività non commerciale>>.

[10] E tra queste, naturalmente, si pensi a quelle legate alla L. n. 398 del 1991 che prevede una forte forfettizzazione (sul piano IRES e IVA) ed esenzione (sul piano IRES) di alcune poste attive.

[11] Vedi sempre A. Mazzullo, ult. op. cit.

[12] Non beneficerebbe dei benefici fiscali del Titolo X del Codice del Terzo Settore, in virtù dell’art. 79, comma 1, ma con alcune eccezioni. L’art. 82 del CTS, ad esempio, prevede agevolazioni per le imposte indirette e locali che si applicano anche alle imprese sociali.


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