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Il discorso di Conte

di Alessandro Mazzullo

Oggi si è finalmente insediato il nuovo Governo. Se sarà “del cambiamento” lo vedremo. Così come toccherà vederne il verso.

Perché cambiare per cambiare non è mai un buon programma. E, a volte, si può persino “cambiar tutto, per non cambiare niente”.

Ciò non toglie che, in questo Paese, di cose da cambiare ce ne siano davvero molte.

Tra le cose che si spera non cambino, tuttavia, c’è lo stesso prof. Conte! O quantomeno il suo pensiero in materia di impresa sociale e di Terzo Settore[1]!

Nel suo discorso, non credo a caso, vi ha dedicato uno specifico e significativo passaggio.

Tuttavia, dai banchi dell’opposizione, l’attuale maggioranza ha spesso avanzato aspre critiche.

E la Riforma, d’altronde, non può certo considerarsene esente[2].

Ma dire “miglioriamola” è cosa diversa dal dire “stravolgiamola”.

L’opera portata avanti dal Sottosegretario Bobba e dai due Governi precedenti, seppur perfettibile, ha avviato un processo sul quale si attanagliano le aspettative importanti di gran parte della Società civile organizzata.

Pertanto, tornando alla domanda iniziale: che tipo di cambiamento dovremmo aspettarci rispetto alla Riforma del Terzo Settore? Difficile a dirsi allo stato attuale.

L’espressa dedica di un punto specifico del discorso, tuttavia, sembra quasi colmare una lacuna da molti considerata grave, all’interno dell’ormai famoso “contratto di Governo”.

Ma è anche vero che, da quel discorso, è difficile ricavare qualche indicazione esplicita ed ulteriore, al netto della riaffermata centralità dell’argomento, anche alla luce della necessaria attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost.

Qualche spunto indiretto si spera di poterlo ricavare, invece, dalla critica del modello capitalista, che ritroviamo in un altro punto del discorso[3].

Ma, soprattutto, si spera di poter ritrovare, nell’attività di Governo del Pres. Conte, quanto è sempre stato presente nella sua attività di ricerca.

Nel lontano 2009, ad es, così scriveva: “… le dinamiche evolutive del terzo settore hanno evidenziato, nel nostro paese, due distinti processi. Un primo, più datato processo ha visto molte delle organizzazioni non profit cadere nella tentazione di intessere stretti rapporti con lo Stato e gli enti pubblici sino a rimanere asserviti ad essi, esponendosi così al rischio di contribuire a realizzare quel disegno di dirigismo economico già in parte prefigurato dalla l. n. 266 del 1991, in tema di disciplina delle organizzazioni di volontariato. Un secondo processo, segnalato dapprima nel mondo anglosassone ma evidente da tempo anche in Italia, si ricollega a quella che è stata definita "the commercial transformation of the non profit sector", vale a dire la tendenza degli organismi non profit a svolgere attività di impresa e a svolgerla in forme e modi sempre più ampi, anche al di fuori del principio di connessione o strumentalità con le primarie attività istituzionali[4].

Ecco la speranza è che il Governo Conte, anche tramite l’attuale Ministro competente – Luigi Di Maio – sappia rimaner fedele a questa visione, rifuggendo, allo stesso modo, le derive neo-stataliste e neo-liberiste che sembrano emergere da altri aspetti del programma.

Occorre civilizzare l’Economia, ripartendo da un sistema non più bipolare (Stato-Mercato), e, come tale, soggetto alle ricordate derive; ma tripolare, perché fondato sulla relazione tra Stato-Mercato e Società Civile.

L’impresa civile, e quindi non soltanto quella sociale ma anche quella socialmente responsabile, è tale perché produttrice di valore sociale, prima ancora di profitto individuale. Civilizzare l’economia significa valorizzare questo tipo d’impresa[5]!

Sul piano civilistico (ma anche fiscale), occorre ammettere, una volta per tutte, che tali enti possono svolgere attività lucrativa, anche illimitata, purché orientata ad un fine non lucrativo e di interesse generale[6].

Sul piano fiscale, ciò significa dar conto della loro capacità di concorrere alle spese dello Stato (art. 53 cost), non soltanto in termini di partecipazione alle maggiori spese, ma anche in termini di riduzione della spesa statale stessa (dove arriva il Civile, l’intervento sussidiario dello Stato è risparmiabile).

Occorre sprigionare questo circolo virtuoso dell’Economia civile, capace di incidere contemporaneamente sul numeratore (in termini di minore spesa pubblica) e sul denominatore (in termini di maggiore ricchezza prodotta) del rapporto Debito/Pil

Le agevolazioni, magari riviste dentro un inquadramento tributario diverso[7], dovranno confrontarsi presto con l’Unione Europea[8].

Ecco quella potrà essere un’occasione interessante per attuare, e non distruggere, il sogno europeo.

Se l’Europa vorrà davvero dar senso all’art. 3 del Trattato di Lisbona che parla di Economia sociale di mercato altamente competitiva, riveda i limiti degli aiuti di Stato per le agevolazioni dirette a questo tipo di imprese.

Non si può più pensare che un’impresa civile, che riduca al minimo le sue emissioni inquinanti (perché socialmente responsabile) sia tenuta a pagare, a parità di reddito prodotto, le stesse tasse di un’altra socialmente irresponsabile. A maggior ragione, nel caso in cui l’impresa, in quanto sociale, a parità di reddito prodotto, sia capace di far risparmiare lo Stato attraverso un impatto sociale positivo.

Gli aiuti di Stato, se così li si vuole chiamare[9], non sono tutti uguali.

Ecco, è così che vorremmo cambiare l’Europa. Da dentro. In modo “civile”, ovvero nella speranza di un rinnovato “Umanesimo civile”, ancorché declinato a livello europeo e non più soltanto italiano.


[1] Si veda la sua ultima opera, L’impresa responsabile, Giuffrè, 2018, di cui si è già parlato in un articolo a firma del Direttore Arduini.

[2] Sul punto sia consentito il rinvio ad alcune proposte di riforma già indicate in diversi scritti, a cominciare da quelle attinenti l’inquadramento fiscale nel rigido e superato binomio enti commerciali – ed enti non commerciali. Vedi A. Mazzullo, Il nuovo Codice del Terzo Settore. Profili civilistici e tributari, Giappichelli, 2017.

[3] Altro elemento da sottolineare del discorso del Pres. Conte in Senato, citando l’opera di Koetler, autore di un importante saggio dal titolo “Ripensare il Capitalismo” edito da Hoepli e Nexo Corporation, nel 2016.

[4] G. CONTE, Vincoli giuridici, principi economici e valori etici nello svolgimento dell’attività d’impresa, in Contratto e impr., n. 3/2009, pp. 679 e ss.

[5] Si veda anche il recentissimo documento del Vaticano: “‘Oeconomicae et pecuniariae quaestiones’.

[6] Magari superando il contraddittorio limite della strumentalità e secondarietà di cui all’art. 6 del Codice del Terzo Settore e, soprattutto, il contraddittorio inquadramento fiscale nel vecchio binomio enti commerciali-enti non commerciali. Vedi sempre A. Mazzullo, Il nuovo Codice del Terzo Settore. Profili civilistici e tributari, Giappichelli, 2017.

[7] Vedi nota precedente.

[8] Dall’autorizzazione dipenderà anche la stessa efficacia di molte misure agevolative. Vedi art. 104, comma 2, del cts.

[9] Io preferisco parlare di Fiscalità compensativa: http://www.vita.it/it/blog/la-lampadina/2013/07/13/btyt-bt-1yt-1-r-gbt-1yt-1gt-ttyt/3521/.


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