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Cooperazione & Relazioni internazionali

Dilma Rousseff, la prima presidente donna del Brasile

di Paolo Manzo

“Agora è Dilma”, che tradotto in italiano suona più o meno  “Adesso è Dilma”. Con questo jingle suonato a tutto volume – assieme al coro “Olé, olé, olá, Dilma, Dilma” cantato a squarciagola – i supporter della “delfina” di Lula hanno preso d’assalto i punti nevralgici di tutte le città brasiliane, a cominciare dalla capitale Brasilia la cui piazza centrale dei “tre poteri” ieri sera sembrava – ma solo cromaticamente – Piazza del Cremlino ai tempi del comunismo: migliaia di  bandiere rosse con al centro la stella del PT, il Partito dei Lavoratori fondato. Lo spirito, fuochi d’artificio compresi, era però quello del Carnevale verde-oro. “Adesso è Dilma” e, dunque, per la prima volta nella sua storia il Brasile sarà governato da una donna. In un paese tradizionalmente maschilista come questo, un fatto storico. Con il 56,05% dei voti ottenuti da Dilma contro il 43,95% di José Serra, il candidato del PSDB (Partito della Socialdemocrazia Brasiliana), la Rousseff ha sbaragliato il suo avversario, sommergendolo con oltre dodici milioni di voti in più. Una vittoria all’insegna della continuità e che consacra gli otto anni di buon governo del suo “mentore”, quel Luiz Inácio Lula da Silva che, Getulio Vargas a parte, è stato l’unico presidente che ha agito guidato da un “progetto Paese”. Come anticipato dai sondaggi della vigilia, Dilma ha stravinto a Rio, in Amazzonia, nel ricco Minas Gerais e nel Nord-est del paese, l’area tradizionalmente meno sviluppata del paese, dove il “traino” di Lula, che è originario proprio di là, è stato più efficace. A San Paolo, il cuore economico-finanziario del Brasile, Serra ha invece avuto la meglio, ma di stretta misura. Troppo poco per aspirare a diventare presidente di tutto il Brasile. E che sia stato l’ex sindacalista metalmeccanico il vero artefice della vittoria di Dilma – semisconosciuta sino ad un paio di anni fa – nessuno tra gli analisti che hanno seguito il voto ha dubbi. Lula, il primo presidente eletto dal popolo e venuto dal popolo ce l’ha dunque fatta, a dimostrazione di come la sua popolarità all’83% sia senza precedenti. Un risultato straordinario quello del trasferimento di voti di Lula a Dilma soprattutto se si pensa che in Brasile erano addirittura 80 anni che un presidente democraticamente eletto non riusciva a passare le consegne al candidato da lui scelto. L’ottava potenza mondiale –per la cronaca un paio di mesi fa il Pil brasiliano ha superato proprio il nostro nelle statistiche del FMI – entra così in una nuova fase della sua storia, dove comunque la parola d’ordine sarà continuità con le politiche socio-economiche portate avanti finora da Lula. Per Dilma sarà tecnicamente facile governare. Dalle elezioni per il Parlamento – avvenute lo scorso 3 ottobre in concomitanza con il voto presidenziale – la coalizione di partiti che appoggia la sua maggioranza è risultata schiacciante. 360 deputati contro 125 alla Camera e 57 seggi contro 22 al Senato. Una situazione talmente favorevole e di cui neanche Lula aveva mai goduto. E mentre i festeggiamenti continuano e continueranno anche nei prossimi giorni nei corridoi del potere è già partito il toto-ministri del primo esecutivo “dilmista”. Tra i favoriti l’attuale ministro dell’Economia Guido Mantega che ha forti possibilità di essere riconfermato mentre potrebbe rientrare in scena con un ruolo di primo piano Antonio Palocci, ex ministro dell’Economia e potrebbe essere rimosso l’attuale governatore della Banca Centrale, Henrique Mereilles, del principale partito alleato, il Partito del Movimento Democratico Brasiliano, per essere nominato ministro. Lula, invece, ha fatto sapere ieri che, nel 2011, non intende entrare a far parte né del governo di Dilma, né guidare il suo partito, il PT, né andarsene all’estero. Di certo nessuno crede che se ne starà “fermo” e, assicurano i bene informati, sarà la vera “eminenza grigia” della prima presidenza Dilma.

Pubblicato oggi anche su La Stampa


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