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Sostenibilità sociale e ambientale

Defossilizzare l’Emilia-Romagna in vista del Green Deal

di Walter Ganapini

Leggo, nel ‘Rapporto Energia Emilia-Romagna’:

Si ricorda che nel 2004 l’italia ha prodotto circa 13 miliardi di Sm3di gas naturale, oltre il doppio della produzione attuale, mentre nel 1994 la produzione è stata di oltre 20 miliardi di Sm3 . c iò è stato possibile grazie ai grandi investimenti effettuati dallo Sta-to italiano negli anni 1970-1980 tramite la compagnia petrolifera pubblica, e di cui ora si stanno raccogliendo gli ultimi ricavi . in-fatti, l’attuale scenario normativo, sociale e concessorio nazionale non è troppo favorevole per at-trarre i grandi investimenti ne-cessari da parte dell’industria del settore idrocarburi, che, per la loro natura tecnica e strutturale, sono investimenti a lungo ter-mine, con un ritorno dell’ordine di circa 10 anni . circa il futuro, sembra molto probabile la possi-bilità di effettuare nuove scoper-te, verosimilmente a gas naturale e concentrate primariamente sul settore offshore; per fare ciò oc-corre rimettere in moto l’intero ciclo dell’esplorazione petrolifera, nonché instaurare un ciclo vir-tuoso di fiducia economica, socia-le e istituzionale nei confronti dei combustibili fossili, ed in partico-lare del gas naturale, necessario per alimentare e accompagnare la transizione energetica verso sistemi sempre più orientati alle fonti rinnovabili o a bassa emis-sione di gas serra . Si tratta però di problematiche di un compar-to industriale strategico che può essere valutato e valorizzato solo in un’ottica nazionale e, più in generale, di geopolitica delle fonti energetiche, e quindi non solo dal punto di vista regiona-le . La regione emilia-romagna, inoltre, ha sviluppato, e ancora ospita, realtà produttive indu-striali di eccellenza nel settore delle costruzioni e dei servizi per l’industria petrolifera ed energe-tica . Questo settore di eccellen-za regionale è caratterizzato da una forte spinta verso la ricerca applicata e l’innovazione tecno-logica; le aziende si sono preva-lentemente sviluppate nell’area di ravenna, grazie alla forte spin-ta del settore offshore a partire dagli anni 1960, e nell’area di Piacenza, che può essere consi-derata la culla dell’industria pe-trolifera italiana fin dalla seconda metà del 1800 . L’attuale dimi-nuzione di investimenti su nuovi progetti, sul territorio sia regio-nale, sia nazionale, sta mettendo in sofferenza numerose aziende di questo comparto, costrette già da tempo ad operare quasi solo all’estero, dove però le sfide sono molto più complesse, e con un minor ritorno di capitale e lavoro sul territorio.

Fatico a credere che istituzioni emiliano-romagnole non sappiano che Crisi Climatica, crisi finanziaria/industriale da globalizzazione deregolata ed oggi crisi pandemica sono sfide epocali per superare le quali l'Unione Europea ha proposto il Green Deal, generativo di un'economia competitiva, in cui dal 2050 non si registrino più emissioni nette di gas serra, la crescita economica sia disaccoppiata dal consumo di risorse limitate, nessuna persona e nessun luogo sia trascurato.

Perno di tale strategia è la ‘defossilizzazione’ del modello di sviluppo, che promuova economia circolare e bioeconomia, ripristino di biodiversità e riduzione di emissioni fino al -50% (contro il -40% inizialmente previsto) o al -55% (richiesto in più sedi) entro il 2030, attraverso una Transizione giusta ed inclusiva, investendo in:

  • sviluppo e diffusione di tecnologie industriali più pulite
  • innovazione di processo e prodotto per beni e servizi sostenibili
  • modalità di trasporto privato e pubblico più pulite
  • decarbonizzazione della produzione energetica
  • maggiore efficienza energetica dell’ambiente costruito
  • migliori standard ambientali internazionali.

Com’è dunque possibile che ad una realtà tradizionalmente attenta all’Europa come la Regione Emilia-Romagna ‘sfugga’ il ‘vulnus’ di un Rapporto in contraddizione con il Green Deal, proprio quando è chiaro che politiche nazionali/regionali non coerenti con tale strategia condizioneranno anche l’accesso al Recovery Fund?

Mi colpisce che tale ‘vulnus’ emerga nel corso dello ‘storytelling’ di una Riviera romagnola fortunato luogo di sperimentazione a scala reale di una tecnologia di cui si favoleggia da anni, ma che ancor oggi risulta più ‘green washing filo-fossile’ che frutto di pratica industriale di ‘scaling-up’, il CCS (Carbon Capture and Storage).

La narrazione descrive sottosuoli di pianura e fondali adriatici emiliano-romagnoli come ‘hub gasiero’, tempo fa vocato al CH4, ora alla CO2 in vista dello scenario H2 da destinare ai mercati energetici dell’Europa Centro Settentrionale, mentre anche livelli istituzionali si scagliano contro progetti di elettrogenerazione eolica offshore.

Mi pare a questo punto necessario un confronto culturale razionale, trasparente e documentato sul tema ‘parco eolico offshore’.

Percepisco come non noto a molti politici, favorevoli all’ ‘hub CCS’ e contrari ai parchi eolici, il ‘Piano di Gestione Integrata della Zona Costiera’ (GIZC) richiesto dalla UE, che l’allora Assessore Regionale Ambiente Dr. Tampieri coordinò fino alla approvazione da parte di Giunta Regionale ed Enti Locali costieri, presentandolo ufficialmente al Convegno ‘Sviluppo sostenibile della costa’, Rimini, Maggio 2003.

Il Piano GIZC evidenziava come priorità un ‘set’ di azioni tra cui:

  • riqualificazione dei servizi alberghieri sul piano dell’efficienza eco-energetica;
  • riutilizzo di pescherecci eccedenti per pescaturismo e cabotaggio costiero;
  • valorizzazione della linea ferroviaria esistente tra Cattolica e Ravenna come metropolitana di superficie per decongestionare la statale Romea.

In materia di politiche energetiche, a seguito dell’analisi del bilancio energetico d’area (Scheda 8). il Piano prevedeva:

  • creazione di un “parco tecnologico costiero”, per sistemi energetici fondati su fonti rinnovabili (dal solare termico ai bagni fotovoltaici, dagli impianti eolici off-shore sulle piattaforme per idrocarburi alla produzione ed utilizzo di biomasse da aree di rinaturazione e terre a riposo)

Gli obiettivi di politica energetica sostenibile erano così schematizzati:

Lo scenario eolico con ‘WindFarm offshore’ era così rappresentato:

Per realizzare la WindFarm offshore sulle piattaforme in dismissione mineraria, molto si lavorò per evitarne lo smantellamento, che avrebbe rimesso in circolo i fanghi tossici da attività di perforazione, accumulati nei fondali sotto le piattaforme. Evitato tale rischio, il confronto con l’allora AGIP Produzione ed Estrazione portò ad ottenere che la allora Snamprogetti si facesse carico del programma REPLAT – Recycling Platforms per validare la fattibilità dell’installazione di pale eoliche sulla sessantina di piattaforme presenti da Cattolica a Ravenna, a partire dalla verifica di intensità e direzione prevalente dei venti nell’area: la velocità utile del vento doveva superare i 6m/sec, con una potenza delle pale allora disponibili di 0.5 MW/cad. Il programma REPLAT dimostrò disponibilità di vento con la citata velocità per quasi 2000 h/anno ed escluse che regimi di bora potessero pregiudicare l’equilibrio statico degli impianti eolici sulle piattaforme.

Il trasporto a terra della elettricità producibile non era un vincolo: le piattaforme erano già interconnesse con cavo fino a quelle denominate ‘Angela’ ed ‘Angelina’, localizzate in prossimità dell’area portuale di Ravenna.

La dismissione mineraria di una piattaforma non significava esaurimento totale del giacimento, ma solo che la pressione del gas residuo non era più considerata utile commercialmente; quel gas residuo sollecitò l’interesse al progetto di SAPIO ed HERA, cui appariva interessante la trasformazione in situ del gas naturale a Idrogeno con processo di ‘reforming’ alimentato dall’energia eolica, e di CETENA-Fincantieri, interessata al ‘refitting’ a celle a combustibile dei motori dei circa 300 pescherecci di Rimini allora in dismissione, così riutilizzabili per cabotaggio costiero di merci e persone in alternativa alla intasata e pericolosa strada costiera. CETENA-Fincantieri considerava una tale sperimentazione prodromica rispetto alla sua progettazione, allora in programma, di un vaporetto elettrico per Venezia. Il Piano GIZC approvato da tutti gli attori istituzionali non trovò attuazione, poichè EniPower, impegnata a dare corso al progetto di una centrale a ciclo combinato da 800 MW a Ravenna, orientò a sfavore della WindFarm l’Assessorato Regionale Attività Produttive competente in materia di impianti energetici ed aggregò il consenso di imprenditori e sindacati interessati alla realizzazione della centrale che il Piano GIZC dimostrava non necessaria al bilancio energetico emiliano-romagnolo. Le rappresentanze sindacali spesso temono ancor oggi che una politica energetica sostenibile metta a rischio gli attuali addetti al comparto fossile, quando basterebbe calcolare quanta occupazione genererebbero la diffusione di Comunità Energetiche e l’applicazione delle normative ‘Ecobonus’ per sciogliere il dubbio.

Gli uffici regionali ‘resistivi al cambiamento GIZC’ inserirono nei loro programmi un obiettivo di produzione da fonti rinnovabili pari a una potenza installata di 20 MW, a fronte di un potenziale di oltre 200 MW solo dalla WindFarm offshore: un triste ‘specchietto per allodole’ ambientaliste!

Se i progetti proposti dal Piano GIZC approvato avessero avuto attuazione, dalla solarizzazione termica e fotovoltaica di stabilimenti balneari e strutture ricettive fino alla WindFarm offshore sulle piattaforme in dismissione, la Riviera avrebbe goduto di un grande valore aggiunto sia in termini di immagine ‘environmentally friendly’ che di laboratorio avanzato di innovazione tecnologica e gestionale, ospitando quella che sarebbe stata la prima WindFarm del Mediterraneo (ora non più).

Oggi industrie e governi dell’Europa Centro Settentrionale sono impegnati nella progettazione di parchi eolici nei tempestosi mari del Nord, su supporti galleggianti, con dotazione di pale di potenza 14 MW/cad per una velocità del vento di 3 m/sec. Contestualmente, il mondo cooperativo vive la crisi dei suoi principali attori in campo tecnologico e delle costruzioni, da sempre non insensibili alle ‘sirene fossili’. Peccato!

Confido che la narrazione di un’esperienze passata (dimenticata) e di una occasione perduta favorisca una correzione di rotta affinchè l’Emilia-Romagna sia attore trainante e credibile al tavolo del Green Deal.

Photo by koushik das on Unsplash


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