Arjun Appadurai

Appadurai: “Per chi genera futuro il valore sociale è l’unico profitto”

di Marco Dotti

Il futuro è un elemento portante delle società umane. Ma le visioni del futuro cambiano. Preservarne la differenza, significa preservarne il valore. Ecco perché, come ci spiega il grande antropologo Arjun Appadurai, che sarà a Milano il 27 luglio prossimo per una "lecture" aperta alla città, «serve un'etica orientata al futuro o consegneremo le chiavi del nostro destino a vecchie e nuove logiche di sfruttamento»

Esiste un'etica che il grande antropologo di origine indiana Arjun Appadurai ci invita a chiamare «etica della possibilità». Comprende tutte quelle forme di pensiero e azioni che «allargano gli orizzonti della speranza, espandono il campo dell’immaginazione, generando maggiore equità». È un'etica pervasa di futuro. Abbiamo incontrato Arjun Appadurai, che sarà a Milano per una lecture aperta alla città, mercoledì 27 luglio alle ore 19.30 a La Triennale. Anticipiamo oggi una parte della nostra intervista, ricordando che la conferenza di Appadurai rientra nello "Special Program Future Ways of Living" organizzato da Meet the Media Guru con Maria Grazia Mattei in collaborazione con La Triennale di Milano e Fondazione Cariplo. L'ingresso è libero previa iscrizione fino ad esaurimento posti (per iscriversi: qui).

Birkerod, Danimarca. Caccia al migrante
Fotografia di NILS MEILVANG/AFP/Getty Images

Uomini, merci, sfide e pericoli

Quali sono, oggi, i pericoli maggiori a cui la globalizzazione ci sta esponendo?
Io li vedo nella crescente disuguaglianza. Li vedo nel traffico di armi e nel nazionalismo di matrice conservatrice.

Zone e contesti fortememente marcati dall'accoglienza e dall'apertura, si stanno richiudendo attorno a logiche da Stato – socialmente e culturalmente – chiuso. Pensiamo alla Danimarca, alla Finlandia…
Purtroppo per tutti, la reazione nazionalista alla globalizzazione è una reazione forte alla globalizzazione. Direi che è il prodotto di uno sforzo per compensare la dipendenza economica. Questo fatto accresce i marcatori culturali e razziali delle identità sovrane.

Come legge, in sintesi, la recente crisi prodotta dalle migrazioni in Europa?
La leggo come una grande sfida. Una sfida ma anche, al contempo, un promemoria.

In che senso un promemoria?
Nel senso che l'Europa è stata, per secoli, intimamente all'Africa e al Medioriente. L'inclusione dei rifugiati richiede un ripensamento di base sull'identità nazionale, ma anche su cittadinanza e dovranità in tutte le nazioni europee.

Rifugiati a Horgos, in Serbia al confine con l'Ungheria, il 16 luglio 2016
Fotografia di Matt Cardy/Getty Images

Dobbiamo essere mediatori, catalizzatori e promotori dell’etica della possibilità a fronte dell’etica della probabilità, di un impegno morale fondato sulla convinzione che una politica genuinamente democratica non può basarsi sulla valanga di numeri circa la popolazione, la povertà, il profitto e il saccheggio che minaccia di soffocare ogni ottimismo street-level circa la vita e il mondo. Occorre, piuttosto incrementare l’etica della possibilità, che può offrire una base più estesa per il miglioramento della qualità della vita sul pianeta e accogliere una pluralità di visioni della vita buona

Arjun Appadurai

La finanziarizzazione che la crisi del 2008 ha fatto esplodere in ogni piega della vita quotidiana ha svolto un ruolo in questa risposta degli Stati all'immigrazione e al riaffiorare della questione sociale in genere?
Sì, perché finanziarizzazione significa anche il denaro scivola e fluisce tra i confini nazionali e questa volatilità dei flussi monetari non è stata connessa all'uscita di persone che attraversano delle frontiere.

Da un lato il denaro, l'impersonale, dall'altro gli uomini. Non sembra esserci via d'uscita…
Io vedo una possibilità etica. Cè una via d'uscita, ma sarà necessario essere onesti. Dobbiamo pensarci ed essere cittadini onesti, politici onesti. Abbiamo bisogno di loro e di attivisti onesti che sviluppino assieme infrastrutture dove i confini tra le nazioni siano trattati come provvisori e efficienti, anziché assoluti e permanenti.

Etica, speranza, futuro: queste le tre parole chiave su cui articolare anche il discorso sul sociale?
Queste parole chiave appartengono a quel genere di scienze sociali che Marx, Durkheim e Weber, i padri di queste scienze, hanno cercato di creare. Questi padri hanno cercato di lanciare lo sguardo oltre lo steccato. Hanno cercato di generare valore sociale, oltre il profitto. Questa sfida rimane aperta e cruciale, sia per le scienze sociali, sia per l'umanità nel suo insieme. Senza eccezioni.

Un bambino nel campo profughi di Zaatari in Giordania, al confine con la Siria, il 14 luglio 2016
Fotografia di KHALIL MAZRAAWI/AFP/Getty Images

Etica del futuro

Nel suo lavoro, si è concentrato molto sul tema del futuro. Non è paradossale per l'antropologia rivolgere lo sguardo al domani, anziché al passato?
È indubbiamente paradossale, anche se non dovrebbe esserlo. Tutte le società pensano al futuro. Non ci sono società che non pensano al domani. L'anno che verrà, il prossimo raccolto, il rituale da compiere… L'antropologia è lo strumento migliore per capire come queste società orientate al futuro sono culturalmente differenti. Non esistono due immagini culturali del futuro perfettamente uguali e coincidenti. Questo è un fatto importante.

Perché è importante?
Proprio perché le visioni del futuro sono diverse diventa di vitale importanza conoscerle per preservarne la differenza. Cerchiamo soluzioni universali a problemi universali: la salute, la giustizia, la libertà. Possiamo trarre importantissimi insegnamenti dalla diversità culturale e dalle diverse immagini del futuro. La vita buona di tutti può dipendere da questo.

Possiamo concepire un'etica orientata da queste immagini del futuro?
Dobbiamo. Credo sia una dimensione obbligata del pensiero sociale. Senza un'etica per il futuro saremo condannati a consegnare le chiavi del domani ai nostri padroni, siano essi umani o non umani. Umani o tecnologici che siano se non apriremo la nostra etica alla riflessione sul futuro le cose potrebbero mettersi davvero male.

L'ospite

Arjun Appadurai, antropologo, è nato a Bombay nel 1949 e insegna alla New York University. È considerato uno dei massimi esperti degli aspetti culturali della globalizzazione. I suoi lavori hanno aperto l’antropologia culturale alle sfide della complessità postmoderna, le sue riflessioni spaziano dai fenomeni migratori alle tecnologie di comunicazione di massa, considerati elementi decisivi nella definizione del concetto di modernità diffusa. Tra i suoi testi pubblicati in Italia:Sicuri da morire. La violenza nell’epoca della globalizzazione (Meltemi, 2005); Le aspirazioni nutrono la democrazia (et al., 2011); Modernità in polvere (traduzione di Piero Vereni, Cortina , 2012); Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale (Cortina, 2014).


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