Elio Guerriero

Ridare forma al sacro: Joseph Ratzinger e il destino dell’Europa

di Marco Dotti

Amato e discusso in ogni fase della vita, Joseph Ratzinger è stato uno dei grandi protagonisti della seconda metà del Novecento. Eletto papa nel 2005, otto anni dopo stupì il mondo con le dimissioni dal papato, un gesto clamoroso che a molti sembrò il segno del tramonto del cattolicesimo. Era, al contrario, il passaggio obbligato per aprire la Chiesa a una dimensione più universale, a un rinnovamento cui sta lavorando il suo successore. Ne abbiamo parlato con Elio Guerriero, autore di un’imponente e importante biografia dedicata a Benedetto XVI. Un'intervista rivelatrice dello spessore del Papa emerito che riproponiamo oggi nel giorno della sua scomparsa

Un lavoro bello e imponente, denso e lieve al contempo, curato con passione e rigore fin nei minimi dettagli: Servitore di Dio e dell’umanità (Mondadori, 2016, pp. 549, euro 24) è la biografia di Benedetto XVI scritta da Elio Guerriero. Teologo e storico, già responsabile editoriale di Jaca book e delle edizioni San Paolo, nonché, per più di vent’anni, direttore dell’edizione italiana della rivista internazionale di teologia e cultura “Communio”, Guerriero ha conosciuto Ratzinger nel 1985.

Ci racconta, mentre passeggiamo a Monza: «Conoscevo il suo pensiero da molto prima, quindi direi che è una presenza costante nei miei studi e nella mia vita». La biografia, in qualche modo, «si è costruita man mano, raccogliendo e approfondendo tematiche presenti nella sua opera e nella sua vita». Guerriero spiega di aver sempre colto, nella teologia di Ratzinger, una «teologia bella, radiosa, armonica, umanitaria. Rifuggivo pertanto dalla lettura della “fine dei tempi” che si è data del suo pontificato e della sua rinuncia».

Tutto è nato da sé, quando i primi appunti sono diventati capitoli e i capitoli hanno dato corpo a un libro. «Non mi ero dato limiti di tempo, cosa che qualche editore oggi giudicherebbe alquanto bizzarra, e mi ero semplicemente messo a lavorare. Arrivato a buon punto, dopo aver superato alcuni scogli piuttosto ostici – ho fatto due cose: ho cercato un editore e mi sono permesso di interpellare papa Benedetto». Il libro è nato così. Ed è un libro importante, per capire anni che credevamo di aver capito e una figura che, in qualche modo, pensavamo di aver già definitivamente catalogato.

Il cardinale Ratzinger ai funerali di Giovanni Paolo II
Città del Vaticano, 8 aprile 2005 (fotografia di Christopher Furlong/Getty Images)

Governo della Chiesa e teologia

Lei viene da una consuetudine col pensiero di Ratzinger, ma nel suo lavoro ha dovuto affrontare anche il tema del governo della Chiesa durante un pontificato per certi aspetti persino drammatico. Rispetto a molte letture, che imputano a Benedetto XVI un deficit di governo, dalla sua biografia ne emerge una molto diversa…
Quando Joseph Ratzinger è stato eletto Papa – ed è notorio che non ambisse alla cattedra di Pietro – si sapeva che veniva dalla teologia. Questo ha comportato alcuni mutamenti che, non sempre, vengono letti correttamente. Si parla di un deficit di governo. Ci sono stati papi statisti, diplomatici ma Ratzinger era un teologo ed è stato un Papa teologo. Un Papa non è necessariamente uno statista che deve far funzionare una macchina, ma – si spera – anche un pastore che cerca di tener viva la fede. Anzi, io spererei che sia primariamente questo. Ho trovato molto importanti le parole di Papa Francesco, quando all’inizio della prefazione al mio volume ricorda che dovremmo essere grati a Ratzinger non solo per i suoi anni da pontefice, ma anche per i vent’anni passati accanto a Giovanni Paolo II. Se posso anticipare un commento direi che uno dei problemi del pontificato di Benedetto XVI è stato proprio quello di non avere un Ratzinger accanto. In ogni caso, come Papa Ratzinger si è posto ed ha affrontato questioni teologiche essenziali per un credente.

Ad esempio?
Pensiamo al problema della fede, al rapporto di amore con Gesù. Il tentativo di di costruire un edificio teologico, credibile, bello, stabile e armonioso è stato un lavoro fondamentale di Papa Benedetto XVI.

Perché su questo punto è venuto a scontrarsi con il metodo storico critico dell’ esegesi?
Papa Benedetto, giustamente, ci ricorda che il credente deve necessariamente avere davanti a sé una persona cui rivolgersi. Se Gesù è Dio devo più che mai avere la possibilità di rivolgermi a Lui, di invocarlo, di chiedere il suo sostegno. Il lavoro di approfondimento e studio sulle fonti storiche è stato importante e necessario. Ci ha consentito di comprendere meglio il contesto storico, il senso di alcune parabole. A volte, però, concentrando eccessivamente sui dettagli ci ha posto davanti sui dettagli, un freddo cumulo di notizie storiche. Non è questo di cui ha bisogno il fedele. L’ esegesi deve contribuire a costruire un’ immagine credibile di Gesù, non può limitarsi solo ai particolari storico-filologici.

Benedetto e Francesco
Roma, Città del Vaticano, 28 settembre 2014
(fotografia di Tiziana Fabi/AFP/Getty Images)

Il fondamento della dignità, ci ha insegnato Papa Benedetto XVI, è la ragione dell’ uomo e la sua vocazione alla trascendenza, all’ eternità.

Elio Guerriero

Un nuovo compimento

Queste considerazioni ci portano dritte al tema del personalismo in Ratzinger
La persona è al centro delle attenzioni di Ratzinger fin dal tempo dei suoi anni universitari a causa dello scompiglio portato dalla guerra. Già in quegli anni il giovane Ratzinger capì che non si poteva andare avanti solamente con la teologia di scuola, la scolastica con le sue risposte belle e pronte che ormai erano insufficienti a spiegare quanto era successo. Di qui il ricorso di Ratzinger al pensiero personalistico di matrice ebraico-cristiana. All’ origine e a fondamento della persona c’è un “io” e c’è un “tu”. Per i credenti – sia per l’ebreo Martin Buber, sia per il cattolico austriaco Ferdinand Ebner – c’è un “Tu”, con la “T” maiuscola. Questo “Tu” è il primo che mi interpella, il primo che mi chiama, il primo che mi fa risvegliare a me stesso. Da questo dialogo tra “io” e “tu”, tra “io” e “Tu”, derivano tanto il rispetto verso ogni persona, quanto l’apertura al divino. E, al tempo stesso, questa apertura crea una «immortalità dialogica», per usare le parole di Ratzinger. Di qui la capacità di guardare al futuro, di sperare in nuovi mondi, di sconfiggere il pessimismo, il relativismo, il materialismo. Per questo, però, non possiamo fare a meno dell’anima che è parte attiva in questo dialogo col “Tu”., con Dio, il Padre di Gesù Cristo e di tutti gli uomini.

Alla base del personalismo del giovane Ratzinger c’è il pensiero di Martin Buber,il padre del cassidismo, un pensatore ebreo molto importante…
Io credo che tra le cose meno comprese nel pensiero di Papa Benedetto XVI ci sia proprio la sua apertura al mondo ebraico. Lui è tedesco, sa benissimo che cosa è accaduto in Germania negli anni della Seconda guerra mondiale. Non indulge, però, a una benevolenza generica ma ha cercato di approfondire i fondamenti del rapporto tra ebrei e cristiani. La soluzione da lui proposta, a mio avviso, di grandissimo interesse parla delle molte religioni e dell’unica alleanza. Le molte religioni sono delle vie pensate dall’uomo per approdare al sovrannaturale e incontrare Dio. L’alleanza, invece, è qualcosa di diverso. È qualcosa di storico, innanzitutto, che ha all’ origine un Dio che ha un nome, un Dio misericordioso che viene incontro all’ uomo oppresso, si fa conoscere e parla. Tutta la tradizione ebraico-cristiana si basa su questo: è Dio che per primo si rivolge all’uomo, a un popolo. Di qui la dialettica dei vicini e dei lontani, di cui parla già San Paolo, che è a fondamento della concordia testamentorum, ovvero dell’ accordo tra i due testamenti. In base a questa visione Gesù è il nuovo Mosè che porta a compimento la Legge antica, ma non la abolisce anzi, la porta a compimento, la sublima. La visione di Isaia secondo la quale i popoli accorreranno e si raduneranno in Sion, si realizza nel momento in cui Gesù sale sulla Montagna e proclama le sue beatitudini. Questi due monti, il Sinai e la montagna delle Beatitudini, sono il nucleo da cui l’intera umanità dovrebbe essere illuminata. Questa intuizione di Benedetto XVI è di un’estrema importanza. Viene sottolineato con forza il ruolo di Israele e della sua legge nella storia e nella cultura dell’ umanità. Così come viene sottolineato il completamento portato da Gesù e dal suo Vangelo. Ratzinger ripete spesso: non dimentichiamo che, quando recitiamo i Salmi, recitiamo le preghiere di Israele. Allo stesso modo, quando ci rivolgiamo a Dio dandogli del “Tu” ci rivolgiamo al Dio che dapprima è apparso ai patriarchi e a Mosè e poi si è definitivamente rivelato in Gesù Cristo.

Ratzinger, però, passa per essere antiecumenico…
In qualche modo è vero, perché non vuole un ecumenismo a buon mercato. Non gli basta la pacca sulle spalle, la cena comunitaria alla fine della quale i problemi restano. Serve, per lui, una grande, reciproca apertura. Ratzinger sostiene che il cristianesimo deve rimettersi in cammino e per riprendere la strada deve ripensare i fondamenti, le questioni di fondo. Solo così si può proporre qualcosa di convincente per il domani.

Per la Chiesa la presenza di un papa emerito oltre a quello in carica è una novità. E poiché si amano, è una novità bella. In certo senso esprime in maniera particolarmente evidente la continuità del ministero petrino, senza interruzione, come gli anelli di una stessa catena saldati dall'amore

Papa Francesco (dalla Prefazione a “Servitore di Dio e degli uomini”)

Un nuovo umanesimo tra fede e ragione

Un capitolo del suo libro Servitore di Dio e dell’umanità s’intitola “Un nuovo umanesimo per il Duemila”…
Per me questa è una questione cruciale per capire Ratzinger le cui proposte non sono mai di corto respiro. Ratzinger chiede un dialogo tra le religioni serrato, senza evitare i problemi. Nei giorni scorsi è caduto il decimo anniversario del Discorso di Ratisbona (12 settembre 2006, Università di Ratisbona) che tanto fece discutere e altrettanto fu mal compreso. Benedetto vi affermava che le religioni possono anche generare violenza. Le religioni, allora, di fronte alla violenza come reagiscono, che fanno?

E si scatenò un putiferio…
Sì, ma la miccia fu innescata dall’Occidente. Fu dal “nostro” mondo che si levarono voci contro Papa Benedetto, accusato di volere la guerra con l’Islam. Tesi superficiali, reazioni patetiche, ma indice che, ancora una volta, Papa Benedetto aveva colto alla radice il problema. Il problema rimane tale e quale: le religioni non possono strappare da sé la razionalità. Non possono andare avanti basandosi esclusivamente sul misticismo…

Fede e ragione sono due lemmi di un ragionamento chiave per capire l’opera e il pensiero e il pontificato di Ratzinger…
Per capire la questione, partiamo da un fenomeno: c’è nelle religioni un elemento mistico, che se non è bilanciato dalla ragione può portare alla violenza. Pensiamo alle Baccanti, tanto per fare un esempio. Allora, la questione di Ratisbona diventa: vogliamo lavorare, sottoporci a critica per espungere da noi l’elemento della violenza oppure facciamo finta che non ci sia rapporto tra religione e violenza?

È sorprendente questa difesa della ragione da parte di un teologo e di un uomo di Chiesa.
La fede privata della ragione diventa un elemento di consumo, tutt’ al più utile per l’ ambito privato, ma incapace di agire sulla scena del mondo. Questo è accaduto dopo il 1989 quando, scomparso il materialismo marxista, a vincere è stato l’altro grande nemico dell’uomo: il consumismo, ovvero il materialismo occidentale. Però, ci si è dimenticati che la fede è all’ origine della razionalità, della grandezza dell’ uomo, della sua vocazione soprannaturale. Ratzinger ha studiato a fondo i filosofi della religione e la questione della ragionevolezza. È la ragione che spinge verso la trascendenza.

Il fondamento della dignità

Per questo in Ratzinger la razionalità della fede viene prima della mistica?
E conduce oltre il materialismo. Il materialismo si accontenta di stare dentro i limiti del visibile e del tangibile, ma non dà una spiegazione dell’ origine del mondo e dell’ aspirazione al soprannaturale. Questo è l’impoverimento dell’uomo contemporaneo, mercificato, rilevante solo in quanto ha potere di acquisto. Senza potere di acquisto l’uomo non conta, non ha valore. Ma il fondamento della dignità dell’uomo non è nel denaro, nella merce o nelle cellule di cui è materialmente composto. Il fondamento della dignità, ci ha insegnato Papa Benedetto XVI, è la ragione dell’ uomo e la sua vocazione alla trascendenza, all’ eternità. La sfida radicale di Ratzinger è proprio questo mettere l’accento sulla ragione come fondamento della dignità e della fede dell’uomo.

Al Vaticano II Ratzinger fu un sostenitore convinto della definizione dell’Episcopato come sacramento. Questo gli ha permesso di poter distinguere tra sacramento – volendo usare una terminologia scolastica – legato all’essere, mentre il servizio è legato alla capacità di svolgere l’ incarico ricevuto…

Elio Guerriero

A Yaounde, Camerun
18 marzo 2009
(fotografia di: Christophe Simon/Afp/Getty Images)

Benedetto XVI ha anche cercato di lanciare un monito sul nichilismo giuridico: diritti senza fondamento e un’Europa costruita su fondamenta fragili…
Anche di recente ha ricordato che molti dei diritti umani di recente proclamati tali, sono in contrasto persino con i diritti fondamentali dell’uomo sanciti nel 1948. Quanto all’Europa, pensiamo al suo nome, Benedetto.

Perché Benedetto?
Perché san Benedetto ha contribuito a mettere insieme i popoli dell’Occidente, con la sua Regola molto concisa e molto elastica. Ci è voluta una lunga semina e grande pazienza. La Regola di San Benedetto è del VI secolo, la fioritura comincia a vedersi verso il 1100-1200. E Papa Benedetto quando parla di dialogo e di nuovo umanesimo, quando parla di radici dell’Europa intende questo: metterci assieme, laici e religiosi, e dire: io non debbo interferire con il tuo campo, ma tu non puoi relegarmi a questione priva di rilevanza pubblica. E’ un discorso di largo respiro che può aver bisogno di secoli per giungere a maturazione, ma può essere all’ origine di una nuova epoca di pace e di fioritura culturale.

Perché dovrebbe esserci una rilevanza pubblica della fede?
Perché i fedeli, con la loro visione del mondo, fanno parte del mondo. Dialogo significa assumere il dubbio di non avere necessariamente ragione. Il dubbio è il sale del dialogo, il laicismo, invece, sembra conoscere solo muri e certezze. La Francia è il Paese che più ha fatto muro su questo, trasformando la fede in un fatto privato e la laicità in laicismo.

Con conseguenze evidenti…
Il cardinale Newman, che fu uno dei pilastri su cui si è fondato il lavoro teologico di Joseph Ratzinger, diceva: «vedo con orrore avanzare il tempo in cui non vi è più grammatica comune», quando non c’è più grammatica del pensiero. Noi abbiamo l’intelligenza e abbiamo l’onere del pensiero, credente o non credente. Il rapporto fede e ragione come indicatoci da Ratzinger è esattamente questo onere del pensiero. La ragionevolezza ci chiama a questo compito: costruire insieme un mondo dove l’uomo sia davvero a casa.

La ragionevolezza interroga fede e ragione al contempo…
Senza questo dialogo che è dialogo sui valori, c’è solo il valore della forza. Poi c’è la tecnica che Ratzinger ha preso ugualmente di petto. La tecnica è esattamente simulacro di una ragione che non vuol ragionare, funzionale alla “ragione” del più forte. Quando Joseph Ratzinger divenne accademico di Francia prese il posto del grande fisico sovietico Andrej Dimitrievic Sacharov. Nel suo discorso, Ratzinger citò un episodio, relativo a quanto Sacharov ancora non era dissidente: il grande fisico cominciò a entrare in crisi dopo un esperimento atomico che causò la morte di alcune persone. Il giorno seguente, vi fu un grande pranzo perché l’esperimento, nonostante l’incidente, era comunque andato a buon fine. Sacharov, che parlava ancora come fisico del regime, disse: «spero che le nostre armi non faranno più vittime sovietiche». Intervenne un generale a correggerlo: «no, noi dobbiamo fare le armi e le armi migliori senza interrogarci su quello che succede». Qui iniziò il dubbio fecondo di Sacharov. Ma il commento di Ratzinger va oltre, ricordando che la posizione di quel generale non era poi così isolata, tutt’altro. È l’orientamento culturale del nostro tempo che tende a ridurre le questioni di coscienza, quelle etiche e di fede, ma pure la questione di quali fini dobbiamo assumere per orientare la nostra vita a mera faccenda privata. Il punto delicato su cui Ratzinger ci chiama a riflettere è invece come una riflessione filosofica-teologica possa trovare spazio nell’agone pubblico.

Il Discorso a Ratisbona
12 settembre 2016
(fotografia di Osservatore Romano Arturo Mari/Afp/Getty Images)

Sacramento e servizio

Con la globalizzazione diviene difficile star dietro a tutti gli orientamenti culturali e a tutte le “nuove” religioni o alle confessioni variamente riformate. In questo contesto anche il cristianesimo, incluso il cattolicesimo, rischia di diventare unicamente un fenomeno culturale.
C’è chi vede nella Bibbia un enorme coacervo di risposte, di soluzione di problemi. La Bibbia, però, non dispensa dal pensare. La forza di Ratzinger, come teologo e come Papa, è stata sempre quella di guardare all’oggi partendo da una lunga tradizione, interrogando e facendosi interrogare dal pensiero contemporaneo. Papa Benedetto XVI è stato un grande innovatore. Ha innovato l’ oggi senza rinunciare alla tradizione.

La cosa, però, non è stata sempre compresa…
Soprattutto dai media, che si chiedevano ogni volta «ma dov’è la novità?», come se si trattasse di presentare una nuova linea di abbigliamento per la stagione in corso e non pensiero. Pensiero che non ha dietro di sé il vuoto proprio perché si radica in una tradizione.

Quale è il fondamento dell’azione di Benedetto XVI?
Direi che alla base c’è la sua idea del servizio. Al Vaticano II egli fu un sostenitore convinto della definizione dell’Episcopato come sacramento. Questo gli ha permesso di poter distinguere tra sacramento – volendo usare una terminologia scolastica – legato all’essere, mentre il servizio è legato alla capacità di svolgere l’ incarico ricevuto..

Questa distinzione ci porta direttamente alla rinuncia di Ratzinger…
Infatti, avendo lui ben chiara questa distinzione tra sacramento e servizio, nel momento in cui si rese conto che la sua salute fisica non gli permetteva più di svolgere questo servizio, vi ha rinunciato. Ha continuato, invece, a vestire di bianco perché il vescovo di Roma, secondo tradizione, veste di bianco. Quindi anche da emerito può continuare a vestire di bianco.

Papa Benedetto aveva, come lei dice, le idee chiare. Lo sbandamento causato dal suo gesto fu comunque molto forte…
Anche più grande, ricorda Benedetto, di quanto si immaginava. Quesro, però, non l’ ha portato a dubitare della bontà della sua scelta. Ripete nelle Ultime Conversazioni: Se i vescovi sono chiamati a dare le dimissioni a 75 anni, perché il Papa non può rinunciare al suo servizio a 86 anni?

L’Africa è stata un altro scoglio. Nella sua biografia il capitolo XVII è dedicato alla “Chiesa nella tempesta”. Limitandoci all’Africa, ricordo che un discorso di Benedetto XVI durante il suo viaggio in Camerun e Angola, nel marzo 2009, venne immediatamente frainteso…
Pensi che il Belgio, un paese che una volta si professava cattolico incaricò il suo ambasciatore presso la Santa Sede di fare rimostranze per una frase di papa Benedetto che, conversando con i giornalisti, aveva affermato che il preservativo da solo non è in grado di risolvere i problemi legati all’ Aids. Imputavano a Benedetto XVI di essere contro la scienza, contro l’ umanità.

Qui torniamo alla questione-Europa, così importante per Ratzinger…
Papa Benedetto ha constatato con tristezza che ci avviamo verso un mondo dove l’Europa, che è un po’ la patria di tutti noi, si appresta a diventare irrilevante sia da un punto di vista politica-economico che culturale. Soprattutto quest’ ultimo punto ha preoccupato papa Benedetto. L’Europa non si deve vergognare di se stessa e della sua ragione. Per questo, Papa Benedetto XVI ha chiesto a tutti, ma ai credenti in primo luogo, di essere testimoni della forza della ragione. Testimoni che interpellino il mondo, che diventino tedofori della ragione el mondo. E se domani l’Europa non sarà più “faro del mondo”, ma gli equilibri si sposteranno in Africa o in Asia, allora la fiaccola della ragionevolezza sarà comunque salva. In una sua splendida sintesi Ratzinger ricorda che l’incontro tra l’ eredità classica e l’ eredità ebraico cristiana che diede origine all’ ellenismo, una prima di forma umanesimo, ebbe luogo ad Alessandria d’ Egitto. Chissà dove avverrà l’incontro del domani…

Fede e ragione, ma c’è un altro motivo, quello della gioia, è importante nel pensiero di Ratzinger…
Il motivo della gioia viene più dalla fede. Anche se la ragionevolezza stesse induce a pensare a un’Alterità e dunque a un’idea in qualche modo connessa a quelle realtà che una volta venivano chiamate paradiso e sopravvivenza. Ma la fede è una visione fondamentalmente ottimista e il passaggio stesso lo è. Quando Ratzinger dice «mi preparo alla morte» lo dice con gioia. Chiaramente bisogna distinguere tra due momenti interconnessi: da un lato, la paura del corpo; dall’altra la certezza di un un incontro, anzi dell’ incontro. Di qui il motivo della gioia. Sapere questo dà anche grande forza.

Consigli di lettura

Abbiamo infine chiesto al professor Guerriero di indicarci alcune Opere per meglio comprendere il percorso e il discorso di Benedetto XVI. Eccole:

La fraternità cristiana (Queriniana, Brescia 2005). «Bellissima riflessione scritta nel 1960, che parte dal mondo greco cristiano per giungere fino a noi e definire che cos’è “fratello”».


San Bonaventura. La teologia della storia (edizioneitaliana a cura di Mauro Lettieri, traduzione di Marcella MontelatriciEdizioniPorziuncola, Assisi, 2008). «San Bonaventura. La teologia della storia. «Per chi ha pazienza, questo è un lavoro molto importante all’ origine del contributo più significativo di Ratzinger al Concilio Vaticano II. Per superare il gravissimo problema che stava mettendo a rischio l’esito stesso del Concilio – che cosa viene prima, la tradizione o la scrittura? – il giovane Ratzinger scoprì una cosa molto semplice: all’inizio non c’è la scrittura ma c’è un Dio che si rivela e, quindi, il gesto primo è Dio che si rivela. Questo gesto del Dio che si rivela viene poi messo per iscritto, che è già una forma di tradizione. Non c’è, allora, un’antitesi fra scrittura e tradizione. Scrittura e tradizione sono le due forme attraverso le quali ci giunge la parola del Dio che si rivela e che si vuol far conoscere».

Gesù di Nazaret
Tre volumi nell’ edizione Lev- Rizzoli, Roma-Milano 2007-2012; volume unico, 6/1, nell’ edizione dell’ Opera Omnia, Lev 2013. Per papa Benedetto è la “grazia del pontificato”, il suo contributo per restituire ai fedeli un’ immagine convincente e attraente di Gesù di Nazaret, il Figlio di dio fattosi uomo, proprio per venire incontro ai bisogni degli uomini, per consegnare loro il Padre Nostro e il discorso della montagna. Egli è la rivelazione della misericordia del Padre, il Figlio che si allontana dalla casa del Padre suo, il buon Samaritano che soccorre l’ uomo ferito e abbandonato sulla strada del mondo e gli dona la grazia e i sacramenti per consentire anche agli uomini suoi fratelli di tornare a casa e di essere accolti nell’ abbraccio d’ amore del Dio vivente.

L'ospite

Elio Guerriero, teologo e storico, è stato a lungo responsabile editoriale presso Jaca Book ed edizioni San Paolo. Tra le sue pubblicazioni Hans Urs von Balthasar (1991), tradotto in 6 lingue; Il sigillo di Pietro (1996); Il dramma di Dio (1999); Il libro dei santi (2012). Direttore dell’edizione italiana della rivista “Communio” per più di 20 anni, ha conosciuto e frequentato Benedetto XVI fin dagli anni Ottanta. Ha seguito la traduzione in italiano di molte sue opere, ha curato numerose antologie dei suoi scritti e discorsi, ha rivisto la traduzione italiana di Gesù di Nazaret e di Annunciatori della parola per l’Opera Omnia, in corso di pubblicazione presso la Libreria Editrice Vaticana.

In copertina: Città del Vaticano, 7 gennaio 2013, Papa Benedetto XVI chiede la fine del conflitto in Siria (fotografia di Stefano Carofei – Vatican Pool via Getty Images)


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