Cooperazione internazionale

Pietro Sebastiani: “La cooperazione italiana è sulla strada giusta”

di Joshua Massarenti

Dall’implementazione della Legge 125 alle migrazioni, dal G7 di Taormina al ruolo dell’Italia nel Consiglio di sicurezza, il Direttore della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) passa in rassegna tutte le sfide che attendono la cooperazione italiana. Un’intervista a viso aperto con Vita.it

Direttore Generale, che bilancio fa dell’implementazione della Legge 125? Quali gli scogli superati, quali invece quelli da superare?

Il bilancio è complessivamente positivo. Le ampie potenzialità offerte dalla riforma e gli obiettivi ambiziosi che ci siamo posti non sono rimasti lettera morta. Un esempio su tutti: di recente abbiamo portato a termine la ristrutturazione interna della Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo, che mantiene i suoi compiti fondamentali come li recita la legge, ovvero di elaborazione degli indirizzi di programmazione, di rappresentanza politica, di coerenza dell’azione italiana rispetto alle organizzazioni internazionali, delle relazioni bilaterali, di proposta sui contributi finanziari riguardo gli interventi umanitari, nonché di valutazione degli interventi e di verifica della loro efficacia.

Come sa, la nuova Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), nata nel gennaio 2016, ha anche allargato la sua rete sul terreno, aprendo nuovi uffici in Somalia, Cuba, Niger, con l’obiettivo di rafforzare la presenza della cooperazione italiana in paesi dove investiamo già risorse significative.

Le ampie potenzialità offerte dalla riforma e gli obiettivi ambiziosi che ci siamo posti non sono rimasti lettera morta.

Un altro degli aspetti cardini della riforma è il coinvolgimento del settore privato e la piena operatività che la Legge 125 attribuisce a Cassa Depositi e Prestiti. Oggi Cdp può agire come Banca di sviluppo. Del resto, tutti gli attori istituzionali e della società civile dispongono di un luogo di rappresentanza – mi riferisco al Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, che potremmo definire un Parlamento della cooperazione -, e grazie all’opera dei quattro gruppi di lavoro istituiti presso il Cncs sono state intraprese azioni importanti sull’Agenda 2030, sulla definizione delle strategie della cooperazione italiana, sulle migrazioni, sulle diaspora e sul ruolo del settore privato nella cooperazione allo sviluppo.

Abbiamo poi adottato una Convenzione che regola i rapporti tra l’AICS e il MAECI, così come una Convenzione tripartita tra CdP, AICS e MAECI. Ricordo inoltre che sono stati fatti concorsi per il co-finanziamento dei progetti della società civile, riunioni del Comitato congiunto.

Devo dire che in questo scenario di grande innovazione, il governo attuale e quello precedente hanno significativemente incrementato le risorse destinate alla cooperazione. Complessivamente, il nostro aiuto pubblico allo sviluppo sancito dall’OCSE/DAC ammonta a quasi 3,6 miliardi di euro nel 2015. In linea con la nuova legge, che contempla il graduale adeguamento degli stanziamenti annuali per la cooperazione allo sviluppo e agli obiettivi assunti dall’Italia a livelle europeo e internazionale, abbiamo conseguito un altro importante risultato con un forte incremento del rapporto tra l’Aps e il reddito nazionale lordo. L’obiettivo rimane quello di arrivare allo 0,30% entro il 2020.

Il 2016 è stato un anno molto pieno, durante il quale abbiamo fatto in modo che il processo di ristrutturazione interna non ostacolasse i nostri impegni a favore di chi ha più bisogno.

Il 2016 è stato un anno molto pieno, durante il quale abbiamo fatto in modo che il processo di ristrutturazione interna non ostacolasse i nostri impegni a favore di chi ha più bisogno.

In che modo i ruoli tra l’Aics e la Dgcs sono suddivisi sul piano operativo ed in che modo avete collaborato?

La sinergia tra Dgcs e Aics riposa sulla definizione annuale dell’azione di cooperazione allo sviluppo che è volta all’elaborazione di un documento programmatico degli interventi di cooperazione nel breve periodo, che noi chiamiamo Programmazione Paese. E’ un documento molto importante in quanto consente di pianificare per tempo tutte le risorse disponibili, la loro distribuzione geografica e settoriale, sia sul piano bilaterale che su quello multilaterale.

Tutto questo in funzione degli indirizzi di medio periodo indicati nel Documento Triennale di programmazione adottato dal Comitato congiunto. All’interno di questi indirizzi del MAECI, l’Agenzia contribuisce secondo la legge al Programma Paese annuale svolgendo un’attività tecnico-operativa nella fase di identificazione, d’istruttoria, di formulazione delle iniziative di cooperazione. La collaborazione molto stretta tra Dgcs e Aics si sviluppa durante tutto il percorso dell’elaborazione della programmazione annuale attraverso contatti continui e riunioni congiunte tra i nostri rispettivi uffici. E’ altresì fondamentale la concertazione con l’Agenzia quando si prevede di operare con interventi misti in cui accanto agli strumenti a credito si prevedono interventi a dono.

A due anni e mezzo dall’adozione della Legge, quali sono le iniziative portate avanti dalla Dgcs? Quali i fronti più importanti sui quali siete impegnati in questo 2017 anche con riferimento al G7, alla presenza dell’Italia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al Consensus europeo ed al fenomeno migratorio?

Nell’elenco delle sfide e opportunità che cita, ha giocato a nostro favore l’Agenda 2030, che ci ha spinto sia a riorganizzare le nostre tradizionali aree di intervento che a potenziare certi settori, tra cui l’ambiente e il rafforzamento delle capacità statistiche dei paesi partner, fondamentali per consentire ai governi di analizzare i propri bisogni e quindi di sottoporre richieste coerenti per ottenere risorse finanziarie a favore dello sviluppo sostenibile dei loro paesi.

Per quanto riguarda il Vertice del G7 di Taormina, l’Italia punta soprattutto ad alcuni settori prioritari, tra cui la sicurezza alimentare e la nutrizione, con un focus sull’Africa, e l’istruzione, su cui vorremmo creare un collegamento ancora più robusto tra gli interventi di emergenza e le politiche di sviluppo. E’ particolarmente vero per le crisi protratte come quella siriana, dove i periodi di permanenza dei rifugiati nei paesi di transito come il Libano e la Giordania comportano l’esigenza di fornire un’assistenza che va ben oltre quella emergenziale. L’obiettivo è di non perdere intere generazioni di bambini e adolescenti.

Sul Consiglio di sicurezza, siamo promotori di un grande raccordo tra pace e sicurezza da un lato, e sviluppo. Il nuovo Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha sull’argomento idee molto innovative che tendono a voler rafforzare i legame tra i due settori. L

L'Agenda 2030 ci ha spinto sia a riorganizzare le nostre tradizionali aree di intervento che a potenziare certi settori, tra cui l’ambiente e il rafforzamento delle capacità statistiche dei paesi partner.

Le migrazioni pongono serie sfide alle relazioni tra l’Italia, l’UE e l’Africa, mentre le diaspore sono chiamate ad essere un attore chiave della cooperazione italiana. Come conciliare la lotta al traffico dei migranti, le esigenze di creare dei percorsi legali di immigrazione, la lotta alle cause profonde dei flussi migratori ed il ruolo delle diaspore?

E’ chiaro che le migrazioni non sono un’emergenza, ma un fenomeno epocale che necessita una risposta globale, e non solo nazionale. Oggi appare più che mai necessario affrontare nel contempo sia l’assistenza ai migranti che le cause profonde delle migrazioni attraverso politiche di integrazione, la tutela dei diritti dei rifugiati, la creazione di corridoi legali di emigrazione per eliminare l’odioso crimine della tratta e del traffico di esseri umani, nonché l’estrema povertà, in special modo sul continente africano. La cooperazione italiana interviene direttamente nei paesi di origine e di transito dei migranti con strumenti e progetti specifici per agire sulle molteplice cause dei fenomeni migratori. Penso ad esempio al Fondo fiduciario per l’Africa che finanziamo.

In questo quadro, le diaspore hanno un ruolo cruciale da giocare, sia come giacimento di culture che arrischino i nostri paesi, sia come attori di opportunità di sviluppo per le loro comunità d’origine. A mio avviso, occore innescare sempre più sinergie tra le comunità ospitanti che sono peraltro molto attive nelle varie forme di cooperazione decentrata, le diaspore e le comunità di origine. Non c’è alternativa possibile se si vuole mettere in moto dei meccanismi virtuosi di integrazione e di cooperazione socio-economica e culturale.

Oggi appare più che mai necessario affrontare nel contempo sia l’assistenza ai migranti che le cause profonde delle migrazioni. Assieme alla società civile e alle autorità locali, le diaspore hanno un ruolo cruciale da giocare.

Che ruolo spetta alla società civile nel nuovo modello di cooperazione italiana rispetto alle sfide che l’attendono?

Vorrei innazitutto rendere omaggio al lavoro straordinario svolto dalle ong e da tutta la società civile in questi ultimi 50 anni. Non possiamo dimenticare che nei momenti più difficile della cooperazione italiana, questi attori hanno supplito alle debolezze del nostro sistema. La società civile continua a ricoprire un ruolo da protagonista. Non soltanto la Legge 125 conferma questo suo ruolo, ma lo amplia in qualità di attore fondamentale del nuovo sistema di cooperazione italiana. Dalle ong alle autorità locali, passando per le fondazioni, le cooperative, le diaspore, la società civile offre risorse e competenze estremamente preziose, sia in ambito di sviluppo sostenibile che di emergenza umanitaria.

La società civile continua a ricoprire un ruolo da protagonista. Non soltanto la Legge 125 conferma questo suo ruolo, ma lo amplia in qualità di attore fondamentale del nuovo sistema di cooperazione italiana.

Proprio per favorire la partecipazione di questi attori nell’elaborazione delle politiche di cooperazione dell’Italia, è stato creato il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo che riunisce soggetti pubblici e privati, profit e non profit. Le indicazioni di questo “Parlamento per lo sviluppo” oltre ad essere obbligatorie per legge, sono utilissime per le strategie della cooperazione italiana. La 125 prevede inoltre la convocazione di una conferenza pubblica nazionale ogni tre anni per favorire ulteriormente la partecipazione di tutti i cittadini alla definizione delle nostre politiche di sviluppo.

Il coinvolgimento del settore privato, e in particolar modo delle piccole e medie imprese, nella cooperazione è una delle grandi novità della riforma. In che modo le Pmi andrebbero accompagnate in questo processo inclusivo? Come conciliare la loro vocazione a fare profitti con le esigenze della cooperazione italiana a lottare contro la povertà? In quali paesi secondo lei bisognerebbe coinvolgerle: paesi a reddito intermedio o quelli fragili che hanno bisogno di investimenti responsabili sul piano sociale e ambientale?

Una delle grandi novità della riforma, e direi del mondo della cooperazione internazionale a livello globale, è la riflessione e le iniziative che vengono portate avanti per coinvolgere in modo coerente e strutturato il settore privato a favore dello sviluppo sostenibile e inclusivo dei paesi partner, in linea con l’Agenda 2030. E’ opportuno promuovere un business che sappia coniugare maggiormente il raggiungimento del profitto con uno sviluppo sostenibile delle comunità in cui le imprese operano e che sia rispettoso dell’ambiente e dei diritti umani. Sono convinto che il nostro sistema imprenditoriale nutre una forte sensibilità su questi temi.

Ce lo dimostrano la storia di tanti nostri grandi imprenditori come Adriano Olivetti, e purtroppo, in un passato più recente, i sacrifici, che in qualche caso hanno condotto anche al suicidio, di tanti piccoli imprenditori restii a licenziare il loro personale. Tornando alla cooperazione, sono altrettanto convinto che le nostre imprese hanno dimostrato una fortissima capacità di leadership in tanti settori, dal tessile all’agroalimentare, passando per le energie rinnovabili. Se prendiamo l’agroalimentare, l’imprenditoria italiana si rivela estremamente competitiva nella trasformazione del cibo, la catena del freddo, il trasporto, la conservazione, l’impacchettamento, ecc. A questi attori bisogna aggiungere le cooperative e il microcredito, che hanno dato un contributo molto prezioso nella lotta contro la povertà e la creazione di posti di lavoro.

Foto di copertina: Pietro Sebastiani. Credito: Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI).


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