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Brave con la lingua, ma fuori dai luoghi comuni

di Anna Spena

Il prossimo 26 aprile arriva in libreria un testo curato da Giulia Muscatelli che ha chiesto a 14 scrittrici qual è stata l’espressione che le ha definite nel corso della loro vita. Ne è nata una raccolta di racconti che usano la narrazione come strumento per liberarsi dalle parole che per anni le hanno incastrate all’interno di definizioni errate

«Questa non è una raccolta di scritti femminili. Questo è un libro. Quelli che leggerete non sono racconti di donne, sono storie di essere umani», è chiara Giulia Muscatelli. Lo esplicita senza mezzi termini nella prefazione del libro che ha curato “Brave con la lingua. Come il linguaggio determina la vita delle donne” edito da Autori Riuniti e nelle librerie dal 26 prossimo aprile.

Giulia ha chiesto a quattordici autrici qual è stata l’espressione che le ha definite nel corso della loro vita. Ha creato una raccolta di racconti che usano la narrazione come strumento per liberarsi dalle parole che per anni le hanno incastrate all’interno di definizioni errate.

È così che sono nate le storie Rane di Elena Varvello; Impropria di Domitilla Pirro; Santa Cristina vergine e martire di Francesca Manfredi;Chiare di Noemi Cuffia; Signor Sì, Sissignora! di Flavia Fratello; Arrabbiatissima di Simonetta Sciandivasci; La piantina di Chiara Pietta; Lotta alla cellulite di Vittoria Baruffaldi; La ragazza finestra di Romina Falconi; La casa di Irene Roncoroni; Tutto quello che vuoi di Silvia Pelizzari; Maneggiare con cura di Silvia Greco; E l’amore? di Giulia Perona; Non mi chiamo Johnny, dice Johnny di Simonetta Spissu. «Le donne», dice Giulia Muscatelli, «devono riappropriarsi della loro narrazione, devo parlare prima che siano gli altri a farlo per loro (uomini o donne con più voce) e non serve gridare, a volte basta far sorridere in superficie per condurre poi a una riflessione più profonda». A lei hanno detto “Non hai senso pratico” a “Tu vivi nel tuo mondo”, ma anche “Esagerata”, “Paranoica”, e infine la prima, quella da cui tutto è iniziato: “Balena”. «A “Balena”», sottolinea «sono molto affezionata».

Raccontaci un po' di te, perché un libro assomigli sempre a chi lo pensa
Lo penso anche io, in forme diverse e sempre nuove. In questo caso, Brave con la lingua è intriso di ogni singola parte che mi compone: ci sono la lotta, la tenerezza, la famiglia, le madri, la femminilità, il sesso, gli uomini, l’infanzia. Poi c’è la scrittura, che di me dice tutto, soprattutto quando non scrivo. E infine c’è mio padre, al quale mi sono permessa di dedicare il libro (dico “mi sono permessa” perché questo libro non è solo mio ndr) che per primo, anche se per pochi anni passati insieme, mi ha insegnato quanto essere donna sia meraviglioso e difficile: una responsabilità sociale da portarsi dietro a testa alta ogni giorno.

Come hai intercettato le 14 donne che hanno scritto i racconti? Come vi siete incontrate? Quanto tempo è servito per scrivere il libro e come hanno accolto la tua idea
La realizzazione di Brave con la lingua ha richiesto un anno di lavoro. Quando ho deciso di affrontare il tema del linguaggio, mi sono seduta e ho pensato a tutte le conversazioni avute in questi anni con le donne che mi circondano. Ho pensato alle loro confessioni, ai messaggi ricevuti a tarda notte, alle richieste d’aiuto. Fra queste donne ho scelto alcune delle autrici, altre le ho scelte in libreria, leggendo i loro libri, ma anche su Facebook, interessandomi agli articoli che condividevano, ai loro pensieri. Le Brave con la lingua sono tutte diverse, e io per questo le adoro. C’è però una cosa che le accomuna tutte: nessuna di loro ha una visione polarizzata del femminile, tutte valutano le situazioni in quanto esseri umani e non in quanto donne. Queste per me era importantissimo. Ho scelto quattordici donne che fanno la rivoluzione ogni giorno, nelle piccole cose del quotidiano.

Come hai proposto l'idea all'editore?
Esattamente un anno fa, durante il Salone del Libro 2017, gli Autori Riuniti sono venuti da me e mi hanno chiesto di prendermi cura di un’antologia al femminile. Sono tre uomini coraggiosi e curiosi, che hanno voglia di raccontare, attraverso i loro libri, l’attualità. Quando me l’hanno proposto, la prima cosa che ho pensato è stata che non volevo che delle donne stessero nello stesso libro con l’unica caratteristica in comune di essere persone appartenenti allo stesso sesso, così ho subito pensato al linguaggio: un grande cappello che racchiudesse le loro storie.

Qual è l'espressione che ha definito te?
Sono così tante che mi verrebbe da chiederti: quanto spazio avete (sorride ndr). Da “Non hai senso pratico” a “Tu vivi nel tuo mondo”, ma anche “Esagerata”, “Paranoica”, e infine la prima, quella da cui tutto è iniziato: “Balena”. A “Balena” sono molto affezionata, “Balena” mi ha reso la dona che sono, mi ha insegnato a combattere, mi ha condotto alla scrittura, mi ha regalato, dopo essermene liberata, meravigliosi momenti con gli uomini, e divertentissime follie con le ragazze. Quando nessuno ha più potuto chiamarmi “Balena” e anzi, al suo posto sono arrivati gli apprezzamenti, ho iniziato a interessarmi alle parole e riflettere sull’effetto che queste possono avere sugli altri. In generale, “Balena” ha costruito – insieme a Simone De Beauvoir, Philip Roth, Oriana Fallaci ma anche Lena Duhman e Miranda July – la mia sessualità e la mia continua ricerca su questo tema. Le compagne di scuola che mi chiamavano “Balena” con disprezzo, hanno contribuito a farmi essere qui, oggi, con questo libro.

Brave con la lingua è un titolo bellissimo. Ma è stata anche una scelta un po' provocatoria?
La questione femminile è ormai diventato l’argomento del giorno. Tutti ne parlano, tutti hanno un’opinione, tutti credono di doverti insegnare come essere donna. Io credo che in un quadro del genere, provocare con ironia sia l’unica cosa da fare o almeno la più efficace. O meglio, con autoironia: le donne devo riappropriarsi della loro narrazione, devo parlare prima che siano gli altri a farlo per loro (uomini o donne con più voce) e non serve gridare, a volte basta far sorridere in superficie per condurre poi a una riflessione più profonda. Non vedo l’ora che qualcuno arrivi e mi dica che “Brave con la lingua” è un brutto titolo; credo nel confronto e nel dialogo, anche quando si hanno punti di vista opposti.

Forse le parole sono il mezzo attraverso il quale provano a tenerci immobili. Ma non sono sempre le parole che poi ci liberano?
Ci liberano tutte quelle parole che diciamo su noi stessi, quelle che utilizziamo per affermarci, quelle che arrivano dalla nostra bocca e che non ci appiccicano addosso. Ci liberano dalla narrazione che gli altri fanno di noi. E poi ci liberano le parole che leggiamo nei libri, quelle che non conoscevamo e che ad un certo punto diventano le nostre.


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