Annalisa Camilli

«Migranti, negare i loro diritti significa negare i nostri»

di Anna Spena

Dalle accuse alle Ong ai porti chiusi. “La legge del mare – Cronache dei soccorsi nel Mediterraneo”, edito da Rizzoli, è un viaggio per capire dove nasce e come si alimenta la propaganda contro i migranti

Quando i migranti hanno smesso di essere considerati persone e sono diventanti il “più grande problema del nostro Paese?”. Origini di tutti i mali degli italiani? Quando i soccorritori, per lungo tempo chiamati “angeli del mare”, sono diventati agli occhi dell’opinione pubblica “taxi del mare”? Collusi in accordo con gli scafisti?

La legge del mare ripercorre da vicino le fasi di questa evoluzione, partendo da Josefa, la donna camerunense salvata dalla nave Open Arms nel luglio 2018, e dalla strumentalizzazione della foto delle sue unghie smaltate di rosso. Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale da oltre dieci anni impegnata a seguire le rotte delle migrazioni verso l’Europa, racconta l’origine della propaganda contro le Ong che contamina l’informazione in Rete e il dibattito pubblico. Un viaggio necessario per capire che la legge del mare ha un unico obiettivo: salvare la vita di chi rischia di sparire tra le onde.

Quando hai deciso di trasformare il lavoro degli ultimi anni in un libro?
La distorsione che spesso viviamo è quella di raccontare tutto come se fossimo in un eterno presente. Con questo libro, invece, ho tentato di dare profondità e prospettiva storica raccontando la storia dall’inizio. Ho visto con i miei occhi cosa significa la violenza dell’abbandono, ed è da lì che ho deciso di partire in questo libro. Ho assistito al ritrovamento di un gommone sgonfio a 80 miglia dalle coste libiche. Una sola superstite e due cadaveri, tra cui quello di un bambino. Ho raccontato la commozione dei volontari, le loro storie, i loro dubbi, la sofferenza e l’incredulità di Josefa, la sopravvissuta, dopo essere stata salvata, ma anche la montagna di menzogne

che alcuni gruppi di militanti di estrema destra molto attivi sui social network hanno diffuso per attaccare il lavoro dei soccorritori. Una donna ancora viva e due cadaveri abbandonati in mare dalla guardia costiera libica, un corpo militare in larga parte finanziato dai governi europei.

Che cos’è la legge del mare?
Qualcosa a cui umanamente non possiamo sottrarci. E, questo è bene ricordarlo, un corpus articolato di leggi e accordi internazionali che a livello giuridico valgono molto di più delle singole legislature nazionali. La legge del mare sancisce la necessità e il dovere di salvare e soccorrere chiunque sia in pericolo in mare. “In mare”, scrivo nel mio libro, “non ci sono stranieri o cittadini, clandestini o rifugiati, ma solo naviganti e naufraghi. I primi sono costretti da una legge naturale a soccorrere i secondi. Perché, come nel riflesso di uno specchio, tutti i naufraghi sono stati naviganti, tutti i naviganti potrebbero diventare naufraghi. Questa logica binaria obbliga le imbarcazioni che vanno per mare a soccorrere chi è in difficoltà. Davanti a questo stato di necessità tutti gli altri interessi passano in secondo piano. Il mare non ha leggi, per questo c’è la legge del mare, estremo tentativo degli uomini di controllare le circostanze di pericolo in cui potrebbero trovarsi e, insieme, riconoscimento della propria inferiorità di fronte a un elemento naturale così potente. Il mare non ha leggi, per questo c’è la legge del mare, estremo tentativo degli uomini di controllare le circostanze di pericolo in cui potrebbero trovarsi e, insieme, riconoscimento della propria inferiorità di fronte a un elemento naturale così potente”.

Mi sono interrogata spesso in questi anni su come si sia di fatto consumato un processo di deumanizzazione delle persone migranti in un intervallo di tempo che, a guardarlo oggi, sembra incredibilmente ridotto. E la domanda centrale è se questo processo sia reversibile

Annalisa Camilli – La legge del Mare

Perché sta vincendo la narrazione xenofoba di alcuni soggetti politici, primi tra tutti quella del vicepremier Salvini?
Una parte della responsabilità credo sia dei mezzi di informazione. Per troppo tempo si è raccontato il fenomeno migratorio come una massa di persone e numeri che sbarcavano sulle coste italiane. Come una categoria a parte cariche solo della loro sofferenza. Li abbiamo raccontati come puri corpi che hanno bisogno di essere accuditi, soccorsi, salvati, vestiti. Ma non abbiamo mai spiegato delle contraddizioni di queste persone, la loro immensa forza, la scelta di lasciare la loro casa per cercare un futuro migliore. E sono determinati e credono, soprattutto credono, in questo progetto di Europa molto più di quanto ci crediamo noi. Io, come giornalista, cerco sempre di partire dalla storia dei singoli. Perché ogni storia personale riporta a quella dimensione di complessità nel racconto che smentisce la propaganda che una certa arte politica ha costruito sul fenomeno migratorio, una narrazione che oggi è diventata egemonica. Ma dall’altra parte abbiamo anche sottovalutato il peso della propaganda sui social network che sono stati usati con una strategia precisa da parte dei gruppi politici di estrema destra per diffondere notizie false.

Com’è avvenuta la trasformazione tra soccorritori di vite a taxi del mare?
Nel giro di pochi mesi tutto è cambiato. Tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 il discorso pubblico è stato deviato: gli angeli sono diventati vice-scafisti, le loro navi taxi del mare. Nel febbraio del 2017 firmiamo questo “trattato di amicizia con la Libia”. Le operazioni di soccorso passano in mano ai libici. Nell’estate dello stesso anno le Ong sono obbligate a sottoscrivere un codice di condotta e passa quasi automaticamente l’idea che ci sia qualcosa di sbagliato nel loro modo di operare. Un processo di criminalizzazione segnato da tappe precise: un dossier dell’agenzia europea Frontex, una campagna mediatica, poi
 le accuse di alcune procure siciliane, i sequestri
delle navi, infine le dichiarazioni dei politici di casa nostra e di esponenti della destra sovranista di tutta Europa. Fino allo stallo dei porti chiusi via Twitter, fatto che è rimasto solo un hashtag, ai casi della Aquarius e della Diciotti. Il caso della Diciotti, in modo particolare, raggiunge l’apice della criminalizzazione del lavoro delle Ong. Non permettere ad una nave con 177 persone a bordo di attraccare è stato un fatto che ha chiaramente violato una serie di norme. Un ministro, che non sta sopra la legge, viola la legge, tiene in ostaggio le persone, e l’opinione pubblica non si scandalizza. Il caso della Diciotti, ripeto, è emblematico perchè ci dice che quello che sta avvenendo sui cittadini di origini straniera ha un peso anche sulla cultura giuridica italiana ed europea. Queste violazioni ai diritti che siamo disposti ad accettare sui cittadini stranieri hanno ripercussioni sui diritti di tutti. Accettare che qualcuno venga privato dei diritti senza approvazione di un giudice significa banalizzare uno dei principi fondamentali del diritto, e di fatto lede e nega i diritti di tutti i cittadini.


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