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Mauro Magatti

Libertà è non aver paura di cadere

di Marco Dotti

Tra il 1989 e il 2008 è successo qualcosa: abbiamo creduto alla fine della storia, disintermediato la società, consegnato la decisione al paradigma tecno-economico. Il sociologo Mauro Magatti ci spiega perché è venuto il momento di uscire da questo schema

Il pericolo più grande, spiega Mauro Magatti, è «dare per scontato ciò che invece va ogni volta rigenerato e riconquistato». La libertà, che Magatti torna ad indagare nel suo Non aver paura di cadere. La libertà al tempo dell’insicurezza (Mondadori, pagine 144, euro 18) è una sfida sempre nuova. Nuova perché affidata alle differenze del noi, non alle indifferenza dell’ego. Per questo, la libertà, «è una sfida sempre nuova per ogni persona, per ogni generazione, per ogni società».

Ma che cosa resta, oggi, della libertà? Mutato lo scenario – dal sogno del 1989, all’incubo della crisi finanziaria del 2008, fino alla burrasca dei populismi – cambia anche il valore che affidiamo a questa parola e alle sue pratiche.

Il 9 novembre 1989 crolla il Muro di Berlino. Da allora, verrebbe da dire, non abbiamo smesso di cadere…
I vent'anni tra il 1989 e il 2008 sono stati prometeici. Ci siamo immersi nel pensiero di un'espansione illimitata, che arrivava a garantire – o così si pensava – le possibilità di vita sul piano individuale. È stato un grande sogno, un grande pensiero che si è scontrato col muro della storia. Il grande libro di Francis Fukuyama, sulla fine della storia, sintetizzava questo senso di essere entrati in un'epoca in cui non c'era più la storia e di conseguenza, secondo me, non c'era più la politica.

Senza politica che cosa rimaneva?
Rimaneva la possibilità tecno-economica di liberare il singolo individuo. Questo è stato un abbraccio che ha coinvolto l'intero pianeta.

Oggi ci siamo risvegliati e, forse, ci siamo risvegliati male: oltre alla politica, quindi una certa verticalità, è stata spazzata via anche la società intermedia…
Nel modello emerso nel ventennio 1989-2008, l'unica mediazione possibile in quanto l'unica tollerata era la mediazione tecno-economica. La mediazione del mercato e degli apparati tecnici. Proprio perché tutto si espandeva, si espandeva anche la desocializzazione e molti corpi intermedi sono stati travolti dalla nuova mediazione.

Quindi parlare di disintermediazione è sbagliato?
Io credo che non si possa parlare di disintermediazione, ma di un'intermediazione diversa da quella tradizionale. Un'intermediazione giocata sul piano tecno-economico. Dopo il 2008, quando abbiamo superato gli anni più drammatici, progressivamente l'uomo della strada….

L'uomo senza potere, di cui parlava Václav Havel, a lungo citato nel libro…
Prima delle élites è sempre l'uomo della strada a capire i cambiamenti, oltre che a viverli. Ebbene, l'uomo della strada ha capito che il tipo di narrazione che sorreggeva la dinamica tecno-economica non stava più in piedi….

E qui è successo qualcosa…
È successo che nel vuoto, si sono precipitati i più spregiudicati imprenditori politici che hanno capito che il modello precedente non reggeva più. La cosa forse più traumatica è che questo l'abbiano capito i sovranisti e i populisti e non la cosiddetta sinistra.

Che ancora tarda a capire…
Tutti gli altri – chiamiamoli così – soffrono ancora un ritardo nella comprensione di quanto è accaduto. Vivono nella nostalgia di un modello che non c'è più…

E in questo svelano quando il loro immaginario fosse compromesso con un modello che ha prodotto danni e ricadute pesanti sulla vita quotidiana di milioni di persone…
Nella società della performance che abbiamo ereditato viviamo ancora un panico della caduta. Vogliamo sempre e solo crescere, sempre e solo essere efficienti, sempre e solo avanzare. Ma questo è un immaginario delirante. Il problema è che dentro questa crisi c'è qualcosa che può spingerci in avanti, facendo un passo sensato…

Che cosa intende dire con “passo sensato”?
Intendo dire un passo che non ci faccia gettar via l'economia, il buono della tecnica, la crescita. Ma anche relativizzarla e riconoscere che economia, tecnica, crescita non possono assorbire l'intero spettro della vita umana, Questo è però il dramma della sinistra che al sovranismo contrappone un progressimo che coniuga radicalismo libertario individualistico con ideologia della crescita a tutti costi.

In questo momento la sinistra non ha nulla da dire…
Infatti parla a quel 20-30% di popolazione che sta bene, ha risorse materiali, culturali e relazionali e abbandona tutti gli altri al proprio destino. Peccato che la gran parte della società sia fuori da questo modello…

Progressismo vs. populismo sembra una storia già scritta…
Se lo schema rimane questo, il sovranismo vince senza problemi. Lo sforzo che dobbiamo fare è mettere in discussione il nostro immaginario della libertà. D'altra parte, per questo sia difficile da promuovere o da suscitare, è l'unica leva che noi occidentali possiamo avere per mettere in discussione il modello che abbiamo alimentato.


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