Fabiola Bertinotti

La mia battaglia da mamma segregata contro il coronavirus

di Antonietta Nembri

“Ciò che il male separa, il cuore unisce” è questa la citazione che l’autrice di “Segregata – Una madre contro il coronavirus” - ebook edito a scopo benefico – ha scelto per raccontare in una frase il suo percorso: 40 giorni di isolamento totale per evitare di infettare il figlio affetto da distrofia e gli anziani genitori, la febbre alta e una porta chiusa. Giorni di dolore, ma anche di riflessione e preghiera: «Ho vissuto tutto un ventaglio di sentimenti che mi ha portato a essere grata delle piccole cose»

Dopo una vita a scrivere per conto delle aziende, una carriera trentennale in Disney Italia di cui è stata capo della comunicazione e della responsabilità sociale e aver fondato un’agenzia di Consulenza Fab Communications, Fabiola Bertinotti ha deciso «di scrivere per me, non lo avevo mai fatto». E quello che pubblica è un racconto intimo, un diario dalla sua quarantena, ma non solo. «La necessità di scrivere il libro», confida all’inizio della nostra chiacchierata «mi è apparsa chiara quando stavo guarendo». Già perché Fabiola Bertinotti è una delle migliaia di italiani che si sono ammalati di Covid-19 e sono guariti. L’idea di affidare alla scrittura la sua esperienza nasce nella sua camera, dove si era isolata al primo sospetto per non contagiare il figlio Jaya affetto da distrofia Fshd, tra i soggetti a rischio con una malattia come il Coronavirus che colpisce l’apparato respiratorio, e gli anziani genitori. Con lei abbiamo ripercorso la genesi di “Segregata – Una madre contro il coronavirus”.
Il libro, al momento in formato ebook, è scaricabile dalla piattaforma di crowdfunding ForFunding a fronte di una libera donazione: il ricavato andrà interamente in beneficenza. L’obiettivo è quello di raggiungere i 100mila euro di donazioni entro il 30 ottobre 2020, che andranno al 100% a favore dell’Associazione Intensivamente Insieme e di Uildm (ne abbiamo parlato qui). Ci siamo sentite ai primi di maggio pochi giorni dopo la comunicazione del tampone negativo per tutta la famiglia.

Quale è stata la molla che l’ha spinta a scrivere?
Posso dire che il libro è nato come una restituzione. In tutto il mio percorso sono stata sorretta dalla fede cristiana. La foto in cui mi si vede a letto con il rosario sullo sfondo (a destra) non è una posa, lo recitavo tutte le sere con un gruppo di preghiera. E poi mi hanno aiutato nella scelta di come fare perché tutto andasse in beneficenza. E il mio grazie va a Fondazione Cariplo che ha creduto nel mio progetto e alla Fondazione della comunità di Monza e Brianza. Mi sono costituita come editore, perché il mio obiettivo è quello di donare il 100%. E sono convinta che questo libro potrà essere uno strumento duttile per aiutare, in Italia e in altri Paesi: è in fase di traduzione per la distribuzione negli Stati Uniti oltre che in Francia e in Gran Bretagna.

Il libro non è solo il racconto della malattia…
Avevo pensato di scrivere il diario di come il Covid agisse sul mio fisico, di quali prassi avessi seguito per evitare il contagio. Diciamo che in un primo momento avevo pensato a un utility book, poi è stato un crescendo, un’escalation di meditazione. Perché i quaranta giorni della mia quarantena, vissuti per caso durante la quaresima mi hanno portato a scoprire che nel numero 40 c’è un riferimento biblico. Sono 40 i giorni e 40 le notti che Noè trascorre sull’arca durante il diluvio, i 40 giorni nel deserto di Gesù… È un numero simbolico…

Per lei cosa hanno rappresento questi 40 giorni?
Speranza, ripresa e cambiamento. Nella Bibbia sono i giorni delle decisioni maturate, Gesù nel deserto è in preghiera, in collegamento con il Padre. Per me questo numero rappresenta un processo di cambiamento che arriva attraverso la meditazione e la preghiera. E in questo libro ho raccontato questa escalation, come se si aprisse una finestra sul mondo. Vivevo con il terrore di contagiare mio figlio e ho patito tanto sia da un punto di vista fisico sia dal punto di vista psicologico.

Nel libro però non c’è solo la malattia, c’è anche dell’altro…
Sì. Nella seconda parte ho affrontato aspetti filosofici, economici e politici. La mia famiglia è di Monza e sono profondamente brianzola e non posso non guardare a una possibile riprese perché la Brianza, la Lombardia e l’Italia si devono risollevare

Nella prefazione Vincenzo Mollica scrive «Il coronavirus taglia la vita in due: c’è un “prima” e un “dopo” poiché cambia e stravolge la vita delle persone. È un’esperienza radicale, e niente sarà più come prima una volta che l’hai attraversata».
Lui è il mio mentore, un amico che mi ha fatto anche il dono della poesia “Speranza” per il mio libro. La pandemia segna uno spartiacque esistenziale tra un prima e un dopo. Dobbiamo viverla come un’opportunità, una catarsi che ci rende persone diverse da prima. Per me è stato un risveglio della coscienza dettato dall’isolamento. Inizi a percepire che le piccole cose sono quelle che valgono e ha senso rimboccarsi le maniche per continuare.
Ma senza la fede io non sarei stata in grado di comprenderlo. Nessuno può vivere per se stesso, siamo tutti vulnerabili e per questo dobbiamo lavorare insieme, sentire questa fratellanza… Mentre ero segregata uno dei momenti più forti è stata la preghiera di Papa Francesco solo in piazza San Pietro.

Il titolo del libro è “Segregata Una madre contro il coronavirus”, ma in copertina c’è anche la frase “Ciò che il male separa il cuore unisce”…
La divisione è diabolica. Ecco io questa malattia, questo flagello lo definisco la malattia della solitudine e sta colpendo tutto il mondo e fa emergere una verità: siamo tutti vulnerabili. Per questo occorre vivere in solidarietà. È l’unico strumento per rialzarsi per la propria famiglia, per la propria regione e ognuno nel suo piccolo per l’umanità.

Non è facile parlare di opportunità guardando a questa pandemia
Io faccio sempre un parallelo: dalla disgrazia alla riscossa, come ho voluto passare dalla sofferenza alla beneficenza. Per questo nella seconda parte del libro ho voluto volare alto perché per me è importante raccontare questo potere trasformativo dell’amore che trasforma la sofferenza in beneficenza. Come scriveva Dante chiudendo la Commedia: “l’amore che muove il sole e l’altre stelle”. Ed è l’amore che mi ha permesso di andare oltre il mio nucleo familiare perché tutti hanno bisogno di speranza. E poi io ho passato 40 giorni segregata, ma chi come mio figlio Jaya è in sedia a rotelle la segregazione la vive tutti i giorni, nel lavoro, nei viaggi….

Il libro ha una finalità benefica…
Ho scelto due progetti che guardano al futuro. Uno è a favore dell’associazione Intensivamente Insieme di Monza, sono una mamma e ho pensato a questi piccolissimi bambini prematuri e ai loro genitori. Una culla mobile permetterà di trasportare i neonati alla terapia intensiva neonatale del San Gerardo di Monza che è un centro di eccellenza. L’altro progetto è l’iniziativa della Uildm a favore della vita indipendente dei giovani come mio figlio che soffre di distrofia Facio-Scapolo-Omerale – Fshd, è una malattia invalidante che all’età di 10 anni lo ha portato sulla sedia a rotelle. Quando l’abbiamo scoperto è stato un colpo, ma grazie a Dio ho incontrato Alberto (Fontana, attuale presidente dei Centri Clinici NeMO) poi sono diventata rappresentante della Uildm a livello internazionale. Nel resto del mondo invece i proventi del libro andranno alla Fshd Society per finanziare la ricerca contro la distrofia di cui soffre mio figlio e di cui sono patient advocate da dieci anni.

Il suo racconto inizia il 7 marzo…
Quando ho iniziato ad avere un po’ di febbriciattola che poi è salita e per giorni si è attestata intorno ai 40, nonostante la tachipirina… Non ho avuto per fortuna l’ultima conseguenza di questa malattia, la dispnea. Ma devo dire una cosa e ci tengo. Io sono stata assistita dall’Ats di Monza e dal sistema sanitario regionale. Il mio medico di base che non vuole essere citato mi ha seguito telefonicamente fino a quando mi ha consigliato di autodenunciarmi chiamando il numero verde. Sono stata affidata a un medico la dottoressa S. dell’Ats di Monza che mi ha seguito telefonicamente. E soprattutto devo ringraziare la Protezione civile e i volontari dell’Auser Filo d’Argento che hanno aiutato la mia famiglia con la spesa. Dieci giorni di febbre debilitante, rinchiusa in camera mentre cercavo di rassicurare i miei familiari, non volevo allarmarli. Ho pregato tanto, per tutti da mio figlio ai volontari, ai medici, ai familiari delle persone che venivano portate via dalle ambulanze che sentivo passare sotto le mie finestre… alla fine ho pregato anche per me. La febbre poi è scesa e lì ho deciso di scrivere

L’intervista è finita, il racconto di Fabiola Bertinotti è da leggere d’un fiato, facendosi accompagnare dalle sue riflessioni, dalle sue emozioni dal suo amore di madre che l’ha guidata nella scelta di una segregazione stretta lontana dagli abbracci dei suoi cari. Ci stiamo per salutare quando interrompendo i convenevoli abituali «C’è una cosa importante che devo dire: è il mio grazie. Il ringraziamento a quanti mi hanno aiutato dalla due Fondazioni (Cariplo e di Comunità di Monza e Brianza) a Lipsie Languages che ha fornito la piattaforma per il downloading del libro, all’Agenzia di traduzione-IN che ha curato la tradizione in inglese e in francese e ad Antonio De Mauro che ha curato il progetto grafico e l’impaginazione. Credo sia importante ringraziare: e il mio grazie ora vuol diventare un atto di solidarietà».


Le immagini sono state fornite da Ufficio Stampa


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