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Francesco Rocca

“La mia Croce Rossa mai neutrale davanti ai vulnerabili”

di Alessandro Puglia

L'intervista al presidente della Croce Rossa Italiana che riconfermato nel suo prestigioso incarico accompagnerà l'Associazione tra le sfide del nuovo millennio. In un contesto globale in cui la pandemia ha cambiato gli orizzonti, ma non il modo di stare vicino a chi ha più bisogno di aiuto, rimanendo fedeli a quei principi e valori che sono il patrimonio della Croce Rossa

«La Croce Rossa come espressione di una comunità, custode del diritto internazionale umanitario e sempre al fianco dei più vulnerabili». Francesco Rocca, 55 anni, appena riconfermato alla guida della Croce Rossa Italiana illustra le principali sfide del Terzo Millennio dell’Associazione più che mai in prima linea sul fronte della pandemia. «Il nostro orizzonte è cambiato fronteggiando questa crisi» spiega raccontando parte del lavoro svolto in questi anni in cui il cambio di passo è stato necessario. Perché davanti a fenomeni come quello migratorio «occorre una narrazione diversa»; «perché in prossimità di un anziano o un soggetto vulnerabile che ha bisogno di aiuto occorre esserci». Perché è davanti alla paura che bisogna agire con coraggio e gentilezza. Per dare voce a chi non ne ha.

Quali saranno le prossime sfide umanitarie per la Croce Rossa Italiana?

«Il nostro orizzonte è cambiato fronteggiando questa crisi, quindi bisognerà stare sempre più attenti ai bisogni delle nostre comunità, rafforzando il senso di radicamento e di appartenenza tra la Croce Rossa e il proprio territorio che è emerso in maniera molto costruttiva in quest’ultimo periodo. La Croce Rossa diventa più che mai espressione di una comunità. Una delle sfide sarà senz’altro nell’impiego delle tecnologie a fini umanitari: penso ai droni impiegati in aree inaccessibili come strumenti di delivery per farmaci, sangue o beni alimentari. Qualsiasi sarà la prossima sfida saremo sempre accompagnati dalla diffusione dei nostri principi e valori, soprattutto tra i giovani, cucendoci addosso quel ruolo di custodi del diritto internazionale umanitario».

Il futuro è legato inevitabilmente al presente. Quali sono state le sue maggiori azioni nel coordinamento della Croce Rossa Italiana durante la pandemia?

«Al di là dei numeri che sono impressionanti, la Croce Rossa non è una semplice associazione di volontariato, ma è riconosciuta come struttura operativa nazionale del sistema di protezione civile. Abbiamo lavorato su tutti i fronti possibili. Dallo scenario tradizionale raffigurato dall’ambulanza, basti pensare al paziente uno di Codogno che è stato preso da un nostro mezzo, alla presenza h24 in sala operativa, al lavoro dietro le quinte: negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, in ogni punto sensibile del territorio nazionale. C’è stato poi il lavoro di accompagnamento e assistenza alle persone che necessitavano di essere rimpatriate: penso ai passeggeri della nave da crociera che da Genova stati accompagnati da nostri mezzi super protetti e attrezzati in Olanda. Ci siamo equipaggiati per fare del nostro meglio in quella prima fase che noi abbiamo voluto chiamare ‘Fase della gentilezza’, rafforzando quello che è sempre stato uno dei nostri principali servizi: essere vicini agli anziani, agli immunodepressi, alle famiglie con maggiori vulnerabilità. Abbiamo messo su l’help desk nelle carceri italiane, con psicologi e operatori a disposizione. E ancora un numero verde per chiunque operi nel settore sanitario per poter prestare il proprio servizio a titolo di volontariato nelle zone più colpite. E infine abbiamo aperto al volontariato temporaneo a supporto dei nostri comitati: sono stati 55 mila i cittadini che hanno aderito a questa nostra chiamata. Per noi tutto questo ha implementato il tempo della gentilezza, di cui oggi più che mai abbiamo bisogno».

Azioni concrete all’interno di una cornice internazionale dove si deve pure fronteggiare la pandemia?

«Credo che il Coronavirus è stato il grande banco di prova che avevamo proclamato nel World Humanitarian Summit del 2016 come impegno della comunità internazionale. L’impegno era quello di valorizzare l’attore locale, il volontariato locale, le Ong che operano nel territorio. Se non l’avessimo fatto ora, quando? Credo che questa sfida oggi sia stata vinta».

La Croce Rossa è diventata negli ultimi anni un modello nella prima accoglienza durante gli sbarchi nei porti italiani di migliaia di esseri umani. Una presenza costante caratterizzata dall’incontro con storie spesso drammatiche. Quanto sarà importante il tema migratorio per il futuro della Croce Rossa?

«Una delle mie prime azioni è stata quella di fare uscire i servizi di Croce Rossa Italiana dai CIE (centri di identificazione ed espulsione) perché non lo ritenevo coerente con quello che è il nostro mandato umanitario. Siamo passati da una Croce Rossa dei CIE a una Croce Rossa dell’accoglienza, diventando sì un punto di riferimento nell’ambito della dignità che a ogni essere umano deve essere sempre garantita. E questo a prescindere dalle leggi del nostro paese, a prescindere dello status legale di ognuno. In dieci anni di sbarchi, uomini e donne della Croce Rossa si sono impegnati in questo servizio. Cito spesso l’esperienza dell’Hub di Settimo Torinese, in cui dopo il momento dello sbarco sono transitate in pochi anni quasi 55 mila persone. Una storia che definisco di successo, lontana dai riflettori, in un’ottica di una narrazione che davanti alle storie di esseri umani che scappano da guerre e conflitti deve necessariamente cambiare nella sua percezione. Abbiamo lavorato anche su questo».

La sfida futura della Croce Rossa è quindi sempre quella di restare a fianco dei più vulnerabili?

«È la nostra missione. E il mio ruolo consiste nell’accompagnare l’Organizzazione che ho l’onore di presiedere a livello nazionale e internazionale per non essere mai neutrali davanti al vulnerabile. Schierandosi, rappresentando le istanze di giustizia sociale in maniera chiara ed inequivocabile, dando voce a chi non ne ha. È la nostra missione. È un dovere».


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