Educazione

Il nostro cammino con la carovana di don Mazzi

di Antonietta Nembri

A oltre trent'anni dalla prima Carovana Exodus, la comunità di Tursi in Basilicata sta sperimentando uscite mensili con i giovani ospiti. «Parte tutta la comunità, anche l’ultimo arrivato. Chiudiamo la casa e ci mettiamo in viaggio» racconta la responsabile Piera Vitelli. «Esperienza che apre mille possibilità», conferma Franco Taverna segretario generale della Fondazione. Il racconto dei giovani

La carovana, l’essere itineranti, in cammino è nel dna di Exodus. Nel 1984 la realtà fondata da don Antonio Mazzi muoveva i primi passi e lo fece con una comunità itinerante undici mesi in giro per l’Italia con camper, educatori e giovani. Poi è arrivato il tempo delle comunità residenziali, ma lo spirito della carovana non è mai stata abbandonato. «È la nostra idea originaria – spiega Franco Taverna, segretario generale di Exodus – da quest’anno tutte le sedi la sperimentano due, tre volte l’anno. Ma la vera novità della sede di Tursi è averlo trasformato in un momento mensile in cui fare il punto della situazione»

Che il cammino sia un metodo educativo e di riscatto del resto lo suggerisce anche il nome del sodalizio fondato da Don Antonio Mazzi: Exodus ovvero l’esodo. Ma non è un camminare a vuoto, come racconta ancora Taverna, «camminando sei più vicino a te stesso, facendo fatica. Ma c’è anche l'idea di essere un pellegrino: hai una meta, una destinazione. E l'efficacia di questo metodo l'abbiamo messa alla prova. Chi partecipa a una carovana sperimenta una possibilità di riappacificarsi con se stesso superiore a qualunque altra cosa. E il risultato supera quelli prodotti con la sola tecnica».

Dalla prima carovana Exodus sono passati oltre trent’anni e c’è una differenza sostanziale, sottolinea ancora Taverna: «Noi non avevamo una sede da cui partire, la carovana stessa era la nostra sede. Ora Piera ha ripreso l'idea e l'ha rilanciata». Piera Vitelli è la responsabile della comunità Exodus di Tursi in Basilicata e riprendendo lo spirito originario ha dato il via alle carovane mensili «parte tutta la comunità, anche l’ultimo arrivato. Chiudiamo la casa e ci mettiamo in viaggio. In fondo noi di Exodus siano nati itineranti e questa esperienza è una “itineranza educatica”». A giugno la meta è la Valle d’Itra ma da febbraio di quest'anno la comunità della Basilicata ha già percorso centinaia di km in bicicletta e a piedi. Le mete sono state Viggianello nel Parco del Pollino, Teana, Policoro e Viggiano.

«I ragazzi in questi anni sono cambiati e c’è la necessità di rispondere al loro cambiamento, al loro cuore e quello che noi stiamo facendo in questi mesi è entusiasmante anche per gli operatori. Il nostro metterci in cammino diventa un metodo educativo» spiega Vitelli. «Nel nostro essere itineranti c’è l’idea di fare degli incontri e ciascuno di noi tiene un “diario di viaggio”: i ragazzi come gli educatori, è un diario personale che poi durante le équipe viene condiviso».

La lentezza del viaggio a piedi o in bicicletta è anche una risposta al mondo dei ragazzi ospitati nella comunità di Tursi che come i loro coetanei sono cresciuti con l’idea del tutto e subito, «sono ragazzi annoiati, fragili emotivamente che faticano a stare chiusi in un posto. Conoscendo il potere del rapporto dentro/fuori attraverso la carovana facciamo sì che stacchino dalle attività quotidiane e da un ambiente strutturato e già questo è una verifica», continua la responsabile.

Per i ragazzi il viaggio è una scoperta e nel gioco dentro/fuori, ovvero nel trovarsi in un contesto destrutturato si verifica la loro capacità di autonomia, mentre l’immagine che i ragazzi si portano dietro di sé si modifica. Una seconda ricaduta, continua ancora Vitelli è che «realizzare una carovana tutti i mesi rende il gruppo coeso, stanno insieme in modo diverso che in comunità dove ciascuno ha un suo compito e in questo cambiamento assistiamo a una progressiva crescita».

Abbiamo provato a ripercorrere alcune tappe di quest’anno attraverso i brani dei diari scritti da sei giovani: Franco, Francesco, Rocco, Piero, Stefano ed Enzo.

camminando sei più vicino a te stesso, facendo fatica. Ma c’è anche l'idea di essere un pellegrino: hai una meta, una destinazione.

Franco Taverna

Viggianello (24-28 febbraio) «Qui abbiamo incontrato un gruppo di ragazzi con disabilità, siamo stati ospiti del locale centro diurno e con loro abbiamo fatto la festa di Carnevale» racconta la responsabile che lascia la parola ai diari dei ragazzi.
Franco: «Inizio col dire che oggi ho provato tante emozioni… Nel pomeriggio abbiamo incontrato e fatto conoscenza con un gruppo di ragazzi disabili. L’impatto non è stato piacevole ma poi la cosa è andata per il verso giusto … con loro per qualche ora sono stato sereno» e sulle uscite scrive «puoi fermarti a pensare e questo per me è una cosa positiva». Francesco ammette di essersi sentito «affascinato anche se ero un po’ ansioso … Oggi credo di aver capito veramente il senso della loro vita… che devono essere aiutati per ogni cosa e questo è molto triste». Rocco osserva che incontrare i ragazzi con disabilità «è stata dura». Ma conclude «Spero di passare un’altra giornata con dei ragazzi speciali anche se mi fanno stare male ogni volta che li vedo».
Piero invece dedica i suoi pensieri al trekking, all’escursione fatta: «È stata bellissima per me! Mi tornavano in mente ricordi di quando ero piccolo, che mi divertivo tanto a fare queste cose». Anche per Stefano l’aspetto più importante è stata la passeggiata in mezzo al verde «respirare un po’ di aria e riaccendere i ricordi di quando ero piccolissimo…». Quasi telegrafici i pensieri di Enzo: «Sono partito un po’ nervoso e agitato. Siamo stati a fare un’escursione e anche se non me lo aspettavo sono stato bene e mi sono divertito».

Il nostro metterci in cammino diventa un metodo educativo

Piera Vitelli

Il mese successivo (24 – 28 marzo) la meta è Teana «quello che è successo non era completamente preparato, perché lì abbiamo incontrato un gruppo di giovani immigrati ospiti di uno Sprar» racconta Piera. «Abbiamo fatto una partita di calcio e poi ci si è raccontati. I nostri ragazzi ascoltavano con tanto d’occhi sgranati. Incontri come questo rientrano in un percorso di educazione alla diversità».
Ma ecco la tre giorni vista con gli occhi dei ragazzi. «Questa nuova esperienza mi ha lasciato piuttosto indifferente. Abbiamo incontrato un gruppo di immigrati ma non mi hanno trasmesso niente…», scrive Franco. Mentre Francesco è rimasto colpito nel «vedere persone che scappano dalla propria terra, è triste». Rocco scrive «penso che questi cinque giorni di comunità itinerante ci volevano sia per me che per i miei compagni anche per rilassarci un po’, vedere posti nuovi e riflettere sul nostro futuro».
Piero da parte sua riflette sulla difficoltà di «stare con gli altri, tanto che vorrei lasciare la comunità. Anche se ho qualche brutto pensiero questi giorni sono positivi» e sull’incontro con gli immigrati scrive «hanno raccontato la loro storia e noi la nostra. Io li vedo come “dei nostri”, persone normali e simpatiche». Stefano ha approfittato di questi giorni per «svuotare la mente… penso che mi mancheranno queste uscite». «A volte credo che sottovalutiamo alcuni aspetti della realtà. Se ci pensassimo un po’ di più capremmo molte cose, ci faremmo una nostra idea senza credere a quello che ci vogliono far credere gli altri» è il lucido pensiero di Enzo dopo l’incontro con i migranti.

Policoro è stata la meta di aprile (25 – 28) «siamo stati al Villaggio dello Sport, è stata un’uscita singolare, in contemporanea nella struttura c’era anche un gruppo di adolescenti di Rieti. Alcuni di loro però hanno rifiutato l’incontro altri hanno ascoltato le testimonianze in silenzio» ricorda la responsabile di Tursi.
Se per la maggior parte dei giovani l’aspetto sportivo dei quattro giorni è stato predominante (nella foto in basso l'uscita in barca a vela) per alcuni di loro la testimonianza resa agli adolescenti è stato un momento importante «all’inizio mi sentivo agitato ma dopo un po’ parlare con questi ragazzi mi è venuto spontaneo. Penso che se posso essere d’aiuto per la storia che mi porto dietro ben venga. Da questa esperienza mi porto tanto. La voglia di guardare avanti e soprattutto cambiare è sempre più grande». Anche per Rocco «è bello raccontare esperienze del nostro passato e penso che qualcuno si sia commosso per le parole dette».
Per Piero l’uscire dalla comunità è positivo «secondo me mi rafforza ancora più perché vedo persone “normali” fuori e penso che posso farcela anche io ad essere così»; Stefano ha una speranza dopo la testimonianza fatta ai ragazzi «che possa essere utile per loro in futuro». Enzo non era nel gruppo che ha fatto la testimonianza ma è sicuro che per loro sia stato «utile, sono così facilmente influenzabili, condizionabili in questa fase».

L’ultima tappa raccontata è quella di Viggiano (20 – 25 maggio) dove, spiega Vitelli «abbiamo puntato alla cultura, alla conoscenza con la visita al museo scenografico di Sant’Arcangelo dove li ho visti entusiasti, poi abbiamo proseguito fino al santuario di Viggiano, è la Madonna del pellegrino, la patrona della Basilicata è una meta sia religiosa sia laica. L’ultimo tratto lo abbiamo fatto a piedi».

«Una bellissima esperienza e anche se ho un problema alla schiena sono salito fino alla fine, volevo farmi una chiacchierata con Lei è ho pregato» racconta Franco, per Francesco è stato invece importante segnalare di «essere riuscito a fare 40 km in bicicletta… Non vedo l’ora che arrivi il prossimo mese». Per Rocco uscire lo fa sentire bene «domani rientreremo in comunitù e spero che le cose continuino ad andare bene».
Piero segnala di aver superato le difficoltà grazie all’aiuto dell’operatore e l’essere salito a piedi al santuario «è stata proprio una bella esperienza. Prima di entrare in comunità non credevo e qui ho cominciato a credere ed è una cosa bella». «Mi ha fatto piacere vedere vedere quelli che lo scorso anno faticavano, andare molto meglio… c’è un buon umore nel gruppo!» osserva Stefano mentre per Enzo la giornata è stata faticosa ma «è bellissimo vedere e sentire che dopo tanta fatica, sudore e sacrificio si arriva sempre a destinazione e si raggiungono gli obietivi prefissati che sia per una destinazione o altro è sempre una bella sensazione…».

«Quando tornano in comunità si sentono più ricchi, tornano con entusiasmo sapendo che la nostra casa è questo: fatica e impegno» osserva la responsabile. A Tursi l’itineranza educativa è ormai un appuntamento mensile, ma la carovana continua a caratterizzare tutte le comunità di Exodus perché ricorda ancora Franco Taverna «va sfatata l’idea che ci siano problemi nella preparazione, non abbiamo mai incontrato un rifiuto quando chiediamo ospitalità perché la gente è più buona di quanto ci si immagini. Quando si parte si ha sempre un pulmino d’appoggio, nei mesi estivi si usano le tende, ma non mancano mai parrocchie o palestre dei comuni in cui trovare un tetto». E continua «Abbiamo avuto tra i nostri ragazzi chi non aveva mai visto il mare o non era mai stato in cima a una montagna. Possono sembrare esperienze banali, ma per chi ha vissuto l’esperienza della sofferenza anche solo lo scopire il mare è un sedimento emotivo che ti resta. È la scoperta della dimensione del bello e trovi ragazzi che scoprono la contemplazione o la preghiera». E c’è un’esperienza che Taverna ricorda bene «una volta eravamo ospiti di suore di clausura e abbiamo scoperto che i ragazzi si alzavano all’alba per ascoltare le suore che cantavano il mattutino. Ecco la carovana è un’esperienza che apre mille possibilità».

Tutte le immagini sono state realizzatte dalla Comunità Exodus di Tursi nel corse delle quattro itineranze educative


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