Migrazioni

La virtuosa accoglienza estiva del Memoriale della Shoah

di Daniele Biella

Nell'estate 2017 sono passati dal luogo museale milanese adibito ad accoglienza temporanea 931 profughi, tra cui 360 minori non accompagnati. "Ognuno con fragilità diverse a cui abbiamo cercato di dare una mano", spiega Stefano Pasta, coordinatore del centro gestito da Comunità di Sant'Egidio e Fondazione del Memoriale in rete con istituzioni e associazioni cittadine. Siamo andati a vedere

Quando, una sera di fine estate, arriviamo al binario 21 della Stazione Centrale di Milano, oggi adibito a museo, incontriamo, fra gli altri, Usman. E rimaniamo sconvolti. È in piedi, di fianco a volontari solerti come Rosamaria, Gianluca e altri che gli stanno parlando, ma lui non dice nulla, sembra essere in un mondo parallelo. Usman era arrivato qualche sera prima, già allora con lo sguardo del tutto assente e un foglio di via dove c’era scritto che aveva 19 anni. Ma Usman ha 17 anni e non merita il foglio di via: ha visto il padre morire assassinato nel suo paese, la Guinea Conakry, poi ha subito vessazioni e abusi nel suo viaggio migratorio, nel deserto del Sahara come nelle prigioni libiche. Il ragazzo è ora in una comunità protetta e la sua vera e propria rinascita alla vita è dovuta proprio a un gruppo di volontari: sono quelli che per tutta l’estate 2017 si sono alternati al Memoriale della Shoah di Milano, museo diurno a ridosso della Stazione Centrale che dalle 20 di ogni sera estiva alle 8 della mattina dopo si trasformava in luogo di prima accoglienza dove garantire una cena e una brandina a una cinquantina di profughi di passaggio.

“Dopo diversi giorni in cui è rimasto muto e non si faceva avvicinare da nessuno, Usman prima ha dato confidenza al nostro operatore notturno, di origini marocchine, poi ad altri educatori volontari e poco alla volta ci ha permesso di ricostruire la sua storia: dopo lo sbarco in Italia era riuscito ad arrivare in Svizzera ma da qui per effetto del Trattato di Dublino, è stato respinto – ovvero ‘dublinato’ – in Italia dove ha ricevuto il decreto di espulsione perché ritenuto di maggiore età. Ma a verifiche fisiche fatte è risultato minorenne, come lui sosteneva una volta che aveva ripreso a parlare”, spiega Stefano Pasta, 31 anni, coordinatore del centro di accoglienza temporaneo per la Comunità di Sant’Egidio, di cui è membro da quando era ancora al liceo. È la Comunità che, di comune accordo con la Fondazione del Memoriale della Shoah e la persona che più di tutte l’ha fatto nascere con i propri vissuti, Liliana Segre (deportata ad Auschwitz e sopravvissuta al campo di sterminio nazista), chiama a raccolta i volontari per dare una mano nelle notti estive. “E’ il terzo anno che facciamo questo servizio, abbiamo superato quota mille volontari, 400 persone solo quest’anno, chi per pochi giorni, chi per settimane, di ogni confessione religiosa e anche non credenti”, spiega Pasta. “L’impegno principale, al di là della preparazione di cena e colazione e della sistemazione delle brandine, è stato quello di parlare con le persone, ascoltare le loro storie: è in questo che abbiamo riscontrato l’enorme solidarietà dei cittadini di Milano e provincia”. Un’azione solidale che, in continua collaborazione con il Centro d’aiuto del Comune di Milano per la successiva collocazione delle persone che non avevano in mente di provare la via dell’estero e avevano i requisiti per chiedere asilo in Italia, è avvenuta “a titolo completamente gratuito”, sottolinea Pasta. La Comunità di Sant’Egidio da sempre presta servizio gratuito a fianco delle persone disagiate: “il Memoriale è stato il punto di riferimento per i profughi, ma in città abbiamo altri quattro punti mobili di assistenza a senzatetto e persone bisognose”.

Se il primo anno di apertura all’accoglienza del Memoriale aveva visto una massiccia presenza di persone in fuga dalla Siria e il secondo di varie nazionalità ma perlopiù adulti, in questo terzo anno l’emergenza ha riguardato una fascia d’età piuttosto delicata: i msna, i minori stranieri accompagnati come Usman. “Nei quattro mesi di apertura – il servizio si è chiuso domenica 1 ottobre per lavori strutturali interni al Memoriale, nei due anni precedenti era durato fino a novembre – abbiamo avuto 3359 presenze notturne, in tutto 931 persone, tra cui 80 donne, che si sono fermate per uno o più giorni, con una media di 3-4 giorni a testa”, illustra il coordinatore di Sant’Egidio. “Ebbene, i minori non accompagnati sono stati 360, attorno al 40 per cento del totale”. Come sono stati accolti? “Dopo il primo contatto e l’incontro con l'ong Save the children e il Pronto intervento minori, il 60 per cento di loro si è fermato e si trova ora in una comunità protetta in attesa o meno di ricollocamento in altri Paesi, mentre gli altri hanno deciso di provare direttamente la via del Nord Europa”. Con tutti i rischi dell’illegalità e della tratta di esseri umani. “Il lavoro con chi si è fermato è stato il valore aggiunto di quest’anno, in piena collaborazione anche con le autorità come Questura e Prefettura. Anche per quanto riguarda gli adulti, devo dire che le istituzioni milanesi si sono fatte trovare sempre pronte: in molti casi un posto in un Cas, Centro di accoglienza straordinaria, è stato trovato dalla mattina alla sera, e in altri anche in centri Sprar anche fuori zona, fino a Venezia”.

È impressionante il dato sulle nazionalità delle persone che sono passate dal Memoriale nell’estate appena conclusa: “siamo arrivati a quota 43 Paesi di provenienza”, sottolinea Pasta, “il 35 per cento dall’Eritrea, l’11 per centro dall’Afghanistan, il 9 per cento dal Sudan, il 6 per cento siriani, il 5 per cento dall’Etiopia, il 4 per cento dalla Guinea Conakry e dal Pakistan, in percentuali minori molti altri”. Ognuna in condizioni di fragilità diverse: “l e più comuni erano persone transitanti, ovvero che puntavano ad arrivare a paesi più a Nord, oppure persone senza domanda di asilo attiva, che poi venivano aiutate a farla, oppure in molti altri casi persone allontanate spontaneamente o con l’espulsione da centri del Sud Italia o addirittura con in mano un diniego della domanda d’asilo. Tutte situazioni delicate che venivano seguite dalla nostra rete di avvocati volontari”. Problemi burocratici enormi, che rispecchiano le difficoltà legislative attuali sull’accoglienza. Se la maggior parte degli accolti ha trovato un’alternativa alle strade milanesi, “ora che il Memoriale non è più luogo di pernottamento, sono una ventina le persone rimaste in strada”. Avrebbero potuto essere molte di più. “È il primo anno che ci siamo trovati di fronte a così tante problematiche. Siamo diventati un osservatorio diretto di quello che accade, delle storture del sistema. Un triste osservatorio”, indica Pasta. Per non parlare dell’aspetto psico-fisico delle persone: “molti di loro sono arrivati con traumi evidenti di precedenti torture. Alla voce ‘Libia’ ti sollevavano le loro magliette facendoti vedere i segni dei maltrattamenti, mentre i racconti degli abusi, anche sessuali, erano spesso atroci. Sono passati dall’inferno in terra, riuscendo a sopravviverci”. Per questo è importante esserci, in questo caso a fianco dei profughi, aprendo le porte di un luogo che evoca altre atrocità epocali: “nessuno dice che siamo di fronte a una nuova Shoah, ma non occorre esserlo”, sottolinea Pasta, “ basta molto meno per agire contro l’indifferenza (parola che è scritta a caratteri cubitali all’entrata del memoriale, su richiesta della stessa Liliana Segre), ed è quello che stiamo facendo, perché agire per tempo significa evitare di arrivare a quel male assoluto che invece in passato ha sconvolto l’umanità intera”.


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