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Integrazione

Karidja, l’orientatrice “peer to peer” sopravvissuta all’inferno libico

di Alessandro Puglia

Karidja Diabate, 35 anni ivoriana, mamma di Anastasia è una delle orientatrici del progetto In Gioco, che a Palermo aiuta e affianca la popolazione migrante a trovare molto più di un lavoro coniugando questa missione progettuale in molteplici attività: dalle piccole necessità quotidiane, allo studio del mercato del lavoro e del contesto in cui vivono. Perché l’integrazione se fatta bene è una risorsa inestimabile

La speranza è un filo appeso tra ricordi terrificanti in Libia e una nuova vita in Italia, a Palermo.Quando Karidja Diabate, 35 anni, ivoriana orientatrice del progetto In Gioco, sostenuto da Fondazione Con il Sud, racconta il suo passato insieme al presente determinato dalle sue molteplici attività a sostegno «dei migranti come lei» capisci la forza di una donna.

La cornice in cui opera Karidja è proprio quella dello sportello di In Gioco, curato dall’associazione Per Esempio e che vede come soggetto responsabile dell'organizzazione non profit Send in un contesto, come quello palermitano, dove le realtà associative fanno della rete uno strumento unico per creare risorse.

In Gioco è un progetto che mira all’inclusione lavorativa dei migranti attraverso la creazione di uno sportello itinerante di orientamento al lavoro di cui fanno parte tre giovani ragazzi africani, Moussa della Guinea Conakry, Ousman del Gambia e Karidja: «fortunatamente l’unica donna», dice con il suo entusiasmo.

Prima del Covid Moussa, Ousman e Karidja si muovevano a piedi o in bicicletta per incontrare chi come loro aveva bisogno di un’opportunità o semplicemente di capire in che modo potersi rendere utile. «Il progetto In Gioco che continuerà fino al 2021 nasce dal fatto che la comunità migrante accede pochissimo all’orientamento e quindi in assenza di un servizio pubblico adeguato abbiamo sperimentato la figura dell’orientatore peer to peer», spiega Loriana Cavaleri, coordinatrice del progetto. Chi arriva in Italia spesso vuole subito trovare un lavoro, gli orientatori di In Gioco spiegano che «non si può volere tutto subito» e spiegano ai migranti stessi il mercato del lavoro, l’importanza della conoscenza della lingua italiana, come muoversi e presentarsi perché «non è vero che nessuno di loro sa fare niente, piuttosto nessuno ha mai ascoltato i bisogni di questi ragazzi, cosa sanno fare, quali sono le loro storie, come il loro sogno può diventare progetto», aggiunge Loriana.

Gli orientatori percepiscono uno stipendio che con un part time può arrivare a 900 euro, e alcuni dei “migranti come loro” accompagnati e seguiti hanno già trovato un' occupazione: dal lavapiatti al ristorante al magazziniere o all’addetto di sistemazioni merci in una nota rete di supermercati. «Dall’inizio della pandemia non si sono mai fermati, tra le loro skills c’è quella di sapere parlare diverse lingue, quindi gli orientatori di In Gioco si sono messi a spiegare alla popolazione migrante cos’è ad esempio un Dpcm, come accedere ai buoni alimentari messi a disposizione dal Comune di Palermo che avevano moduli tutti in Italiano».

«Quando riesco ad aiutare anche solo una persona è una gioia», dice Karidja che spiega un tipo di primo incontro orientativo: «Quando i ragazzi arrivano da noi spieghiamo subito che non abbiamo un lavoro da dare, cerco di trasmettergli consapevolezza: dico che non devono stare a casa, fare un bel curriculum, stamparne tantissimi e lasciarlo dovunque passano».

L’attività di monitoraggio si affianca a quelle che poi sono la esigenze quotidiane di molti migranti: «li aiuto a scrivere una lettera all’ambasciata, a compilare documenti per ottenere il passaporto, ho anche organizzato una raccolta per comprare un telefono ad un ragazzo che ne aveva bisogno. Quello che facciamo lo facciamo con tanto amore».

Karidja sogna di diventare un assistente sociale a tutti gli effetti: «Lavorare nel sociale è bellissimo, vedere le persone che hanno affrontato quello che è toccato a me mi tocca profondamente, nella mia vita ho passato tante difficoltà e sono riuscita ad andare avanti, a rialzarmi. Non dobbiamo mai arrenderci e dobbiamo lottare per andare avanti anche se abbiamo l’anima ferita e dei ricordi terrificanti».

Quando Karidja è arrivata in Italia era il 28 gennaio 2017, a soccorrerla era stato il team di Sos Mediterranée con la nave Aquarius. Karidja era incinta e con un Medevac è stata trasferita in elicottero all’ospedale Buccheri di Palermo. Lì è stata quasi un mese e la sua piccola Anastasia che oggi ha quattro anni è nata lì, prematura.

Prima di essere soccorsa, dalla Costa D’Avorio ha attraverso il Mali e il Niger fino a raggiungere la Libia dove è stata incarcerata «in una prigione senza tetto» e dove ha subito le più orribili torture che una donna può subire e di cui oggi Karidja vuole parlare «perché la mia storia possa essere d’esempio per altre donne»

Attraverso un assistente sociale incontrato proprio in ospedale a Palermo, Karidja è stata da subito accolta con la sua piccola nella comunità La Zattera, è andata a scuola, ha imparato l’italiano che oggi parla fluentemente «ho trovato una famiglia e attraverso il mio ruolo da orientatrice ho ritrovato la mia indipendenza».

Oggi Karidja è un esempio per la comunità migrante palermitana. E tutti sognerebbero di lavorare con lei.


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