Aversa

Gioia, il brand di moda sostenibile che dà lavoro ai senza fissa dimora

di Anna Spena

Adrian era un senza fissa dimora dipendente dall'alcol. «Dormivo dove mi prendeva la notte», racconta. È lui il primo assunto dall'impresa sociale "Gioia", il brand di moda sostenibile creato dalla Caritas diocesana di Aversa, la seconda più grande della Campania. «Il nostro unico obiettivo», dice Pako, operatore della Caritas, «è reinvestire il fatturato per creare nuovi posti di lavoro. Chi sceglie "Gioia" partecipa al nostro progetto, investe sulle persone»

Il sorriso di Adrian non inizia dalla bocca, nasce dagli occhi. Il suo è un sorriso preciso, inconfondibile, quello dei sopravvissuti. É nato a Baia Mare, capoluogo del distretto di Maramureș, nella regione della Transilvania, in Romania. «Sono arrivato dieci anni fa in Italia. Venivo da un fallimento in Romania e qui cercavo, anche solo un poco, di bel futuro». Adrian ha 42 anni. «Volevo recuperare delle cose e invece non è andata così. Sono arrivato da solo ad Alessandria, ho lavorato per tre mesi. Poi sono andato in Calabria e poi ancora ad Aversa».

Aversa è un comune in provincia di Caserta, in Campania. «All’inizio le uniche persone che ho conosciuto erano rumeni come me, vivevano in mezzo alla strada. Io non sapevo dove andare e sono andato a dormire dove dormivano loro: una fabbrica vecchia. Pensavo che era per poco, sono passati tre anni».

Tre anni in cui, come dice Adrian «dormivo dove mi prendeva la notte. Alla stazione, nei parchi, alla fabbrica. In quei tre anni ho iniziato a bere, un poco di più ogni giorno che passava». Adrian era un senza fissa dimora, dipendente dall’alcol. E i giorni hanno smesso di passare quando una notte, tra le notti tutte uguali, è andato in coma etilico.

È sempre in quella notte, che sembrava essere quella della fine, che Adrian, ancora inconsapevole, incontra gli operatori della Caritas diocesana di Aversa. A chiamarli fu direttamente l’ospedale “sta morendo un senza fissa dimora, venite per l’estrema unzione e una preghiera”.

Dopo qualche giorno Adrian però si sveglia, le condizioni rimangono critiche. La Caritas riceve un’altra telefonata dall’ospedale “è sveglio ma sta morendo, lo trasferiamo da voi, un luogo con un po’ di affetto”. «Sono passati sette anni», sorride – sempre con gli occhi – Adrian – «sembravo morto, ma sono vivo».

Il percorso di accoglienza di Adrian è stata lungo. Prima la riabilitazione e la fisioterapia, poi la disintossicazione, poi ancora la scuola di italiano, la patente «e da qualche tempo ho affittato una casetta attaccata alla Caritas», racconta, «e lavoro per “Gioia”».

Nella storia di Adrian a fare la differenza è stata la qualità umana delle persone che ha incontrato. É con loro che ha ritrovato la gioia di vivere, la stessa che mette nel lavoro che oggi l’ha reso indipendente, la stessa di quella sera durante il lockdown che con gli ospiti della casa di accoglienza “Gratis Accepistis” della Caritas e gli educatori, mentre si passava il tempo disegnando, immaginando, ha inventato preciso, diretto, stilizzato la forma del sorriso che è diventato il simbolo di riconoscimento di “Gioia”.

Il brand è nato dalla cooperativa sociale Mebius, fondata proprio dalla Caritas Diocesana di Aversa durante i primi mesi della pandemia. «Ogni anno la Caritas di Aversa», racconta Pako, 30 anni, operatore alla Caritas da 10, «distribuiamo quasi 55mila pasti. I numeri sono cresciuti del 286% durante la pandemia. In troppe persone, quelle che vivevano sulla linea della “quasi normalità”, sono rimaste senza niente, e non avevano accesso a nessun ammortizzatore sociale. Come Caritas ogni anno accogliamo nella nostra casa 350 persone. Durante il lockdown con gli ospiti della casa per passare il tempo disegnavamo, e sui vari disegni si ripeteva spesso la parola Gioia. Insieme abbiamo iniziato a chiederci “cosa possiamo fare per ridare dignità a queste persone, per andare oltre l’accoglienza? Il brand di moda sostenibile Gioia è nato cosi: fantasticando su una possibilità di futuro».

Ci sono i poveri e poi ci sono i più poveri tra i poveri. «Ci sono quelle persone», continua Pako, «che anche una volta uscite da un periodo difficile, anche se superano le dipendenze, per la società saranno sempre “gli alcolisti, i drogati, quelli che vivono in strada”, con loro nessuno vuole lavorare. “Gioia” invece nasce proprio per loro».

In pochi mesi logo e brand vengono registrati. Si sceglie una location per lo store fisico del progetto ad Aversa e lo scorso 8 dicembre “Gioia” apre al pubblico. «Magliette, felpe, accessori, bracciali, borse», continua Pako. «Sono questi i primi prodotti realizzati. La nostra filiera si divide in tre fasi: ideazione, produzione, vendita. Come cooperativa ci occupiamo per alcuni prodotti di tutte e tre le fasi, ma per adesso, per gli articoli di maglieria, la fase di produzione è affidata ad alcune aziende amiche. Ma contiamo di ingrandisci presto».

Lo store di “Gioia” è una vera gioia per gli occhi, e non è un gioco di parole. Luminoso e allegro è stato aperto proprio nella piazza principale della città, la stessa piazza che «Adrian abitava da ubriaco», racconta Pako. «Ora invece le persone passano e in vetrina ci sono i suoi lavori».
In loop va una playlist di cantati napoletani. Prima tra tutte l’omonima canzone “Gioia” di Tommaso Primo, cantante che è diventato sponsor dell’iniziativa. “Gioo-o-ia Ca' vene e se ne va, E scarfa 'nzieme 'o sole Chi nun sente 'cchiù dolore, Gioo-o-ia P' 'e strade e p' 'e città, S'ammesca cu 'e parole 'E chi te dice ammore. Gioia 'e chi roppo tiempo trova 'a fatica…"

«E lavoro è quello che vogliamo dare», spiega Pako. Insieme ad Adrian ci sono altre due persone assunte. «Se la moda di “vestire il bene” viene apprezzata, noi possiamo allargarci. Come cooperativa sociale non abbiamo nessun guadagno. Il nostro unico obiettivo è reinvestire il fatturato nei contratti di lavoro. Chi sceglie il nostro brand non acquista per bisogno, ma per partecipare al nostro progetto, e fare insieme a noi un investimento sulle persone».

La Caritas diocesana di Aversa, la seconda più grande della Campania, è un vero presidio sulle fragilità del territorio e dell’Hinterland napoletano e casertano perché Aversa si trova proprio al centro tra le due città. «Questi», ammette pieno di onestà don Carmine Schiavone, direttore della Caritas Diocesana di Aversa e referente regionale Caritas per l’immigrazione, «sono luoghi difficili. Siamo al centro della Terra dei Fuochi, a la realtà qua è fragile».

«Siamo la diocesi della camorra, e mentre con una mano provi a bloccarla in una zona ecco che già rispunta dall’altra parte. Noi ci mettiamo in mezzo, di traverso, lavoriamo al centro. Vogliamo essere un luogo pedagogico che rintraccia, all’interno della fragilità, la potenzialità. Quel luogo che vede i punti di debolezza ma sceglie di soffermarsi su quelli di forza.

Il progetto Gioia si inserisce in questa scia qui. I più fragili possono finalmente togliersi l’etichetta di senza fissa dimora ed essere visti per quello che veramente sono: persone che sanno, possono lavorare, produrre cose positive. Lo “scartato” diventa il produttore e la società, asfissiata dalla pubblicità smodata e dal consumismo, è chiamata ad apprezzare delle piccole storie che diventano opportunità di condivisione».


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