Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Inclusione

“Come una moderna Coco Chanel”: passa dal teatro il riscatto di Rossella

di Sabina Pignataro

Rossella è una donna di 38 anni, mamma di due bambini. Da più di cinque anni è agli arresti domiciliari. Sabato debutterà a teatro, in uno spettacolo ispirato a Coco Chanel. Protagoniste le donne in condizione di grave marginalità supportate da Ebano Onlus, «per riflettere sulla potenza della forza di volontà e sulla possibilità di cambiare il corso di un destino solo apparentemente segnato»

«Il teatro per me è riscatto, è lo strumento per provare a darmi una seconda possibilità. E’ quel luogo che mi fa esclamare “ah, ma allora davvero c’è di più”». Le parole sono di Rossella, una donna di 38 anni di Milano, mamma di due bambini di otto e nove anni. Rossella è agli arresti domiciliari da più di cinque anni, dopo una condanna a 12 anni e 10 mesi di carcere. Può uscire di casa solo due ore al giorno e per andare a portare e prendere a scuola i suoi figli, cercando di concentrare in questo tempo limitato un po’ di svago con loro all’aria aperta. Non è un’attrice. O meglio, non lo era. Lo è diventata grazie ad un progetto promosso da Ebano Onlus, l’associazione presieduta da Michelangela Barba, attiva sostenitrice del mutuo soccorso femminile e del reinserimento sociale.

Il 6 novembre salirà per la prima volta sul palco del Teatro Pime di Milano come una delle protagoniste di “Io ci credo”, uno spettacolo teatrale liberamente ispirato alla vita della grande stilista Coco Chanel. Con lei ci saranno donne con biografie estremamente travagliate, in uscita dal circuito della prostituzione, con esperienze di detenzione carcere, vittime di maltrattamenti e in fuga da gravissime violenze o con delle patologie psichiatriche.

«Poter prendere parte a questo progetto mi ha fatto ricordare che oltre ai miei figli e al mio passato, che mi porto cucito addosso, oltre queste mura di casa dove trascorro tutti i giorni della mia vita, ecco, oltre tutto questo ci sono ancora io.
Io, che non piango mai davanti a nessuno, e che invece recitando mi commuovo. Io che non voglio essere compatita, e che invece mi espongo davanti agli occhi di un pubblico sconosciuto. Io, che ho studiato e letto poco e che invece ho scritto un monologo».

Rossella

Sul palco indosserà un body: «l’indumento che più mi si addice: mi protegge e allo stesso tempo non lascia trasparire nulla. E’ un filtro, una barriera, tra me e gli altri. E’ il mio modo di stare al mondo».

Rossella non lavora, «ancora non posso», dice. Vive in una casa rifugio di Ebano Onlus. «Quando il mio secondogenito compirà dieci anni, la legge prevede che io debba tornare in carcere. L’idea mi terrorizza, e spero che mi venga concessa un’altra misura, l’affidamento ordinario, anche grazie al percorso svolto fin qui. Nel frattempo, cerco di usare al meglio questo tempo sospeso per mettermi a studiare. Vorrei iscrivermi alle superiori, per diventare un’educatrice. La presidente di Ebano Onlus, Michelangela Barba, mi sta aiutando a capire che anche io posso farcela e ho qualcosa da dare agli altri».

La sua priorità però restano i figli. Rossella lo ripete molte volte. «Io ho sbagliato e pagherò. Non soffro di vittimismo. Ma non voglio che i miei errori ricadano sui miei figli. A scuola le insegnanti ci stanno aiutando molto, ma dietro l’angolo ci sono le voci dei bulletti che li prendono in giro perché il padre è in carcere e non può essere presente fuori da scuola. Perciò io, che non ho la presunzione di farcela da sola, ho chiesto aiuto ad una psicologa. La stessa che mi ha dato dei consigli quando ho dovuto raccontare ai bambini tutta la verità sulla loro famiglia».

Lo spettacolo: “io ci credo”

Il sei novembre, con Rossella ci saranno altre donne in condizione di grave marginalità: «Tutte porteranno in scena il loro messaggio di speranza dopo aver affrontato esperienze di forte disagio sociale dalle quali, con la loro forza, stanno cercando di rinascere giorno per giorno», racconta Giulia Gennaro, regista e tirocinante counselor a mediazione teatrale, che ha proposto all’associazione l’idea innovativa di lavorare con il potente mezzo dell’interpretazione per permettere alle ragazze del cast di elaborare alcune esperienze significative della loro vita. Tra queste anche Elena Pilan, detenuta presso la Seconda Casa di Reclusione Milano Bollate, unica in Italia ad essere ammessa al lavoro esterno al carcere secondo l’articolo 21 O.P. come lavoratrice dello spettacolo, oggi ingaggiata allo Spazio Alda Merini Casa delle Arti come dipendente Cetec (Centro Europeo Teatro e Carcere) e presso l’Associazione Ebano Onlus come tutor dei progetti teatrali.

Non potendo uscire, se non per quelle due ore al giorno, Rossella ha frequentato le lezioni di teatro tramite zoom. «Poi, quando è arrivato il momento di fare le prove, le altre sono venute tutte a casa mia».

Il progetto nasce come drammaturgia collettiva, frutto di un profondo lavoro introspettivo compiuto da alcune ragazze accolte e sostenute dall'associazione, che hanno ripercorso le tappe della propria vita grazie ad alcuni esercizi ispirati alla biografia della grande Chanel, una bambina nata in povertà e abbandonata pochi anni dopo in orfanotrofio, apparentemente senza alcuna prospettiva per il futuro e che, crescendo, si è trovata a dover lottare per affermarsi, in un mondo che sembrava non volerla.

«Abbiamo usato la sua storia come pretesto per riflettere sulla potenza della forza di volontà e sulla possibilità di cambiare il corso di un destino solo apparentemente segnato”, spiega la regista. «La sua storia si fonde inevitabilmente con la storia di tante altre donne che hanno dimostrato resilienza e determinazione, come le Coco Chanel di una Milano contemporanea, resistendo con grande forza agli urti della vita».

«Con questa rappresentazione, che è stata patrocinata dal Comune di Milano – sottolinea ancora la regista- ci preme invitare sempre più cittadini a riflettere sulla necessità di eliminare discriminazioni e pregiudizi, che molto spesso complicano o addirittura scoraggiano un potenziale reinserimento dei soggetti che hanno alle spalle un passato difficile». Giulia Gennaro pensa soprattutto alle donne con un passato di detenzione, «le quali una volta uscite dal carcere, tendono ad essere marchiate per il reato commesso e quindi difficilmente reinserite in contesti lavorativi, oltre ad avere difficoltà nelle relazioni in generale». Alcune di loro sono mamme e rimangono vittime del giudizio della gente, venendo emarginate nel contesto scolastico dei figli per esempio. «Purtroppo – conclude- siamo ancora lontani dal concetto di inclusione di queste situazioni limite che invece avrebbero delle bellissime opportunità di reinserimento, se fossero semplicemente "viste" e "accettate" dalla società con fiducia e apertura».

Spettacolo:
Sabato 6 novembre ore 17.30
Teatro Pime (Milano)
Per assistere allo spettacolo gratuitamente, la prenotazione è obbligatoria al seguente link.


L’iniziativa non ha scopo di lucro: i proventi andranno a sostegno di Ebano Onlus, che gestisce sette case di accoglienza sul territorio italiano, collabora con le associazioni a sostegno delle donne, delle ragazze e delle bambine nella periferia di Milano e di Napoli. Il pubblico potrà assistere gratuitamente allo spettacolo, con la possibilità di fare una donazione liberale, destinata all’associazione.

Per sostenere le spese vive di realizzazione (costo di affitto spazi per prove e messa in scena, stampa e distribuzione delle locandine, noleggio attrezzature tecniche, acquisto materiali per la scenografia), è stata lanciata una raccolta fondi.

Foto in apertura: Rossella


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive