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Ricostruzione sociale

Quel filo di pasta solidale che lega le Marche all’Afghanistan

di Giampaolo Cerri

Selene Biffi, imprenditrice sociale, da anni impegnata in Afghanistan, conosce Sima a Kabul e raccoglie la sua storia di piccola imprenditrice cui i Talebani hanno chiuso il pastificio. Come aiutarla? Cerca la cooperativa che porta il nome del pioniere del biologico in Italia, Gino Girolomoni, e della cui pasta è consumatrice. Da Isola del Piano (Pu) rispondono subito di sì. E il piccolo pastificio afgano riparte

L'eredità di Alce Nero, come lo conoscevano in molti, dal nome di un pellirossa ribelle che raccontò in un libro per la Jaca Book (Alce Nero grida). Meglio: una delle molte eredità di Gino Girolomoni.

Il pastificio messo in piedi a Isola del Piano (Pu), dal contadino-intellettuale marchigiano, scomparso 10 anni fa, che fa da incubatore per la rinascita di un piccolo pastificio in Afghanistan, gestito da donne. Una storia che illumina questo torrido agosto, illividito da una delle peggiori campagna elettorali della storia repubblicana, ma questa è un'altra vicenda.

L'idea è un'indomita imprenditrice sociale, Selene Biffi (foto sotto, ndr), una che era start-upper prima che di questa parola, start-up appunto, ci fosse la nozione. Biffi è attiva proprio in Afghanistan dal 2009, dove ha fondato She Works fro Peace, associazione che supporta oltre 300 donne e le loro micro-imprese. È proprio lei ad avere notizie di Sima, una donna afgana che, nel nord di quel Paese, ha avviato nel 2018 un'attività imprenditorale, un piccolo pastificio che impiega nove donne. O meglio impiegava, perché con l'arrivo dei Talebani, un anno fa, tutto si è bloccato.

“Ho conosciuto Sima lo scorso marzo a Kabul, vendeva sciarpe e abiti tradizionali", racconta Biffi, "ma 'il mio sogno, però, è quello di poter riaprire il mio pastificio', mi ha detto. Da lì è partito tutto. Cercavo un’azienda che non solo potesse dare un aiuto, ma che avesse una sensibilità speciale. L’idea mi è venuta pensando che in casa consumiamo pasta Girolomoni, una realtà che colpisce non solo per la qualità del prodotto ma per tutta la filosofia che la anima: dal rapporto con i coltivatori al recupero dei grani antichi, passando per la sostenibilità ambientale. Crediamo fortemente", aggiunge l'imprenditrice sociale, "che questo progetto possa mostrare un modo differente di fare cooperazione, un modo dove la ricostruzione sociale ed economica di famiglie e comunità passi necessariamente attraverso la partecipazione, la formazione e l’impiego femminile, grazie al supporto di imprese attente”.

Quelle donne ci interpellano

Ed è così che al lavoro portato avanti da Selene e da She Works for Peace per la rinascita del pastificio si è aggiunto il sostegno della Girolomoni: “Tre cose mi accomunano alle donne del pastificio di Sima: a pasta, il lavoro e la famiglia", dice Maria Girolomoni, che di Gino e della moglie Tullia è figlia e che nella cooperativa Girolomoni si occupa delle relazioni esterne. "Spesso penso che sia faticoso portare avanti tutto", prosegue, "ma quando ho sentito le storie di queste donne, mi sono ricordata le priorità della vita, le ho sentite vicine. Insieme a Daniela Bellini, responsabile qualità in Cooperativa da molti anni, abbiamo deciso di sostenerle e speriamo d’intercettare presto altri partner tra le aziende legate alla nostra filiera e non solo, per dare continuità e permettere a Sima di alimentare la speranza, dando lavoro alle donne di quel Paese difficile”.

Il pastificio ha già riaperto, sono 11 le donne che hanno ripreso a lavorarci, inclusa Sima. La Cooperativa Girolomoni ha messo a disposizione le risorse necessarie per coprire i primi mesi di attività, come spiega Daniela Bellini della Cooperativa: “Questi fondi sono impiegati per il salario dei dipendenti, l’acquisto dei prodotti, l’elettricità, il trasporto dei materiali, gli strumenti per la lavorazione e il confezionamento della pasta, un kit di primo soccorso. Un aiuto che garantisce la sopravvivenza del pastificio fino ad agosto. Speriamo che in tanti rispondano al nostro appello per continuare ad essere al fianco di queste donne che con determinazione vanno avanti, malgrado un contesto che le priva dei loro diritti fondamentali”.

Dalle Marche all'Afghanistan

La Cooperativa Conta 30 soci e 70 dipendenti, oltre ai 450 agricoltori coinvolti nella filiera e la partnership stretta tra She Works for Peace e la Cooperativa Girolomoni ha permesso di riaprire l’attività. Oggi sono 11 le donne che hanno ripreso a lavorare al pastificio, inclusa Sima. Tra di loro, c’è chi prima del regime talebano lavorava come insegnante, chi come cuoca in un ristorante, e chi invece studiava all’università. Con famiglie numerose – tra i 2 e i 6 bambini a famiglia – e, in alcuni casi, vedove o con mariti malati, queste donne sono le uniche a lavorare per poter supportare i loro famigliari al momento. Per tutte loro, il pastificio rappresenta dunque l’unico modo di provvedere alle loro famiglie, in un momento tanto complicato per il Paese.

In un futuro prossimo, il pastificio vorrebbe espandere la produzione e contribuire all’agricoltura locale, non solo tramite l’acquisto delle materie prime in loco ma anche lavorando direttamente con i produttori per migliorare la qualità di grani e farine. La creazione di ulteriori opportunità lavorative per le donne è un altro punto su cui il pastificio vuole puntare a breve. Per il futuro c’è anche l’obiettivo di espandere il mercato di riferimento al di là dell’Afghanistan, vendendo il proprio prodotto ad altri Paesi dell’Asia Centrale.

Selene Biffi, d'altra parte, non molla l'Afghanistan: ci era arrivata come volontaria nel 2009 e, alcuni anni dopo, aveva aperto la Qessa Academy a Kabul, una scuola tecnica per il recupero dello storytelling tradizionale. Non solo, aveva lavorato poi su chatbot per combattere l'hate speech sui social network, su sensori per le mine anti-uomo pensati per le comunità in zone d'emergenza e video giochi a tema scientifico: una scatenata donna di pace e di costruzione inclusiva, più volte premiata anche a livello internazionale.

A seguito della caduta di Kabul nell’agosto 2021, Biffi si è attivata per l’evacuazione di famiglie afghane e torna poi a Kabul dove crea una rete a supporto di oltre 1.500 persone (principalmente vedove e orfani, disabili e anziani), lanciando appunto She Works for Peace,

Un'alleanza perfetta, quella con la Cooperativa Girolomoni, impegnata nella produzione e commercializzazione di prodotti da agricoltura biologica. L’attività principale è nella produzione della pasta: il modello “dal seme al piatto”, con una intera filiera votata al biologico costruita in 50 anni di lavoro, rende la Girolomoni un caso unico in Italia e in Europa. Erede dell’esperienza straordinaria di Gino Girolomoni, da molti considerato padre del movimento biologico in Italia e che avviò la sua attività pioneristica nel 1971.

La cooperativa coinvolge nella filiera 400 aziende agricole attraverso la cooperativa Montebello. "Il sito produttivo", dicono orgogliosi dalla cooperativa, "comprende 80 ettari coltivati e lo stabilimento, alimentato ad energia rinnovabile, con mulino, pastificio e magazzini. L’estero è il mercato principale: Girolomoni esporta oggi in 28 paesi, fra cui i principali sono: Francia, Germania, Usa, Spagna, Australia e Giappone".

La cooperativa è parte dell’ “ecosistema Girolomoni”, che comprende anche la Fondazione Girolomoni per la cultura, la cooperativa Montebello per l’agricoltura, l’agriturismo per l’accoglienza e il Consorzio Marche Biologiche per promuovere l’approccio di filiera e la necessità di fare rete.

Un ecosistema capace di guardare anche al mondo e alle sue urgenze, come dimostra la piccola mobilitazione per le donne afgane: davvero un bel modo per onorare la memoria del fondatore nel decennale della sua scomparsa.

Post scriptum. Gino era stato un amico e un collaboratore di questo giornale, lo andai a intervistare a Montebello a fine agosto del 2001, partendo da Rimini, dove stavo seguendo il Meeting. Occupandomi anche di agricoltura biologica, l'avevo già intervistato più volte ma sempre per telefono. Lui fu cordialissimo, mi fece visitare lo splendido monastero che aveva rimesso pazientemente, pezzo a pezzo. Mi mostrò la cappella, dove pregava ogni giorno. Parlammo di Quinzio e di Ceronetti, discutemmo su quella definizione caustica (forse non solo tale) con cui il grande Guido aveva definito una certa classe dirigente: "malavita laureata". Con la signora Tullia, la sua bellissima moglie, mi ospitò a pranzo. Un giornata di pensiero, di confronto, per cercare di capire a fondo quell'uomo semplice ma non facile. A sera, suo figlio Giovanni mi riaccompagnò in stazione a Pesaro. Quell'intervista si legge ancora molto bene: è qui.


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