Cultura

20mila aziende in meno. Ecco perch

La fine dei contributi all'agricoltura ecocompatibile ha allontanato chi di biologico aveva solo il nome - di Roberto Pinton

di Redazione

Parlando del settore biologico è necessario evitare l?errore di descriverlo come in crisi basandosi sul calo del numero di aziende. Il settore è in crisi come l?agro-alimentare generalista, e le aziende scomparse hanno cessato di esistere a causa della fine dei contributi per l?agricoltura eco-compatibile: avevano notificato l?avvio dell?attività con metodo biologico ma commercializzavano i propri prodotti come prima, senza alcuna qualificazione di ?biologico?, settore nel quale si erano arruolati esclusivamente per incassare un?integrazione al reddito.

È vero che i dati ufficiali del Sinab (il sistema unico nazionale sull?agricoltura biologica, realizzato dal Ministero delle politiche agricole e dalle regioni) sulla consistenza dell?agricoltura biologica nazionale nel 2004 sembrano evidenziare una pesante crisi (un crollo del 15,48% nel numero delle aziende agricole, passate da 48.473 a 40.965). Una lettura non superficiale dei dati Sinab, però, e l?attenzione a quelli Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) ci consegnano un?immagine più articolata e complessa.

Dati disomogenei
Innanzitutto la contrazione del numero delle aziende biologiche non è omogenea sul territorio: in tre regioni la variazione (in più o in meno) dall?anno record 2001 al 2004 rimane all?interno della fascia del 10%, in altre otto si registra una variazione positiva più accentuata (dal +13,72% delle Marche al +311,11% della Val d?Aosta). La diminuzione interessa 9 regioni, tra cui, in misura più sensibile la Sardegna (-77,51%), la Puglia (-52,63%), la Calabria (-47,76%) e la Sicilia (-47,74%). Ma nelle altre 16 regioni, la contrazione nel triennio è contenuta nel 3,55%, e l?Ismea/ACNielsen a luglio ha avvertito che «secondo i risultati di una recente indagine sui negozi specializzati in prodotti biologici e sulla grande distribuzione, l?andamento delle vendite negli ultimi 12 mesi sembra risultare più favorevole».

Il mercato c?è
Naturasì (catena di franchising con circa 40 negozi specializzati), dopo aver incamerato nel 2004 un aumento di fatturato del 13%, nel primo semestre di quest?anno registra un nuovo +13%. Brio, la commerciale veronese di proprietà dei produttori biologici, ha fatturato nel 2004 26,6 milioni (+16,7%). Grossisti come Baule Volante, Ecor e Mercabio riferiscono di un andamento del 2004 lontano dagli abituali tassi di crescita, ma comunque positivo. In una certa sofferenza sembra ?solo? la grande distribuzione, ma i responsabili commerciali delle catene confermano a Ismea attese positive: il 58% scommette su un aumento delle vendite. La situazione e le prospettive del mercato biologico sono avvertite quindi dagli operatori come meno grigie di quelle del settore convenzionale. Ma se è così, perché quasi 20mila aziende hanno lasciato in soli tre anni?

Un esempio per capire
Il caso della Sardegna spiega molte cose. Oltre il 70% della superficie agricola utilizzabile (sau) dell?isola è a utilizzo zootecnico ovino, metà è costituita da prati e pascoli naturali e si concentra nelle aree collinose e montane, a utilizzo estensivo e difficilmente meccanizzabili. A queste condizioni strutturali, che non rendono problematica la conversione al metodo biologico, il Programma pluriennale agro-ambientale, avviato nel 1994-95, ha aggiunto un contributo annuo di 150 ecu per ettaro per i pascoli e 250 ecu per ettaro per gli erbai biologici. Il risultato? Nell?anno di picco (2001), ad aver notificato l?avvio della produzione con metodo biologico in Sardegna erano 8mila aziende (crollate a 1.754 nel 2004), di cui il 70% a indirizzo foraggiero. Sempre nel 2001, però, a commercializzare il proprio prodotto con la certificazione ?biologico? erano poco più di 200 aziende (il 3% di quelle notificate), mentre la quasi totalità continuava a vendere il prodotto come convenzionale.

Una conclusione
Abbiamo qualche dubbio sul fatto che si possa basare la futura fortuna del settore sui premi rapportati agli ettari coltivati. Misure di questo tenore, utilissime per integrare il reddito di aziende in difficoltà, sono neutre rispetto agli obiettivi del miglioramento della competitività aziendale e della valorizzazione e tutela delle produzioni di qualità.

Se solo metà dei miliardi di euro erogati in Italia per le misure agroambientali fosse stata investita in informazione ai consumatori, introduzione effettiva dei prodotti biologici nella ristorazione collettiva, miglioramento dell?assistenza tecnica, ricerca e sviluppo, forse non avremmo avuto 20mila aziende biologiche notificate in più in soli tre anni. Ma non servirebbe neppure chiedersi perché ora abbiamo 20mila aziende notificate biologiche in meno in soli tre anni.

Roberto Pinton è Fondatore di greenplanet.it

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