Welfare
65 ore a settimana?le coop dicono no
Dibattiti Una direttiva comunitaria vuol farci lavorare di più
di Redazione

Era solo la fine degli anni 90 e sembra un secolo. In Francia si approvavano le 35 ore settimanali; da noi cadeva un governo, il primo Prodi (ottobre 1998)… In pochi anni è trascorso un millennio: oggi l’Europa va esattamente nella direzione contraria, come testimonia una direttiva appena approvata dalla Ue, secondo la quale si potrà derogare dallo standard di 48 ore e allungare la durata massima del tempo lavorativo fino a 60-65 ore settimanali (ma solamente se il dipendente sarà d’accordo). Ovviamente ciascun governo (e tutti i grandi Paesi si sono dichiarati favorevoli, Italia inclusa) dovrà recepire la direttiva che regola anche la reperibilità e il cosiddetto “tempo inattivo” (quello in cui il lavoratore è a disposizione).
La decisione ha riportato alla ribalta il contratto individuale e suscitato non poche perplessità (e il tempo per la famiglia? e l’assenza dei padri?).
Ma quali cambiamenti potrebbe introdurre nel terzo settore e in particolare nella cooperazione sociale? «In realtà», spiega Giacomo Libardi, consigliere del gruppo cooperativo Cgm, «alcuni istituti nel nostro mondo sono già regolamentati attraverso forme di indennità forfettaria. Per esempio la guardia passiva, in cui si è a disposizione e magari alla fine del turno non si è nemmeno intervenuti. Indennità di disagio è prevista anche per chi lavora nei gruppi appartamento. Quindi non sarebbe una rivoluzione».
Differente il discorso se l’ipotesi di allungamento dell’orario settimanale diventasse realtà. «Non avrei pregiudiziali ideologiche», commenta Paola Menetti, presidente di Legacoopsociali, «in generale sono favorevole a forme di flessibilità, ma sono anche convinta che si dovrebbe vedere caso per caso. Prendiamo un esempio concreto, quello di un operatore in una residenza sanitaria per anziani gravi e non autosufficienti. Siamo sicuri che potrebbe assicurare un servizio qualitativamente ineccepibile per 12 ore e non vedere appannata la sua capacità di concentrazione e di reazione?».
Diversamente motivato il parere di Libardi: «Nella cooperazione sociale è molto alto il ricorso a contratti part time e questo ovviamente limita l’efficacia dell’allungamento. Detto questo, lavorare qualche ora in più non sarebbe un dramma, ci allineeremmo alla media europea».
Sarebbe un modo, nota qualche osservatore, di aumentare i non esaltanti stipendi dei cooperatori, ma è un ragionamento che non fa una particolare presa: «Sarebbe un modo assai discutibile per affrontare la questione, che pure esiste», ribatte Menetti, «non servirebbe nemmeno per incrementare la produttività. Senza contare che la contrattazione individuale comunque la si giri, finisce con il mettere sullo stesso piano due soggetti che non hanno lo stesso potere contrattuale. Si riduce la tutela della parte obiettivamente più debole, che è il lavoratore».
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