Per i tossicodipendenti misure alternative
Sono sempre meno le misure alternative per i detenuti tossicodipendenti, eppure ci sono comunità che sarebbero disposte ad accoglierli dando così una mano a svuotare un po’ le carceri sovraffollate, come sostiene Cecco Bellosi, che di comunità ne coordina quattro: «Molti detenuti vogliono entrare in comunità solo per “scavallarsi” il carcere, si dice. A me sembra una buona e sana motivazione, che può evolvere verso lo svolgimento di un programma comunitario efficace. Accogliere i detenuti in comunità non solo può avere un esito positivo, può anche accompagnare queste persone al reinserimento sociale. Con il nostro piccolo secchiello, svuotiamo il carcere di 60 – 70 persone all’anno: se lo facessero con questa intensità altre 50 comunità, si potrebbero accogliere 3mila persone; se lo facessero in cento, si arriverebbe alla rispettabile cifra di 6mila – 7mila persone. Uomini e donne sottratti all’accanimento reclusorio di questi tempi».
Che succede in carcere? Ci vuole un’indagine
«Perché non estendere le indagini conoscitive a tutto ciò che accade nelle carceri italiane?». Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, sindacato della Polizia penitenziaria, pone questa domanda a partire dalla vicenda di Stefano Cucchi, morto per cause “oscure” sei giorni dopo l’arresto per droga, per sottolineare che «è necessario fare chiarezza sul caso, soprattutto quando in gioco c’è un’istituzione sacra come quella del carcere, e c’è in ballo la vita di chi entra in quelle strutture penitenziarie. La nostra non vuole essere solo una levata di scudi a protezione della categoria, deprechiamo qualsiasi evento che non faccia altro che ingigantire quell’alone di mistero che ruota intorno a un’altrettanto autorevole istituzione come quella del poliziotto penitenziario».
Piano carceri: e le risorse per il personale?
Si parla di piano carceri, con un costo previsto di più di un miliardo di euro, e poi capita di leggere la protesta di 39 psicologi vincitori di concorso al ministero della Giustizia che si vedono negare, dopo più di tre anni dalla fine del concorso stesso, l’assunzione, nonostante nelle carceri di psicologi ci sia enorme bisogno.
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