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Matteo Lancini

«Figlio mio, hai delle domande sulla guerra?»

di Sabina Pignataro

Matteo Lancini (Minotauro): «Non raccontate favoline iper-rassicuranti, né bugie. Piuttosto ponete domande. Ad esempio: “C’è qualcosa che vuoi dirmi? Io sono qui ad ascoltarti e se posso ti risponderò”». E poi, «la trama emotiva delle vostre parole, la disponibilità al confronto sono più importanti del contenuto che veicolerete»

«Non raccontate favoline iper-rassicuranti, né bugie. I bambini hanno bisogno di verità, anche se hanno tre, cinque o otto anni. Ma non fate conferenze stampa. La trama emotiva delle vostre parole, la disponibilità all’ascolto, al confronto sono di gran lunga più importanti del contenuto che veicolerete». E’ questo il consiglio più importante che Matteo Lancini, Minotauro di Milano, docente di psicologia all’Università degli Studi di Milano Bicocca, si sente di dare ai molti genitori che oggi si stanno domandando come parlare del conflitto in corso in Ucraina.

Professore, che cosa significa “non fate conferenze stampa”?
Le conferenza stampa sono quando i genitori convocano i figli con l’intento di spiegare loro quello che sta accadendo, dove sta accadendo, quali sono le motivazioni all’origine di un avvenimento, le conseguenze etc.

E allora come si può avviare una riflessione?
Penso che il compito di un genitore sia quello di aprire finestre dove ci sono muri. Per iniziare un dialogo io suggerirei di fare in questo modo: “Hai sentito, c’è la guerra in Ucraina. C’è qualcosa che vuoi chiedermi? C’è qualcosa che vuoi dirmi? Fammi domande. Io sono qui ad ascoltarti e se posso, come posso, ti risponderò”.

Sembra facile, ma alcuni genitori potrebbero spavantarsi, sentirsi inadeguati davanti all’infinito che si spalanca
Questo lo capisco. Ma se un bambino pone una domanda, è il momento giusto perché quella domanda trovi risposta. Il pericolo più grande è quello di generare dei veri e propri tabu derivati da domande eluse, che ricevono solo silenzi o risposte a metà.
E’ importante che una madre, un padre, una figura di riferimento non invadano il proprio figlio di risposte e di parole, ma si attengano alle loro domande. Che saranno diverse a seconda dell’età del bambino, del suo sviluppo cognitivo, delle conoscenze con cui è venuto in contatto attraverso la sua esperienza personale, famigliare, culturale e sociale. Non serve dire di più. Serve dire il giusto. L’autenticità delle parole e disponibilità ad accogliere le loro domande sono gli elementi più importanti: sono ciò che loro si ricorderanno.

Potrebbe fare un esempio?
Dire ad un figlio “non ti preoccupare”, mentre si ha il volto cupo è controproducente. Trasmette incoerenza. Meglio essere onesti con le proprie emozioni. Anche qui, senza eccedere. Cioè senza trasferire la propria angoscia sul bambino, senza farlo diventare la propria discarica emotiva. Attenzione comunque ad una cosa: non serve nemmeno indugiare sul piano logico, formulando risposte scientifiche, complicate, estese. Cioè non serve evidenziare che Kiev dista più di 2mila km da Roma e che la guerra, oggi, è lontana. Inoltre, meglio non lanciarsi in previsioni tipo “vedrai da noi non arriverà”. Meglio rassicurare, rimanendo nel qui ed ora. I bambini vivono nel presente.

E’ indicato fare insieme ai figli dei lavoretti, un disegno, una lettura?
Ancora una volta io suggerirei di partire dal desiderio del bambino. Senza imporre un’attività. Entrambe queste possibilità vanno bene. Ad un patto: l’attività non deve sostituire o togliere spazio alla riflessione. Non deve ammutolire il pensiero.

I social in questi giorni sono invasi della foto di bambini che fanno striscioni a scuola, che colorano bandiere della pace, che leggono poesie e libri. Cosa ne pensa?
Molti maestri ed educatori hanno ben chiara la loro funzione educante e sono consapevoli delle potenzialità di una riflessione che nasce da posizioni plurime, eterogenee, collettive. Questa è sicuramente una ricchezza. Quando i figli tornano a casa i genitori possono proseguire la riflessione domandando loro: “cosa avete detto a scuola a proposito della guerra? C’è qualcosa che vuoi chiedermi?”. Come dicevo: meglio partire dalle domande.


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