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Carlo Mazzola: «Cari donatori, vi porto a scuola di filantropia»

L’imprenditore e manager, che oggi dedica gran parte del suo tempo alla fondazione di famiglia dedicata a progetti di sport e inclusività, vuole convincere altre persone con grandi disponibilità finanziarie a creare proprie attività a scopo sociale. E racconta dell’innovativo progetto per costruire una mappa dell’accessibilità in Italia grazie (anche) all’intelligenza artificiale

di Nicola Varcasia

Entusiasmo, spinta ad innovare il metodo della filantropia in Italia e allargarne il perimetro. Questo è il programma di lavoro di Carlo Mazzola, presidente dell’omonima fondazione di famiglia che finanzia lo sport inclusivo. Cinque anni fa Mazzola ha scelto di cominciare a ridurre l’impegno diretto nelle attività imprenditoriali di famiglia, presente nel settore finanziario e immobiliare, per dedicarsi a una nuova missione: «Fare il presidente della Fondazione è un lavoro meraviglioso che oggi occupa circa metà del mio tempo e in prospettiva ancora di più, ovunque ti attivi puoi aiutare delle persone».

Mazzola, ci racconti il suo inizio.

Qualche anno fa, con la mia famiglia e i miei figli abbiamo maturato l’idea di restituire a persone meno fortunate di noi una parte di risorse. È stato un punto in continuum con la vicinanza che abbiamo sempre avuto con i soggetti fragili dell’economia. Inoltre, siamo una famiglia di sportivi e il legame con un nostro zio, Piergiorgio, tetraplegico, mancato diversi anni fa, ci ha dato l’aggancio al mondo della disabilità: è stato dunque abbastanza naturale unire il mondo delle persone con fragilità con quello dello sport.

Quali sono state le prime scelte?

La prima è stata di tipo organizzativo, ci siamo dotati di un segretario generale esterno alla nostra famiglia (Simone Castello, ndr). Volevamo evitare che la fondazione rappresentasse semplicemente un’emanazione familiare, ma avesse a bordo dei professionisti del settore. Perché il nostro obiettivo è stato fin da subito quello di concretizzare iniziative innovative e nello stesso tempo più rischiose delle altre.

In che senso?

Crediamo che le fondazioni possano e debbano correre dei rischi che altri soggetti istituzionali non possono permettersi. Anche se i nostri progetti non dovessero produrre risultati immediati o addirittura fallire per noi sono comunque utili perché crediamo che potranno essere da apripista per altre iniziative più grandi, magari scalabili da altre fondazioni. La logica della filantropia non può essere uguale a quella di altri ambiti.

Ci può fare un esempio?

Oggi una persona che cerca luoghi o percorsi accessibili deve fare una sorta di caccia al tesoro. Noi abbiamo deciso di impegnare risorse, sia economiche sia organizzative, proprio con l’obiettivo di rendere più accessibile l’Italia. A partire da un progetto pilota chiamato “Sentieri per tutti”, stiamo cercando di mettere insieme altri soggetti in un progetto più ampio in cui l’intelligenza artificiale ci aiuterà a raccogliere in modo sistematico e oggettivo le informazioni sui vari percorsi – sportivi, urbani, culturali – per poter centralizzare l’informazione. Se non dovesse funzionare, sarà sì un investimento che potrebbe non aver dato un risultato diretto, ma sarà un’esperienza importante rispetto all’utilizzo di tecniche innovative, al coinvolgimento del territorio e alla possibilità di “reimpacchettare” le informazioni raccolte per nuove iniziative.

Siamo lontani dalla logica del “progettificio” a cui si costringono molti enti alla ricerca di fondi.

La nostra è una fondazione sostanzialmente erogativa e abbiamo riflettuto a fondo sulle modalità con cui sostenere associazioni, iniziative e progetti. In un percorso di conoscenza reciproca e di maturazione della fiducia, noi valutiamo forme di grant in modalità unrestricted nei confronti dei nostri beneficiari. Spesso il rapporto tra donatore e beneficiario è legato a una progettualità specifica. A noi piace individuare soggetti a cui, a partire da un iniziale sostegno, poter erogare delle somme in modo che siano loro stessi a decidere in autonomia quale sia il modo migliore per raggiungere l’obiettivo. Parliamo ovviamente di associazioni si muovono nell’ambito dell’accessibilità e dello sport, per rendere accessibile l’offerta sportiva.

Quale sono le altre vostre modalità di intervento?

Rientra nelle nostre corde anche l’idea di investire in realtà sociali che portano avanti obiettivi di sport inclusivo, con una partecipazione diretta in una forma societaria di capitali, senza necessariamente dover finanziare un singolo finanziamento o progetto.

A quali altri progetti state lavorando?

Siamo partiti dalla montagna ma, come usiamo dire, siamo scesi di quota puntando anche su iniziative diverse, tra le quali l’arrampicata inclusiva. In generale, vorremmo realizzare progetti con altri partner per aumentare l’offerta di strutture legate al mondo della disabilità e lo sport, in cui la pratica sportiva è una parte importante, ma non necessariamente l’unica. Per il triennio 2023-25 destineremo due milioni di euro alle nuove iniziative, cifra che speriamo di poter aumentare.

Per voi è importante fare rete?

Questo aspetto è fondamentale. Siamo tra i fondatori dello Sport 4 inclusion network, con l’idea di creare un movimento di fondazioni che vedono lo sport come uno strumento per migliorare la qualità della vita delle persone. Muoversi insieme in questo campo è utile anche per proporsi come un interlocutore unico nei confronti delle istituzioni. Non è sempre così facile fare attività filantropica ed erogativa sotto vari fronti.

Perché?

Convincere le persone che hanno un’alta disponibilità finanziaria ad avvicinarsi al terzo settore e a diventare filantropi è molto difficile. Molti non riescono ad avere il tempo o l’occasione per dedicarsi con impegno e risorse ad un ambito di natura sociale. Nei prossimi due o tre anni vorrei lavorare su questo tema e immagino una sorta di scuola per filantropi: ci sono tante risorse finanziarie e tanti potenziali donatori, bisogna creare nuove occasioni di ingaggio perché queste persone si attivino. Per me è stato un percorso quasi naturale, vorrei lo diventasse anche per altri.

Quale altro obiettivo si pone la Fondazione Mazzola?

Diventare polo di attrazione per i talenti del Terzo settore. Far sì che i giovani con idee innovative e valide legate alla disabilità e allo sport possano proporcele per essere sostenute da parte nostra in un’ottica di venture philantropist. È difficile attrarre talenti dove non ci sono risorse disponibili, noi vorremmo dare un contributo in questa direzione.

PS: Anche di questa interessante prospettiva parleremo nella diretta Facebook e Linkedin di venerdì 21 aprile alle ore 11, a partire dal nuovo numero di VITA dedicato proprio alla filantropia di impresa.

Foto in apertura di Clay Banks su Unsplash


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