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Stati vegetativi, inaccettabile disparità di cure fra regioni

In occasione della IXI Giornata nazionale del Trauma cranico la neurologa Anna Estraneo interviene al convegno napoletano Percorsi sanitari e socio-sanitari regionali di presa in carico delle persone con disordini della coscienza. «L’alleanza terapeutica medico-familiare garantisce la continuità delle cure durante i ricoveri e verso il ritorno a casa dei pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza»

di Redazione

«L’alleanza terapeutica medico-familiare garantisce la continuità delle cure durante i ricoveri e verso il ritorno a casa dei pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza». A dirlo è la neurologa Anna Estraneo, dell’Irccs Telese della Maugeri, referente scientifica del convegno napoletano Percorsi sanitari e socio-sanitari regionali di presa in carico delle persone con disordini della coscienza, organizzato dalla stessa Maugeri, dalla Regione Campania con il Dipartimento di Neuroscienze della Federico II e quello di Psicologia dell’Università Vanvitelli della Campania, in occasione della XIX Giornata del Trauma cranico.

«Dopo l’ospedalizzazione i familiari si trovano ad affrontare un pesante carico emotivo, organizzativo, economico e assistenziale, che spesso determina un forte stress psicologico», ha proseguito Estraneo. «I parenti infatti, si prendono cura di un loro caro, che è vivo eppure non risponde a nessuno stimolo; questa sorta di “lutto paradosso” porta ad una condizione di cronica sofferenza».

«In questo quadro le istituzioni regionali possono fare molto, in modo che la collaborazione fra tutte le figure coinvolte nel percorso di cura e nella gestione delle risorse umane ed economiche, possano rispondere, sempre più efficacemente, alle necessità dei pazienti e dei loro familiari. È necessario», ha aggiunto Estrano (nella foto), «garantire a tutti l’assistenza più adeguata, e possibilmente armonizzare le legislazioni regionali e nazionale. Anche perché la disparità di mezzi e di sostegni è sempre difficile da accettare nei familiari dei malati, ma comprensibilmente lo è ancor di più in contesti come questi, che accompagnano drammaticamente il paziente per tutta la vita».

La neurologa, che coordina all’Irccs di Telese il Laboratorio di valutazione multimodale dei disordini della coscienza, ha poi ricordato che «alla ricerca scientifica, poi, compete un ruolo diverso ma assai importante. Il mondo scientifico produce grandi sforzi per identificare le procedure diagnostiche che possono distinguere accuratamente chi è in stato vegetativo – e quindi vigile ma senza alcuna consapevolezza di sé e dell’ambiente – da chi ha iniziato a presentare segni minimi di coscienza».

La stima dei pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza è di 4.500 casi in tutta Italia. «Sono purtroppo cifre non aggiornate e che, essendo basate sulle schede di dimissione ospedaliera, non possono classificare chi ha recuperato minime ma incostanti risposte coscienti, ossia i pazienti in cosiddetto “stato di minima coscienza”. In ogni caso si tratta di uomini e donne di tutte le età, spesso giovani, a volte bambini che, dopo una grave lesione del cervello, rimangono vive ma non coscienti né in grado di muoversi o comunicare con gli altri».

In apertura photo by Stephen Leonardi on Unsplash