Progettazione
Terzo settore e Pubblica amministrazione: progettare cultura, al di là dei bandi
«Come possono le amministrazioni pubbliche e organizzazioni di terzo settore co-disegnare le politiche pubbliche che servono a costruire, curare e rafforzare le nostre comunità?». A questa domanda risponde la riflessione di Rossella Vigneri, Responsabile Sviluppo Associativo Arci. «Significa rinunciare all’approccio bando, ridurre gli eccessi di tecnicismo e professionalismo e mettersi in relazione con il territorio, tornando a essere prossimi alle persone»
«Come possono le amministrazioni pubbliche e organizzazioni di terzo settore co-disegnare le politiche pubbliche che servono a costruire, curare e rafforzare le nostre comunità?». A questa domanda risponde la riflessione di Rossella Vigneri, Responsabile Sviluppo Associativo Arci. «Significa rinunciare all’approccio bando, ridurre gli eccessi di tecnicismo e professionalismo e mettersi in relazione con il territorio, tornando a essere prossimi alle persone»
L’amministrazione condivisa non è semplicemente una novità normativa introdotta dal Codice del Terzo Settore ma una rivoluzione copernicana che trasforma in modo radicale il rapporto tra soggetti pubblici e soggetti auto organizzati della società civile. Da controparti ad alleati e partner che mettono in comune “risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale”. Questa la sfida che ci lancia la storica sentenza n.131 del 2020: dare vita a un nuovo sistema di ruoli, responsabilità e relazioni tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni di terzo settore per co-disegnare, prima ancora che progetti e servizi, le politiche pubbliche che servono a costruire, curare e rafforzare le nostre comunità.
Per l’Arci – che le parole cura e rivoluzione le ha scelte come slogan della nuova campagna di tesseramento – la sfida è fare dell’amministrazione condivisa una scelta politica che metta al centro il benessere delle persone, la cura delle città e delle relazioni, sperimentando le pratiche collaborative anche in ambiti ancora oggi poco esplorati, come la cultura, secondo chiavi di lettura intersettoriali e multidisciplinari. L’appuntamento di Strati della Cultura, storica iniziativa dell’Arci che quest’anno a Imola ha riunito oltre 200 persone – dirigenti Arci, ricercatori, realtà culturali e tanti circoli – è stata l’occasione per approfondire questi temi mettendo a confronto esperienze di amministratori e operatori (ospiti: Comune di Bologna, Anci Emilia-Romagna, Fondazione Fitzcarraldo e Arti Puglia) che ancor prima dell’introduzione del nuovo Codice del Terzo Settore hanno sperimentato percorsi di co-progettazione, in particolare nella gestione di spazi pubblici.
Oggi, che il quadro normativo e le procedure sono definite, diventa essenziale interrogarsi su come gli strumenti collaborativi possano essere un’opportunità e su come avviare processi di collaborazione efficaci ed efficienti che facciano la differenza nella vita delle persone ma anche nel lavoro quotidiano degli enti locali e di terzo settore. Ne sono emerse alcune tracce di lavoro da percorrere.
Oggi che il quadro normativo e le procedure sono definite, diventa essenziale interrogarsi su come gli strumenti collaborativi possano essere un’opportunità e su come avviare processi di collaborazione efficaci ed efficienti
Rossella Vigneri, Responsabile Sviluppo Associativo Arci
Costruire la collaborazione Dopo decenni di logiche competitive e in tempi di ristrettezze di risorse, costruire relazioni di fiducia tra Pubblica Amministarzione ed Enti del Terzo Settore e tra le stesse organizzazioni di terzo settore presuppone un profondo cambiamento culturale, serve guardare alle procedure “con testa e occhi nuovi”; significa ripensare a nuove metodologie di lavoro e di comunicazione condivise che hanno bisogno di tempo per sedimentare, di risorse e di tanta formazione congiunta.
Superare la logica del servizio
Che si tratti di co-progettare l’utilizzo di uno spazio pubblico abbandonato, utilizzando ad esempio lo strumento innovativo del partenariato speciale pubblico-privato, o la realizzazione di un centro culturale per adolescenti, è necessario superare la logica prestazionale che ha caratterizzato la progettazione di molti servizi in questi decenni. Se l’obiettivo è prendersi cura delle persone non possiamo agire per interventi standardizzati perché i bisogni delle persone non lo sono.
Per le amministrazioni così come per il terzo settore significa rinunciare all’approccio bando, ridurre gli eccessi di tecnicismo e professionalismo e mettersi in relazione con il territorio, tornando a essere prossimi alle persone.
Per le amministrazioni così come per il terzo settore significa rinunciare all’approccio bando, ridurre gli eccessi di tecnicismo e professionalismo e mettersi in relazione con il territorio, tornando a essere prossimi alle persone
Rossella Vigneri, Responsabile Sviluppo Associativo Arci
In questo senso, la valutazione di impatto sociale diventa uno strumento prezioso per misurare l’efficacia delle nostre azioni, anche in corso d’opera. Così come la possibilità (ancora poco esplorata) per gli enti di terzo settore, di presentare dal basso proposte di co-progettazione e co-programmazione che non devono essere necessariamente strumenti a trazione pubblica.
Agire in chiave intersettoriale Se guardiamo ai bisogni come sistemi complessi, non possiamo più agire per compartimenti stagni: i bisogni di un adolescente in dispersione scolastica non possono essere concepiti in modo indipendente dal suo bisogno di spazi di socialità, cultura e relazione, dal suo diritto di abitare la città. La grande sfida delle associazioni e delle realtà che si occupano di cultura è quella di intrecciare il proprio lavoro con quello delle Aziende Sanitarie, delle scuole, delle grandi istituzioni culturali insieme alle cooperative che si occupano di inserimento lavorativo per programmare politiche e progettare interventi di qualità.
Costruire processi inclusivi
Coinvolgimento dei destinatari Non possiamo dare per scontato di conoscere le persone e le loro istanze solo perché lavoriamo nel sociale. Se si vuole davvero innovare il nostro sistema di welfare, è fondamentale che gli enti di terzo settore includano nei percorsi di co-programmazione e co-progettazione i destinatari degli interventi.
Chi sta nei tavoli Gli strumenti dell’amministrazione condivisa devono poter essere accessibili, nelle forme previste dalle nuove normative, anche agli enti più piccoli o poco strutturati che possono dare un contributo in termini di idee, istanze, proposte, in un’ottica di rafforzamento della leadership degli enti di terzo settore.
Attivare alleanze Agire in modo innovativo significa avviare procedimenti che attivino nuove alleanze con fondazioni, imprese, università e tutti i soggetti che sono parte di quello che Luciano Gallo di ANCI Emilia-Romagna ha definito “l’ecosistemadell’amministrazione condivisa”.
L’amministrazione condivisa è una scelta politica
Le pratiche collaborative non sono solo un espediente tecnico da gestire dal punto di vista organizzativo e burocratico ma una scelta politica che le amministrazioni pubbliche devono assumersi. Dotarsi di regolamenti che normano i rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e Terzo Settore, come è accaduto già in diversi Comuni, è già un fatto importante che andrebbe replicato. Guardando alla dimensione nazionale, un’ultima considerazione: costruire un welfare collaborativo non significa un minore impegno da parte del pubblico ma, anzi, implica un forte investimento in termini di risorse e soprattutto di visione: per affrontare le disuguaglianze e i divari che attraversano il nostro paese serve innanzitutto un forte senso di responsabilità di tutti gli attori in gioco, pubblici e privati, e scelte di rottura.
Foto in apertura, Arci Milano (qui)
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