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La frutta d’oro di Ramallah

E' uno dei tanti paradossi della situazione palestinese. Ciò che viene coltivato a Gaza non può essere portato fuori (di Paolo Manzo e Joshua Massarenti).

di Paolo Manzo

Nel curriculum ha una serie impressionante di collaborazioni con le massime agenzie internazionali, fra cui Unctad, Undp, Unido e Ilo: professore emerito di econometria presso la Waterloo University in Canada, Fadle Nadiq è considerato il massimo esperto di questioni socio-economiche nei territori occupati. Dall?Al-Hajal Hotel di Ramallah, dove sta conducendo una ricerca finanziata da Unctad, Ilo e Palestinian Istitute of Economic Research per costruire un modello matematico attraverso il quale ottimizzare la gestione degli aiuti internazionale destinati all?economia palestinese, il ?professore? – come lo chiamano tutti in Medio Oriente – traccia in esclusiva per Vita il quadro, complesso quanto drammatico, della realtà della sua terra.
Vita: Professor Naqib, qual è la situazione economico-sociale della Palestina?
Fadle Naqib: Dall?inizio della seconda Intifada e del conflitto con Israele, drammatica. A causa delle punizioni collettive e della politica di chiusura di Tel Aviv, sia all?interno dei Territori occupati che verso l?esterno. Questo accerchiamento ha posto molte restrizioni sulla mobilità di beni e persone e, oggi, il tasso di disoccupazione ha superato il 30%. Nel 1999 era inferiore al 10%. Al crollo dell?occupazione ha fatto seguito una brusca diminuzione delle entrate e l?esplosione di una povertà ramificata. Oggi il 70% delle famiglie vive sotto la soglia della povertà, che in Palestina significa avere meno di 2,4 dollari pro capite al giorno.
Vita: Quali fattori incidono più negativamente sul tessuto socio-economico dei Territori?
Naqib: Le politiche restrittive del governo israeliano. Prendiamo ad esempio l?acqua, risorsa vitale e strategica per i palestinesi. Tuttora Israele non consente agli abitanti della West Bank di usare più del 15% dell?acqua originata dalla stessa West Bank. Il resto è usato dagli insediamenti dei coloni o trasportato in Israele. Questo è un problema che esiste dall?inizio dell?occupazione.
Vita: E poi il Muro?
Naqib: Che ha ulteriormente frammentato l?economia palestinese, più di quanto non lo fosse già prima. Circa 200mila persone sono state separate dalle loro terre e dalle loro fonti di reddito.
Vita: Quali sono i problemi principali da risolvere nel prossimo futuro?
Naqib: Molti. Oggi l?Anp non può commercializzare merci e prodotti, né col resto del mondo, né tra le città palestinesi, perché tutti i confini sono sotto stretto controllo israeliano.
Vita: Le aree più colpite, a suo avviso?
Naqib: Jenin, Tulkarem e Nablus, la parte nord della West Bank e Gaza, diventata un?immensa prigione a cielo aperto. Sono più isolate delle altre. Nablus è quasi sempre accerchiata dai soldati israeliani. La carenza di prodotti è ormai strutturale. Se lei va in un hotel, al mattino quando fa colazione, il formaggio, il miele o la marmellata che mangia, persino l?acqua che beve, arrivano da Israele. E non è un caso se, per la prima volta, in alcune aree sono apparsi casi di malnutrizione.
Vita: E le conseguenze sui prezzi?
Naqib: Il prezzo dei mezzi di trasporto e dei prodotti alimentari è cresciuto tantissimo. Ma ancora una volta, l?aumento non è uniforme. Molto dipende dal luogo. Qui a Ramallah, per esempio, il prezzo dei pomodori è quattro volte superiore di quello a Gaza. Questo perché è impossibile importare qui i prodotti della Striscia. A volte si sfiora l?assurdo.
Vita: In che modo i palestinesi hanno affrontato le politiche di Israele?
Naqib: In vari modi. Molte persone che hanno perso il lavoro nell?industria o nell?edilizia si sono buttati sull?agricoltura e sul piccolo commercio. Sono circa 20-25mila i lavoratori che hanno perso il loro posto di lavoro nell?industria e molti di loro lavoravano in Israele. L?Anp è diventata nel corso degli anni il più grande fornitore di posti di lavoro della Palestina: ci sono 130mila impiegati statali nel nostro Paese, che a loro volta devono mantenere centinaia di migliaia di palestinesi. Il reddito di questi dipendenti pubblici è rimasto sostanzialmente invariato, perché la maggioranza degli aiuti della Comunità internazionale non è destinata allo sviluppo socio-economico della Palestina, ma all?amministrazione palestinese che, a sua volta, deve pagare i propri dipendenti. La povertà, comunque, non colpisce tutto il territorio palestinese. A Ramallah, per esempio, la situazione è nettamente migliore rispetto a Nablus, Jenin, Tulkarem e Gaza.
Vita: Quali sono le conseguenze della crisi sul piano dell?istruzione?
Naqib: Ci sono 50-60 alunni in ogni classe ma, anche qui, la situazione varia da zona a zona e, in alcune aree, gli studenti non possono più recarsi a scuola o all?università. In questi giorni parlavo con un mio collega di Gerusalemme Est che è costretto a organizzare gli esami in quattro posti diversi, perché i suoi studenti non possono raggiungere l?università. E in alcuni casi, addirittura, deve fare gli esami per telefono?
Vita: Su quali settori economici palestinesi e comunità internazionale dovrebbero investire per superare questa crisi?
Naqib: Su agricoltura e piccola industria. Finora i palestinesi hanno investito parecchio in infrastrutture ma, purtroppo, in un conflitto come il nostro dove i soldati israeliani distruggono in pochi secondi edifici nuovi di zecca, le infrastrutture rappresentano una voce quasi controproducente per l?economia. Pensate all?aeroporto di Gaza, inaugurato nel 98 in pompa magna e distrutto, in pochi giorni, nel febbraio 2001. Questo genere di vandalismi sono meno frequenti in agricoltura, perché le terre sono indispensabili a tutti, israeliani e palestinesi. Ma anche in questo settore le cose non sono semplici. Pensi alla coltura delle olive, l?attività traino della nostra agricoltura: ogni anno ne produciamo oltre 35mila tonnellate, 16mila delle quali destinate al consumo interno e il resto per l?export. Che però è impossibile fare. Altro settore su cui i palestinesi devono investire è la piccola industria, l?unico settore in crescita negli ultimi anni: non richiede grandi investimenti, è flessibile e garantisce molti posti di lavoro.

Paolo Manzo
Joshua Massarenti

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