Istruzione e ricerca

Choose Europe: così Bruxelles tende la mano ai ricercatori minacciati da Trump

La guerra del presidente americano contro le università, accusate di "woke culture" e di non aver gestito adeguatamente le proteste pro-Palestina, spinge gli scienziati a cercare alternative. L'Unione europea è pronta ad accoglierli

di Francesco Crippa

L’Europa si prepara ad accogliere l’annunciato esodo di ricercatori universitari in uscita dagli Stati Uniti. O, almeno, questo è l’obiettivo di Ursula von der Leyen: sfruttare la guerra in corso tra Donald Trump e gli atenei americani per attirare cervelli. «L’Europa è aperta ai migliori e i più brillanti», ha detto la presidente della Commissione europea il 29 aprile a Valencia durante il congresso del Partito popolare europeo. «Vogliamo che scienziati e ricercatori di tutto il mondo facciano dell’Europa la loro casa».

Il piano di von der Leyen: fare di Bruxelles la nuova città della scienza

La strategia di von der Leyen per fare del Vecchio Conteninte la nuova «patria dell’innovazione» ha un nome: “Choose Europe“. È questo il titolo scelto per il programma pilota approntato dalla Commissione nell’ambito del progetto Horizon Europe, il quadro di riferimento per ricerca e innovazione con un budget di circa 95 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Stando alle informazioni trapelate finora, per “Choose Europe” dovrebbero essere stanziati 22,5 milioni di euro che verranno impiegati per creare posti di ricerca finanziando borse di studi e progetti.

L’attivazione di un programma ad hoc per attirare cervelli da tutto il mondo e, contestualmente, combattere la precarietà di chi lavora nel mondo della ricerca era stato proposto nel 2024 in un rapporto dal gruppo di esperti indipendenti istituito da Bruxelles e presieduto dall’ex ministro portoghese della Scienza, Tecnologia e Istruzione Manuel Heitor. Ora, con Trump che dall’altra parte dell’Atlantico tiene in ostaggio le università minacciando fondi, ecco che il momento sembra farsi propizio. «I dibattiti controversi nelle nostre università sono benvenuti», ha detto von der Leyen a Valencia. «Consideriamo fondamentale la libertà della scienza e della ricerca, non solo perché è un valore fondamentale per noi, ma anche perché è così che prosperano l’eccellenza e l’innovazione».

Lo scontro tra la Casa Bianca e le università americane

A spingere Trump allo scontro con gli atenei (specie quelli privati) è l’idea secondo cui questi siano troppo schierati a sinistra e l’accusa di contribuire ad alimentare la cultura woke. Il pretesto utilizzato per colpirle, però, è il loro ruolo nella gestione delle proteste contro Israele e la guerra a Gaza della scorsa primavera. A febbraio, l’amministrazione ha creato una «task force contro l’antisemitismo» all’interno del dipartimento per l’Istruzione con il compito di indagare come gli atenei hanno risposto alle occupazioni degli studenti e ai casi di aggressioni razziste che si sono verificati. Qualora la task force dovesse valutare che un’università non aveva preso provvedimenti sufficientemente decisi contro questi episodi, ecco che potrebbero cominciare i problemi.

Trump, oltre a chiedere lo smantellamento degli accampamenti pro-Palestina all’interno dei campus, vorrebbe avere voce in capitolo nell’approvazione dei programmi didattici, rivedere i criteri di ammissione di studenti, docenti e ricercatori anche in base alle loro opinioni politiche e cancellare tutti i programmi dedicati alla diversità e all’inclusione. A chi non si piega vengono tagliati i fondi. Bersaglio simbolo è Harvard, cui sono stati già tolti più di due miliardi di dollari, seguita Columbia, Brown, Northwestern, Pennsylvania, Princeton. Nel mirino ci sono però anche altre prestigiose università, come Berkley e la John Hopkins, ma la lista è probabilmente destinata ad aumentare. 

In tutto questo, il mondo accademico non se ne sta lì a subire passivamente l’offensiva trumpiana. Negli scorsi giorni i rettori di oltre cento atenei hanno firmato una lettera in cui si condanna «l’invasione governativa senza precedenti e l’interferenza politica» in corso. «Siamo aperti a riforme costruttive e non ci opponiamo a un legittimo controllo governativo. Tuttavia, dobbiamo opporci a indebite ingerenze governative nelle vite di chi studia, vive e lavora nei nostri campus», si legge nel testo.

Gli scienziati pronti a cambiare aria sono sempre di più

Dal canto loro, ricercatori e scienziati stanno iniziando a guardare fuori dagli Usa per continuare la loro carriera. Secondo un sondaggio condotto al suo interno dalla National Postdoctoral Association, il 44% degli intervistati pensa che la propria posizione sia minacciata. Non a caso, un’indagine della rivista Nature (una delle più autorevoli testate scientifiche al mondo), ha rilevato che da gennaio a marzo sono aumentate del 32% rispetto all’anno prima le domande di lavoro all’estero da parte degli accademici.

Davanti a questo malessere transoceanico, l’Europa allarga le braccia. Prima ancora della Commissione Ue, sono stati gli atenei e i centri di ricerca continentali ad attivarsi per accogliere chi vuole fare (o vi è costretto) le valigie. L’università di Aix-Marsiglia, per esempio, ha lanciato Safe place for science, un’iniziativa rivolta a quei ricercatori licenziati o in altro modo ostacolati dalle politiche di Trump. Lo stesso Emmanuel Macron ha voluto mandare un messaggio: «Qui in Francia la ricerca è una priorità, l’innovazione una cultura, la scienza un orizzonte illimitato. Ricercatori di tutto il mondo, scegliete la Francia, scegliete l’Europa!», ha twittato nei giorni scorsi. In Germania, invece, la Max Planck society, ha attivato un Transatlantic program sia per attivare collaborazioni con istituti americani sia per creare nuovi posti di formazione e ricerca nelle proprie sedi. 

Credit foto/AP Photo/Charles Krupa)/Associated Press/LaPresse

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