L'altro credito

Banca Etica al voto, Messina: «Gestione opaca, così non funziona»

Il 17 maggio prossimo l’istituto di credito rinnova i suoi vertici. VITA ha intervistato i candidati presidenti delle due liste in corsa. L’uomo di punta di Restart propone un radicale cambiamento nella governance e rivolge pesanti critiche agli avversari, chiamando in causa possibili conflitti di interessi e arrivando a ritenere poco chiara la macchina elettorale

di Nicola Varcasia

Alessandro Messina va all’attacco. La lista autonoma Restart con la quale il manager si candida alla presidenza di Banca Etica alle elezioni del 17 maggio prossimo (si vota anche on line dal 7 maggio) ha presentato un programma di radicale cambiamento per la governance della banca, da cui è scaturito un dibattito senza esclusioni di colpi. VITA segue sempre con interesse le vicende di un istituto di credito unico nel suo genere, nato 26 anni fa dall’esigenza di dare credito al Terzo settore, per poi diventare, negli anni, un’organizzazione con i servizi tipici di una banca, ma con la caratteristica di utilizzare solo strumenti di finanza etica. Con questo spirito, il nostro giornale ha intervistato i due candidati presidenti e qui riportiamo i due dialoghi, ai quali ciascuno potrà eventualmente replicare. Il clima si è surriscaldato in una misura anche sorprendente. La riprova è l’accusa di Restart in cui si mette in dubbio la trasparenza della “competizione” elettorale. Le due conversazioni non possono che partire da qui.

Messina, perché mettete in dubbio la procedura di voto?

Sono dubbi che definirei “indotti”. Per una realtà che si fregia della parola “Etica” nel proprio nome e che ha la partecipazione dei soci nei suoi valori fondanti, ben al di là dell’essere cooperativa è difficile spiegarsi il rifiuto alla richiesta di presenza di due rappresentanti per ciascuna lista al controllo del processo elettorale e per garantire la conduzione imparziale dell’assemblea. Così come è difficile interpretare le risposte controintuitive a domande molto semplici, come la necessità per chi vuole votare per corrispondenza – presumibilmente per via del non accesso a strumenti digitali – di farne richiesta via email.

Cosa non accettate quindi?

Ci sorprende che le nostre richieste di presenza e confronto partecipato vengano rigettate con motivazioni burocratiche poco comprensibili, mentre la trasparenza e il buon senso suggerirebbero collaborazione nel nome dell’etica. Da qui i dubbi che riteniamo legittimi. La nostra proposta è sostenuta da un’ampia porzione di base sociale e da componenti storiche dei movimenti che hanno dato vita a Banca Etica. L’appello lanciato in questi giorni a nostro sostegno da alcuni di loro, da Padre Mario Menin a Luisa Morgantini, da Tonino Perna a Gaga Pignatelli, da Don Andrea La Regina a Luciana Castellina, ci rafforza nel ritenere che la strada di più trasparenza, più democrazia e più partecipazione siano ingredienti fondamentali per il futuro di Banca Etica.

Inevitabilmente, se ne parlerà ancora. Voi avete evidenziato una difficoltà nell’accesso al credito. Da dove nasce? È legata a un eccesso di prudenza o a quali altri fattori?

In una banca, il credito è il risultato finale di molteplici fattori. La prima questione è la capacità del Consiglio di amministrazione di esprimere delle politiche chiare e di trasmetterle a chi deve realizzarle.

Alessandro Messina, a sinistra e Aldo soldi in uno degli incontri promossi da Banca Etica.

Ma che appetito al rischio ha Banca Etica oggi per il credito rispetto alle famiglie, alle cooperative, alle imprese del Terzo settore o alle piccole imprese produttive? Tanto più questo lavoro di indirizzo è fatto bene, quanto più, dopo, si riescono a costruire processi, procedure e cataloghi per un’offerta commerciale chiara che permetta a chi opera sul territorio di essere veloce e di sviluppare il lavoro.

Che cosa non sta girando a vostro avviso?

Non essendo oggi all’interno della banca, non so quale sia il ganglo, ma è evidente che qualcosa non funziona. Noi abbiamo esperienza e competenza per entrare nella macchina organizzativa in due o tre mesi e così rimettere in moto la macchina in sei mesi. Abbiamo la determinazione strategica per farlo perché vediamo il problema, mentre dai confronti avuti fino ad ora abbiamo capito che per l’altra lista il problema non c’è.

Quali sono a vostro avviso i termini del problema?

Stiamo analizzando il bilancio 2024, pubblicato di recente e le previsioni per il 2025. Il rapporto tra impieghi e raccolta continua a scendere: siamo già sotto il 50%, in calo da due anni, e il 2025 sarà il terzo anno di discesa. Questo non è fisiologico e non fa bene né alla missione di finanza etica né alla sostenibilità imprenditoriale del progetto. Per una piccola banca, generare meno impieghi significa privarsi del fieno in cascina per quando arriveranno le cattive acque, ossia l’abbassamento dei tassi di interesse. Nel bilancio 2024, il margine di interesse è in forte calo rispetto all’anno precedente, mentre altre banche, incluse quelle assimilabili a Banca Etica come le banche di credito cooperativo, hanno registrato risultati molto positivi. Questo evidenzia una bassa capacità di fare credito e di generare margine sul credito erogato.

Lei però è stato direttore generale di Banca Etica. Come stavano le cose all’epoca?

Tengo a precisare che il ruolo di presidente, per il quale oggi mi candido, è molto diverso da quello di direttore generale. Noi teniamo a una chiara distinzione tra ruoli di indirizzo strategico – ancora più importanti in una banca a proprietà diffusa come Banca Etica – e ruoli esecutivi. È sempre un male quando vengono a coincidere. Chiarito questo, quando arrivai in Banca Etica, all’inizio del 2015, la situazione era simile a quella attuale, anzi, ancora più stagnante. Ci volle tempo per farla ripartire. Cambiare cultura, processi e motivare le persone non è mai immediato e tutti, umanamente, tendiamo a rifugiarci nella consuetudine.

È un rischio che evidentemente non riguarda la sola Banca Etica.

Seguendo i soli parametri di Banca d’Italia, si tende a non fare credito. Infatti, molte banche hanno smesso di erogarlo, soprattutto quello rivolto ai soggetti più “evanescenti” come il Terzo settore o le piccole imprese che, invece, sono proprio quelli che deve curare Banca Etica. È una corsa contro corrente in cui servono determinazione e capacità.

È naturale che l’inerzia tenda a prevalere e io credo che sia questa la fase in cui si trova la banca. Non penso ci sia un grande un “grande cattivo” che non vuole fare il credito, ma manca quella spinta e quella determinazione imprenditoriale necessaria in alcune fasi.

I toni, però, nel dibattito verso le elezioni si sono alzati. Nell’intervista doppia svolta sulla vostra testata di casa, Valori, lei ha accusato Aldo Soldi di un conflitto di interesse, ricevendo poi in risposta un rilievo analogo.

Bisogna guardare ai fatti e alla storia delle persone. Io oggi sono amministratore delegato di una piccola Sgr (Atlas, ndr). È chiaro che se diventassi presidente di Banca Etica, lascerei quel ruolo o comunque rivedrei le condizioni, e questo va fatto con senso di responsabilità nel rispetto di tutte le parti coinvolte e seguendo le regole precise della Banca d’Italia. Questo per chiarire che non c’è alcun conflitto di interesse. Mi sento di dire che è un tentativo maldestro di rispondere a un fatto che io ho evidenziato e, preciso, non è un’accusa ma una constatazione.

In che senso?

Aldo Soldi, è stato un alto dirigente nel mondo della Lega delle Cooperative per quasi 50 anni, ed è stato molto vicino a Unipol. Era Presidente di Unicoop Tirreno quando questa grande cooperativa di consumo ha affiancato Unipol nel tentativo di scalata a Bnl, che ha rappresentato uno dei più grandi casi critici bancari degli ultimi decenni che portò alle dimissioni del Governatore della Banca d’Italia. Quando presenta un programma di due pagine poco chiaro, parlando continuamente di “alleanze” – come ribadito negli incontri che abbiamo fatto – senza specificare con chi, mi sembra normale che chi conosce la sua storia possa farsi un’idea pensando “ci vuole portare là”. Magari è una strategia sensata, ma troverei corretto esplicitarla.

Nel vostro programma, ritenete che la partecipazione della base associativa sia scarsa e dunque vada rafforzata. Come, sinteticamente, pensate di favorirla?

La partecipazione non è un “must” ideologico, ma un requisito di successo. Il fatto che sia bassa sta togliendo potenziale. Certo, c’è una crisi di contesto sociale e c’è anche un problema generazionale. Però, se vogliamo mantenere la forma cooperativa occorre capire come risolvere questi problemi.

La nostra idea è che la partecipazione oggi non sia più soltanto quella delle riunioni e assemblee, ma un qualcosa che passa dall’ingaggio delle persone attraverso nuovi strumenti e processi e da nuove modalità di consultazione di decisione e di avvicinamento – nella trasparenza informativa – tra chi ha le responsabilità formalmente stabilite dall’assemblea e chi è uno stakeholder.

Ad esempio?

Nessuno vuole leggere i verbali del Consiglio di amministrazione, però, se il Cda intende comprare Impact Sgr, magari, desidera saperlo avendo anche la possibilità di esprimere un’opinione. Si potrebbero adottare modalità di consultazione innovative, come sondaggi a campione tra i soci o la creazione di comitati clienti, che noi riteniamo dovrebbero essere coinvolti di più. È paradossale che oggi tutte le grandi aziende capitalistiche coinvolgano i clienti e Banca Etica non faccia quasi nulla. Un cliente che non diventa socio rappresenta una sconfitta per Banca Etica. Per avvicinarlo, occorre ingaggiarlo e coinvolgerlo, dare le motivazioni per la scelta definitiva di associarsi. Allo stesso modo, è una sconfitta un socio non cliente, altro fenomeno diffuso. Anche in questo caso è importante riconoscere il problema, darsi obiettivi precisi, mettendo in campo le formule per cedere una parte di sovranità.

Che cosa significa cedere sovranità?

Non si partecipa per nulla. I processi devono essere costruiti in modo tale che “pezzi” di decisione arrivino in periferia, nei comitati tecnici o nei comitati dei soci, cioè laddove si è deciso che debbano arrivare. Poi c’è il grande tema della capacità di gestire un sistema di rappresentanza delegata. Per ogni cooperativa, il voto diretto in assemblea per ogni socio è un principio sacrosanto. Ma in 50mila questo sistema oggettivamente ha poco senso. Bisogna capire, nel rispetto del Codice civile e delle regole bancarie, come costruire un sistema di assemblee delegate e territoriali, che possano poi riportare una volontà all’assemblea generale. Questo favorirebbe la capacità di avere rappresentanze qualificate e non “autodichiarate”, superando l’attuale sistema di portatori di valore, che appare poco credibile e ritengo inadatto per una realtà come Banca Etica.

In che cosa consiste il ruolo dei “portatori di valore” che ad un osservatore esterno non è sempre comprensibile?

Come in tutte le società, i soci fondatori della banca avevano anche un ruolo di garanzia. Col tempo, questo ruolo si è evoluto e sono stati creati i “portatori di valore”. Alcuni di loro sono ancora soci fondatori, mentre altri, a nostro avviso, sono entrati in modo soggettivo e non rappresentativo, né in termini quantitativi né qualitativi. Ad esempio, io sono contento che Libera sia socio di riferimento, ma perché Antigone no? Perché Amnesty o Action Aid no? Insomma, questa storia dei portatori di valore, in una logica di voto crea delle distorsioni. Quando Aldo Soldi dice che la loro lista è sostenuta da tutti i portatori di valore, per essere in buona fede bisogna riconoscere che quanto meno sta dicendo una cosa sbagliata.  

Ci può riassumere il tema delle “banche armate”?

Ci sono soci che da 25 anni, cioè da quando è nata, sollevano il problema delle banche armate in Etica Sgr. La risposta che ricevono è sempre che ci si sta lavorando. Sarebbe più corretto dire che non viene più ritenuto un tema. Noi abbiamo deciso di rispondere proponendo soluzioni concrete e prendendoci la responsabilità delle implicazioni conseguenti.

Di quali numeri stiamo parlando?

Abbiamo calcolato che, negli ultimi 15 anni, saranno stati circa 26 i milioni di euro pagati in dividendi a queste banche. Non cifre enormi, né per loro e nemmeno per Banca Etica. Ma la partita vera, anche per banche grandi, è un’altra: è sulle commissioni, sul collocamento dei prodotti. Lì, facendo una stima prudente, perché non abbiamo i contratti sotto gli occhi, hanno incassato almeno 300 milioni di euro negli ultimi 15 anni. Qui si gioca la partita e li tocchiamo sul vivo. Aggiungo che è molto più semplice intervenire sui contratti di fornitura rispetto a una politica di dividendi o sulla composizione societaria. Noi pensiamo che si possa rivedere subito la politica dei contratti, disincentivando le banche armate dal collocare i prodotti di Etica Sgr e, conseguentemente, in qualche modo, togliendo loro anche la motivazione per restare dentro la società.

Tagliando questi ponti, Banca Etica non rischia di isolarsi?

No, perché il sistema finanziario, sia italiano che europeo, è fatto di tanti soggetti diversi. Le banche cosiddette armate saranno una trentina, ma in Italia oggi operano circa 400 banche, o 200 se consideriamo i centri di governo. Si possono identificare dei partner volta per volta più interessanti e interessati. Ci sono società con reti commerciali qualificate per non perdere la capacità di stare vicino ai clienti. E poi ci sono tutte le banche europee con cui si può collaborare. La proiezione della finanza etica, a livello europeo, ha un potenziale enorme che nessuno contesta, però va declinata in modo operativo, per fortuna la finanza non è tutta armata e il mercato può essere interessato.

Quindi in tanti potrebbero voler entrare?

Pensiamo al mondo del credito cooperativo. C’è già Cassa Centrale, come quinto socio di Etica Sgr che potrebbe aumentare la sua quota. E potrebbero entrarne anche tanti altri.

Cosa pensa del piano strategico approvato qualche mese or sono?

Credo sia stato un errore dell’attuale Consiglio, che ha sbagliato ad approvarlo prima dell’elezione. Il Cda deve decidere quando e come fare il piano, al massimo confrontandosi con la Banca d’Italia che, sapendo di un imminente elezione, avrebbe capito benissimo l’opportunità di attendere.

Infine, cos’ha imparato in questo periodo di impegno?

Nei sei mesi di lavoro fatti fin qui, ho imparato che attorno a Banca Etica c’è ancora tanta energia sociale che si può rivitalizzare e ricollegare al progetto. Però stiamo anche correndo il rischio di perderla se non agiamo bene.

Leggi l’intervista ad Aldo Soldi, candidato della Lista Partecipativa.

Foto in apertura La Presse.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.