Incontri

Il profit attore della cooperazione internazionale? Ce lo chiedono i Paesi africani 

Codeway Expo 2025, la fiera della cooperazione internazionale e dello sviluppo sostenibile, si terrà a Fiera Roma dal 14 al 16 maggio, riunendo imprese, istituzioni internazionali, società civile e mondo accademico. «Parlare del ruolo dei privati nella cooperazione sembrava strano fino a poco tempo fa», dice Massimo Zaurrini, giornalista, direttore di Internationalia e Africa Affari e co-organizzatore della manifestazione. «Ma quello che sta accadendo negli ultimi mesi sta spingendo sempre di più il loro coinvolgimento»

di Anna Spena

La fiera Codeway Expo 2025, dedicata a cooperazione allo sviluppo e sostenibilità, si terrà a Roma dal 14 al 16 maggio. L’evento, organizzato da Fiera Roma e Internationalia, mira a convertire le sfide globali in opportunità di crescita comune, aggregando il settore produttivo, le istituzioni internazionali, le organizzazioni della società civile e il mondo accademico all’insegna di innovazione, cooperazione e impresa. «Parlare del ruolo dei privati nella cooperazione internazionale sembrava strano fino a poco tempo fa», dice Massimo Zaurrini, giornalista, direttore di Internationalia e Africa Affari e co-organizzatore della manifestazione. Ma le cose stanno cambiando velocemente.

Codeway vuole essere un luogo di dialogo tra impresa, istituzioni e cooperazione internazionale, uno spazio dove visioni, progetti e strategie si incontrano per costruire assieme un mondo più equo e sostenibile. Alla luce dello smantellamento di Usaid, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, che ha finanziato il 40% della cooperazione internazionale mondiale, quanto diventa importante il settore del for profit nella cooperazione internazionale allo sviluppo?

Credo che Codeway sia stato quasi profetico. Parlare del ruolo dei privati nella cooperazione sembrava strano fino a poco tempo fa, nonostante la legge italiana lo riconosca. C’è stata una lunga tradizione in Italia dove i privati e le aziende non erano percepiti come soggetti della cooperazione. Tuttavia, quello che sta accadendo negli ultimi mesi sta paradossalmente spingendo sempre di più il coinvolgimento dei privati. Penso appunto ad un soggetto come Usaid che distribuiva fondi a molteplici organizzazioni, dalle ong più piccole fino alle Agenzie dell’Onu. Ora, uno dei modelli valutati per sopperire alla mancanza di questi fondi è proprio il coinvolgimento dei privati. Quindi, in questo momento, Codeway diventa fondamentale perché anche i soggetti più restii a collaborare con il settore privato si rendono conto che è un interlocutore fondamentale e necessario, perché gli interlocutori classici tendono a “scomparire”.

Ha detto che “anche i soggetti più restii a collaborare con il settore privato si rendono conto che è un interlocutore fondamentale”. Ma proviamo a cambiare prospettiva: come si potrebbe spiegare che all’attore privato si deve iniziare a guardare non solo come necessità ma anche come possibile valore aggiunto per tutto il settore della cooperazione?

Personalmente, conoscendo entrambi i mondi da anni, sono convinto che la sinergia dovrebbe essere naturale, non solo necessaria. Mi occupo di Africa da oltre vent’anni, prima con una prospettiva più sociale e ora più aziendale. Le richieste di cooperazione dall’Africa sono cambiate: oltre all’assistenza sanitaria e alla formazione, oggi ci sono richieste di formazione professionale, inserimento nel mondo del lavoro, creazione di tessuto industriale e produzione di energia. Quando le necessità si spostano, aumentano gli spazi per la collaborazione con le aziende. Certo, fare business è diverso da fare cooperazione, e le aziende devono capirlo. Un progetto di cooperazione può portare benefici a lungo termine, ma non è solo un modo diverso di internazionalizzare. Ho visto progetti concreti, come per esempio la costruzione di un dispensario in Etiopia con un tetto fornito da un’azienda che produce pannelli isolanti. Questa piccola cosa ha permesso all’azienda di farsi conoscere in un nuovo mercato. Ricito il mondo della formazione professionale, di cui le aziende italiane sono grandi fornitrici per molti Paesi africani. Affiancare queste aziende a chi gestisce le strutture può ampliare molto il confine tra lavoro e cooperazione.

Questo approccio però non può valere allo stesso modo in tutti i Paesi africani. Alcuni probabilmente hanno ancora bisogno, come dire, di un supporto delle cooperazione “pura”

Sono assolutamente d’accordo. È sbagliato concettualmente pensare che un modello possa valere per tutti. Questo è un errore che abbiamo fatto in passato. Bisogna valutare caso per caso. Su questioni come la sanità, per esempio, personalmente vedo meno bene il coinvolgimento del privato; credo che in quel settore debba investire il governo. La situazione cambia molto da Paese a Paese. Però, tornando al discorso precedente, quello che registro è che negli ultimi anni davvero le richieste di cooperazione, soprattutto dai Paesi africani, si spostano sempre più verso il privato per creare lavoro, energia, valore aggiunto e filiere commerciali. Poi, a livello comunitario, dipende dal tipo di cooperazione che si vuole fare. Ma c’è stato e c’è un ingresso dei privati che secondo me è giustificato dai tempi e dal cambiamento di approccio di grandi enti come Usaid e molti altri Paesi anche europei, perché anche i Paesi ricchi hanno ora priorità interne diverse. La cooperazione tra governi sta cambiando radicalmente, allontanandosi dal modello tradizionale basato sui doni. Anche l’aiuto allo sviluppo si sta trasformando prevalentemente in prestiti, seppur agevolati. Questa evoluzione crea problemi significativi, soprattutto in Paesi già fortemente indebitati, come quelli africani, alcuni dei quali si trovano in una situazione di insolvenza. Di fronte a questa dinamica, questi governi tendono a preferire accordi con aziende private, spesso a loro svantaggio a causa di una minore capacità negoziale, piuttosto che accettare ulteriore debito tramite aiuti internazionali. Questo scenario complesso indica chiaramente una trasformazione in atto nella cooperazione globale. È fondamentale riconoscerla, analizzarla e comprenderne le implicazioni future.

Come Codeway può agevolare il dialogo tra imprese, istituzioni e società civile?

Codeway nasce proprio con questo scopo, la sua mission è essere una piazza d’incontro. È una fiera di relazioni, non di prodotti o idee da vendere. Si impone come un luogo dove soggetti diversi si possono e si devono incontrare. L’idea nasce dalla necessità di far incontrare soggetti che sono stati a lungo distanti, per parlare, conoscersi e capire se ci sono margini di collaborazione. Con la presenza delle istituzioni, perché, lo ricordiamo, la cooperazione internazionale è uno strumento della politica estera di un Paese. A Codeway si incontreranno aziende, ong, università e rappresentanti politici per confrontarsi tutti insieme. Ci saranno delegazioni africane con figure importanti come ministri della sanità e dell’educazione, ministri del commercio e dell’industria, rappresentanti della Banca Mondiale per progetti sull’energia, ci sarà il lancio di nuovi progetti del governo italiano e ci saranno incontri dove questi soggetti potranno conoscersi, chiacchierare e cominciare a prendere coscienza l’uno dell’altro. 

In apertura un’immagine della Fiera dell’edizione 2024

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